«Ormai non c’è tempo per rammaricarsi,» disse il direttore. «Ora dobbiamo in primo luogo misurare la velocità con cui la nuvola avanza verso di noi. Ne abbiamo parlato a lungo con Marlowe e riteniamo che dovrebbe essere possibile. Le stelle ai margini della nuvola sono in parte oscurate, come dimostrano le lastre prese da Marlowe la notte scorsa. Il loro spettro dovrebbe mostrare le righe di assorbimento provocate dalla nuvola e l’apparecchio Doppler ci darà la velocità.»
«Allora dovrebbe essere possibile calcolare il tempo che la nuvola impiegherà per raggiungerci,» intervenne Barnett. «Dirò subito che non mi piace la piega che hanno preso le cose. Se guardiamo l’accrescimento del diametro angolare negli ultimi venti anni, mi pare che dovrebbe esserci addosso entro cinquanta o sessant’anni. Quanto tempo credete che ci vorrà per avere un apparecchio Doppler?»
«Forse una settimana. Non sarà un lavoro difficile.»
«Mi dispiace, ma non capisco tutto questo,» interruppe Weichart. «Non vedo perchè vi occorra la velocità della nuvola. Si può calcolare subito il tempo che essa impiegherà a raggiungerci. Lasciatemi pensare. Secondo me ci vorrà molto meno di cinquant’anni.»
Per la seconda volta Weichart si alzò dal suo posto, andò alla lavagna e cancellò i disegni che c’erano sopra.
«Si potrebbero rivedere due lastre di Jensen, per favore?»
Emerson le proiettò, prima l’una poi l’altra, e Weichart chiese: «Secondo lei di quanto è più grande la nuvola nella seconda lastra?»
«Direi del 5 per cento circa. Forse un po’ più, forse un po’ meno, ma di certo non dovremmo essere molto lontani dal 5 per cento,» rispose Marlowe.
«Giusto,» continuò Weichart, «tanto per cominciare stabiliamo alcuni simboli.»
Seguì un calcolo piuttosto lungo e alla fine Weichart annunziò:
«Come vedete la nuvola nera sarà qui verso l’agosto del 1965, o forse prima se nei valori stimati c’è qualche errore.»
Poi lasciò la lavagna, e si mise a controllare il suo calcolo matematico.
«Mi sembra giustissimo, indiscutibile,» disse Marlowe sbuffando grandi nubi di fumo.»
Ecco quello che scrisse Weichart sulla lavagna: Chiamiamo:
(L’attuale diametro angolare della nuvola, misurato in radianti.
d, il diametro lineare della nuvola
D, la sua distanza dalla Terra,
V, la velocità con cui si avvicina
T. il tempo occorrente perchè raggiunga il sistema solare.
Per cominciare abbiamo, evidentemente, che (=.
Differenziando l’equazione rispetto al tempo abbiamo che
Ma, e perciò possiamo scrivere
Sappiamo anche che = T. Perciò possiamo eliminare V, giungendo a
Più facile di quel che pensavo. La risposta c’è già: T =
Infine dobbiamo avvicinarci a per intervalli finiti,
dove mese, il che corrisponde alla differenza di tempo fra le due lastre del dottor Jensen; e dalle stime del dottor Marlowe è circa il 5 per cento di (, cioè. Perciò T = 20(t = 20 mesi).
«Sì, mi sembra giusto, impeccabile,» rispose Weichart.
Quando Weichart ebbe terminato i suoi calcoli così sbalorditivi, il direttore pensò che sarebbe stato saggio invitare tutti al segreto assoluto. Avessero ragione o torto, sarebbe stato male parlarne fuori dell’osservatorio, e persino con i familiari. Una volta lanciata la scintilla, la notizia si sarebbe scatenata con la furia di un incendio e in un attimo l’avrebbero ripresa i giornali. Il direttore non aveva mai avuto motivi per stimare molto i giornalisti, specie quelli che si occupavano di questioni scientifiche.
Da mezzogiorno alle due rimase solo in ufficio: non si era mai trovato in una situazione più difficile. Per sua natura era uomo restio ad annunciare un risultato o a intraprendere un’azione sulla base di esso, prima di averlo controllato e ricontrollato. Ma era giusto che osservasse il silenzio per due o più settimane? Infatti ci sarebbero volute un paio di settimane per indagare con cura ogni aspetto della questione. Poteva far questo? Per la decima volta riesaminò i calcoli di Weichart. Non facevano una grinza.
Alla fine chiamò la segretaria.
«Per favore, vuol chiedere a Caltech di fissarmi un posto sull’aereo di stanotte per Washington, quello che parte verso le nove? Poi mi chiami al telefono il dottor Ferguson.»
James Ferguson era un pezzo grosso alla Fondazione Nazionale delle Scienze, e dirigeva tutte le attività nel campo della fisica, dell’astronomia e della matematica. Era rimasto molto sorpreso, il giorno prima, sentendosi chiamare da Herrick, perchè Herrick non era il tipo da fissare appuntamenti con un giorno d’anticipo.
«Proprio non so immaginare che cos’abbia Herrick,» disse alla moglie mentre facevano colazione, «per venire di corsa a Washington, così. E ha insistito molto. Mi sembrava preoccupato, perciò gli ho detto che gli andavo incontro all’aeroporto.»
«Be’, un po’ di mistero ogni tanto ci vuole,» disse la moglie, «e assai presto saprai di che si tratta.»
Tornando dall’aeroporto di città, Herrick si limitò a parlare di cose senza importanza. Solo quando fu nell’ufficio di Ferguson venne al dunque.
«Spero che nessuno ci senta, vero?»
«Santo cielo, giovanotto, è una cosa tanto seria? Aspetta un momento.»
Ferguson alzò la cornetta del telefono.
«Amy, per favore, faccia in modo che non ci interrompano… No, niente telefonate… Be’ forse fra un’ora, forse fra due, non lo so.»
Poi Herrick fece la sua esposizione, tranquilla e razionale. Ferguson guardò le fotografie, poi Herrick riprese:
«Vedi qual è la situazione. Se annunciamo il fatto e poi viene fuori che abbiamo sbagliato, facciamo la figura degli stupidi. Se sprechiamo un mese a controllare tutti i particolari e poi vien fuori che abbiamo ragione, allora ci accusano di aver perso del tempo.»
«Ti capisco: sei come la gallina vecchia che si è seduta sull’uovo guasto.»
«Senti, James, ho pensato che tu hai più esperienza di me nel trattare il prossimo, e per questo mi sono rivolto a te, per avere un consiglio. Cosa mi proponi di fare?»
Ferguson per un po’ tacque, poi disse:
«Capisco che ne può uscir fuori un fatto grave. E a me non piace prendere gravi decisioni, come non piace a te, Dick, e non mai certo così, a tamburo battente. Ti consiglio questo: torna all’albergo e dormici tutto il pomeriggio: non credo che tu abbia dormito molto stanotte. Ci possiamo trovare stasera presto, cenare insieme e prenderci il tempo necessario per pensare a tutta la questione. Io cercherò di concludere qualcosa.»
Ferguson era un brav’uomo, e le sue parole lo dimostravano. Andarono a cena insieme in un ristorante tranquillo — lo aveva scelto Ferguson — e cominciando a mangiare egli disse: