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«Benissimo. Se hai bisogno di noi, saremo pronti,» convenne Kingsley.

In verità nessuno voleva lasciare il laboratorio, ma capirono che quel che diceva McNeil era giusto.

«Sarebbe un bel guaio se restassimo tutti ipnotizzati,» osservò Barnett. «Spero solo che al vecchio Dave vada tutto bene,» aggiunse poi preoccupato.

«Forse avremmo dovuto staccare i contatti. Ma secondo McNeil poteva anche esser pericoloso. Uno choc, suppongo,» disse Leicester.

«Mi chiedo quali informazioni stia ricevendo Dave,» fece Marlowe.

«Be’, credo che lo sapremo presto. È poco probabile che la Nuvola vada avanti per parecchie ore. Non lo ha mai fatto prima,» osservò Parkinson.

Invece la trasmissione fu lunga. Dopo alcune ore ognuno si ritirò in camera sua.

«In questo modo non diamo nessun aiuto a Dave e perdiamo anche una buona occasione per dormire. Vado a buttarmi sul letto per un paio d’ore,» disse Marlowe; e quello era il parere di tutti.

Fu Stoddard a svegliare Kingsley.

«Il dottore la vuole, dottor Kingsley.»

Kingsley vide che Stoddard e McNeil erano riusciti a portare Weichart in una camera; l’avventura era finita, almeno per il momento.

«Che succede, John?»

«Non mi piace affatto, Chris. La temperatura cresce rapidamente. Non serve a nulla che tu lo vada a vedere. Sta delirando, e forse ha 40 di febbre.»

«Secondo te di che si tratta?»

«Impossibile dirlo: mai visto un caso simile. Se non sapessi come sono andate le cose, direi che Weichart soffre di una infiammazione dei tessuti cerebrali.»

«È una cosa seria.»

«Molto seria. Non possiamo farci nulla; tuttavia pensavo che tu volessi sapere.»

«Certo. Hai un’idea della possibile causa?»

«Be’, direi che si tratta di lavoro eccessivo, di uno sforzo troppo grande del sistema neurologico, a cui i tessuti non resistono. Ma, ti ripeto, è solo una mia idea.»

La temperatura di Weichart continuò a crescere per tutto il giorno. Nel tardo pomeriggio morì.

Per motivi professionali McNeil avrebbe voluto compiere l’autopsia, ma considerando i sentimenti degli altri decise di non farla. Se ne restò solo a pensare tristemente che avrebbe dovuto prevedere la tragedia e far qualcosa per impedirla. Ma non l’aveva previsto; non aveva previsto nemmeno quel che doveva succedere di lì a poco. La prima ad avvertirlo fu Ann Halsey. Pareva impazzita quando gli si avvicinò.

«John, devi fare qualcosa. Chris. Si ammazzerà.»

«Cosa?»

«Sta rifacendo l’esperienza di Dave Weichart. Per ora ho cercato di convincerlo, ma non ha voluto darmi retta. Dice che avvertirà la Nuvola di andare più piano; dice che la velocità ha ucciso Dave. È vero?»

«Può darsi. Non lo so di sicuro, ma è possibile.»

«Dimmi la verità, John, c’è qualche speranza?»

«Può darsi. Ma non ne so abbastanza per darti un parere preciso.»

«E allora devi fermarlo.»

«Ci proverò. Vado subito a parlargli. Dov’è?»

«In laboratorio. Ma parlare non serve. Bisogna costringerlo con la forza. È l’unica maniera.»

McNeil corse al laboratorio di trasmissione. La porta era chiusa a chiave ed egli cominciò a battere coi pugni. Si sentì, debole, la voce di Kingsley.

«Chi è?»

«McNeil. Fammi entrare.»

Si aprì la porta; entrando McNeil vide che l’apparecchio era in funzione.

«Me lo. ha detto Ann, Chris. Non ti pare che sia una sciocchezza, specie dopo la morte di Weichart?»

«Non credere che questa idea mi vada a genio. Ti assicuro che la vita piace a me come a qualsiasi altro. Ma bisogna farlo, e farlo subito. Fra poco più di una settimana non ci sarà più quest’occasione, e gli uomini non si possono permettere di perdere un’occasione simile. Dopo la morte del povero Weichart, era poco probabile che un altro volesse tentare, allora mi son fatto avanti io. Non sono di quei tipi coraggiosi che guardano il pericolo senza scomporsi. Se c’è un lavoro rischioso, non ci sto a pensare: lo faccio e basta.»

