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«No di certo, almeno finchè resta in vigore la legge contro la diffamazione,» disse un astronomo a bassa voce, rivolto al vicino.

«Signor presidente,» cominciò Kingsley, «durante i discorsi dei due precedenti oratori ho avuto tempo a sufficienza per fare un calcolo piuttosto lungo.»

I due astronomi si scambiarono un sorriso furbesco, e anche l’Astronomo Reale sogghignò dentro di sè.

«Forse ai presenti interesserà conoscere le conclusioni a cui sono giunto. Se sono giusti i risultati che ci sono stati presentati oggi — dico, se sono giusti — allora ciò significa che in prossimità del sistema solare deve esistere un corpo finora sconosciuto. E la massa di questo corpo sconosciuto deve esser pari, o forse maggiore, di quella di Giove stesso. Se non è possibile supporre che i risultati a noi sottoposti derivino da un banale errore di osservazione — dico un banale errore di osservazione — non è nemmeno possibile supporre che per tanto tempo nessuno abbia scoperto un corpo di così grande masse, esistente nel sistema solare o alla periferia di esso.»

Kingsley si rimise a sedere. Gli astronomi di professione capivano la struttura generale del suo ragionamento, e quel che vi stava sotto: conclusero che Kingsley aveva fatto centro.

Kingsley guardò fisso il ferroviere che gli chiese il biglietto, mentre saliva sul treno per Cambridge delle 8,56. L’uomo arretrò di un paio di passi, perchè l’ira di Kingsley non si era placate dopo il pasto appena consumato, un pasto formato da robe scadente cucinata male e servita con una certa alterigia in un ambiente pieno di pretese ma sporco. Solo il prezzo era stato ragguardevole. Kingsley avanzò lungo il treno in cerca di uno scompartimento dove potesse, tutto solo, sfogare la sue rabbia. Mentre traversava in fretta un vagone, scorse una nuca che gli parve di riconoscere. Scivolò nello scompartimento e piombò a sedere accanto all’Astronomo Reale

«Prima classe, belle e comoda. Bella cosa lavorare per il governo, vero?»

«Si sbaglia, Kingsley. Vado a Cambridge per una festa dell’Università.»

Kingsley, ancora ben conscio di quell’esecrabile pasto, lo guardò torvo.

«Si trattano bene quegli straccioni del Trinity College,» disse. «Fanno festa il lunedì, il mercoledì, il venerdì e gli altri giorni della settimana si concedono quattro pasti tondi tondi.»

«Non è proprio come dice lei. Oggi mi sembra arrabbiato, Kingsley. C’è qualche guaio?»

Bisogna proprio dire che l’Astronomo Reale gongolava.

«Arrabbiato! vorrei sapere chi non lo sarebbe. Avanti, A. R., cosa significava quella pagliacciata di oggi?»

«Tutto quello che si è detto oggi era realtà, semplice e schietta.»

«Realtà? Avreste fatto meglio a mettervi a ballare sui tavoli, sarebbe stato più serio. Pianeti spostati di un grado e mezzo! Che roba!»

L’Astronomo Reale prese dalla reticella la borsa e ne trasse un mucchio di carta zeppe di numeri.

«Questi sono i fatti,» disse. «Nella prima cinquantina di pagine troverà le osservazioni di tutti i pianeti, coi dati degli ultimi mesi, giorno per giorno. Poi c’è una tavola con le osservazioni ridotte a coordinate eliocentriche.»

Kingsley studiò in silenzio per quasi un’ora quelle carte, fino a che il treno non fu giunto a Bishop’s Stortford. Poi disse:

«Ma non vede, A. R., che non c’è la minima possibilità di tirar fuori i piedi da questo garbuglio? C’è tanta roba che non è facile dire se è tutta genuina. Posso tenere le tavole per un paio di giorni?»

«Kingsley, se lei immagina che io sia capace di prendermi il fastidio di mettere in piedi un complicato… garbuglio, come dice lei, con lo scopo principale di farle uno scherzo, di farla arrabbiare, allora le dico che ha un’opinione eccessiva di sè.»