«È vero questo, ma accidenti a chi giovi?»

«Questo è un discorso assurdo, e tu lo sai. La posta è altissima, tanto alta che val la pena di vincere. Questo è il primo fatto. Il secondo fatto è che forse le mie probabilità sono maggiori. Ho già parlato alla Nuvola e le ho detto di rallentare. Lei è d’accordo. Del resto sei stato tu a dire che avremmo potuto evitare il peggio.»

«Avremmo potuto, ma era possibile anche il contrario. Oltretutto, se riesci a evitare la tragedia di Weichart, può darsi che ci siano altri pericoli che ignoriamo.»

«E allora? La mia esperienza servirà a illuminarti, e sarà più facile tentare per qualcun altro, come è più facile per me che per Weichart. Non serve a nulla, John. Ho deciso, e tra qualche minuto comincio.»

McNeil capì che era impossibile convincere Kingsley.

«Va bene,» gli disse, «ma spero che non ti dispiacerà se io resto qui con te. A Weichart sono occorse dieci ore. A te ne occorreranno di più, e bisognerà alimentarti, perchè il cervello deve ricevere sangue nella misura necessaria.»

«Ma io non posso fermarmi per mangiare! Non capisci come stanno le cose? Si tratta di imparare tutto un nuovo mondo di conoscenze in una lezione sola.»

«Non sto dicendo che tu ti debba fermare per i pasti. Ti farò delle iniezioni, di tanto in tanto. Se pensi alle condizioni di Weichart, è chiaro che non te ne accorgerai neppure.»

«Oh, non me ne importa. Inietta pure e stai contento. E ora scusami, devo cominciare.»

È inutile raccontare quel che successe, perchè fu tutto come nel caso di Weichart. Peraltro la condizione ipnotica durò di più, quasi due giorni. Alla fine, seguendo gli ordini di McNeil, lo portarono a letto. Poco dopo si presentarono gli stessi sintomi di Weichart. La temperatura salì: 39… 39 e mezzo… 40. Ma qui si fermò, e dopo qualche ora cominciò lentamente a decrescere, mentre crescevano le speranze di tutti quelli che stavano intorno al suo letto: soprattutto McNeil e Ann Halsey che non lo abbandonarono un minuto, e Marlowe, Parkinson e Alexandrov.

Kingsley riprese coscienza circa 36 ore dopo la fine della trasmissione. Per qualche minuto il suo viso mutò espressione continuamente. Espressioni note agli amici, espressioni nuove che nessuno gli aveva mai visto. Lo aspetto più terribile della crisi di Kingsley si manifestò all’improvviso. Cominciò con una serie incontrollata di contrazioni del volto e di parole incoerenti. Dalle parole alle grida, poi alle urla selvagge.

«Dio mio, è in preda a un attacco,» esclamò Marlowe.

L’attacco cessò quando McNeil gli ebbe praticato una iniezione; poi invitò gli altri a lasciarlo solo con l’ammalato. Per tutta la giornata gli altri sentirono giungere dalla stanza urla soffocate che si placavano solo con altre iniezioni.

Marlowe riuscì a convincere Ann Halsey, e nel pomeriggio fecero una passeggiata insieme. Per Marlowe fu la passeggiata più difficile della sua vita.

A sera, mentre se ne stava seduto, con la faccia triste, nella sua stanza, entrò McNeiclass="underline" era disfatto e aveva gli occhi cerchiati.

«È andato,» fece l’irlandese.

«Dio mio, che tragedia terribile, inutile.»

«Sì, e più grande di quel che tu non creda.»

«Come sarebbe?»

«Per poco non si è salvato. Nel pomeriggio è stato benissimo per quasi un’ora, e mi ha detto qual era il suo male. Ce l’aveva fatta, e col passare dei minuti era sempre più convinto che ormai aveva vinto. Purtroppo no. C’è stato un altro attacco che lo ha ucciso.»

«Ma qual è la causa?»

«Una cosa ovvia, avremmo dovuto prevederla. Non avevamo tenuto conto dell’enorme quantità di materia nuova che la Nuvola gli ha cacciato nel cervello. Ciò implica un vasto mutamento della struttura dei circuiti elettrici nel cervello, un mutamento di resistenze su vasta scala, e così via.»