«Diciamolo in un altro modo,» rispose Kingsley. «Ci sono due possibili ipotesi: e tutte e due a prima vista mi paiono impossibili, ma una deve essere quella giusta. La prima è questa: un corpo sinora sconosciuto, con una massa pari a quella del pianeta Giove, ha invaso il sistema solare. La seconda ipotesi eccola: L’Astronomo Reale è diventato matto. Non voglio offenderla, ma francamente la seconda ipotesi mi sembra meno incredibile della prima.»

«Quello che ammiro in lei, Kingsley, è la maniera con cui riesce a non attenuare le cose che pensa.» L’Astronomo Reale restò un momento soprappensiero. «Perchè non si dà alla politica?»

Kingsley sogghignò. «Mi può dare quelle tavole per un paio di giorni?»

«Che cosa intende farne?»

«Be’, due cose. Devo prima controllare il peso di tutta la questione, e poi scoprire dove si trova l’intruso.»

«E come intende far ciò?»

«Partirò dalle osservazioni su uno dei pianeti e procederò a ritroso: mi sembra che il migliore debba essere Saturno. Così determinerò la distribuzione del corpo intruso, o del materiale intruso, se esso non ha la forma di un corpo compatto. Sarà lo stesso procedimento con cui J.C. Adams e Leverrier hanno determinato la posizione di Nettuno. Poi, una volta pescato il materiale intruso svolgerò il ragionamento inverso. Calcolerò le modificazioni intervenute per gli altri pianeti, Giove, Urano, Nettuno, Marte eccetera. E una volta fatto questo confronterò i miei risultati con le sue osservazioni di questi altri pianeti. Se i miei risultati si accorderanno con le sue osservazioni allora sarò certo che non c’è stato da parte sua il desiderio di prendermi in giro. Se invece non concordano… Be’!»

«Benissimo,» disse l’Astronomo Reale, «ma come pensa di poterlo fare in un paio di giorni?»

«Oh, servendomi di un calcolatore elettronico. Per fortuna ho già un programma scritto per i calcolatori di Cambridge. Mi ci vorrà tutto domani per modificarlo un po’ e per iscrivervi alcuni moduli necessari alla soluzione del problema. Ma domani sera dovrei essere pronto per iniziare i calcoli. Senta, A.R., perchè non viene al laboratorio, dopo la festa? Se lavoriamo fino a domani notte, dovremmo sistemare tutto in breve tempo.»

La giornata dopo fu molto sgradevole: freddo, pioggia e nebbia sottile sulla città di Cambridge. Kingsley lavorò tutta la mattinata e tutto il pomeriggio davanti a un fuoco scoppiettante, nel suo appartamento all’Università. Lavorava sodo, tracciando sulla carta degli strani scarabocchi di cui diamo un breve esempio, un esempio cioè del codice grazie al quale si poteva ordinare al calcolatore come compiere i calcoli e le operazioni necessarie:

T

Z

0

A

23

(

1

U

11

(

2

A

2

F

3

U

13

(

Verso le tre e mezzo uscì dall’Università, ben imbacuccato e riparando sotto l’ombrello un voluminoso fascio di carta. Prese la via più breve per Corn Exchange Street, entrò nell’edificio dov’era la macchina calcolatrice, la macchina che in una notte faceva calcoli per cui normalmente sarebbero occorsi cinque anni. L’edificio era stato una volta una vecchia scuola di anatomia e alcuni sussurravano che fosse abitato dai fantasmi, ma Kingsley non ci pensava neppure, e dalla stradicciola imboccò l’entrata laterale.

Ma non andò subito alla calcolatrice, che in quel momento altri stavano adoperando. Doveva ancora tradurre lettere e cifre in una forma che la macchina potesse interpretare. Per far questo usò una macchina per scrivere di tipo speciale, che cioè faceva uscire una fettuccia di carta con dei fori: quei fori corrispondevano ai simboli impressi. Proprio quei fori erano le istruzioni da passare alla calcolatrice. Bisognava che tutte le migliaia di fori fossero al posto giusto; altrimenti la macchina avrebbe sbagliato i calcoli. La scrittura quindi doveva essere fatta con precisione meticolosa, una precisione al cento per cento, davvero.