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Solo verso le sei Kingsley ritenne che ogni cosa fosse a posto, controllata e ricontrollata. Si diresse all’ultimo piano dell’edificio dov’era la calcolatrice. Nella stanza c’era un piacevole caldo secco, graditissimo in quell’umida giornata fredda di gennaio: era il calore delle molte migliaia di valvole. Si sentiva il ronzio familiare dei motori elettrici e il ticchettio della telescrivente.

L’Astronomo Reale aveva trascorso una giornata piacevole, in visita a vecchi amici, e una serata deliziosa alla festa dell’Università. Ora — era quasi mezzanotte — avrebbe preferito andarsene a dormire, piuttosto che al laboratorio matematico. Ma forse sarebbe stato meglio andare a vedere cosa faceva quel matto. Un amico si offri di accompagnarlo in macchina, e insomma eccolo qui, sotto la pioggia, in attesa che gli aprissero la porta. Finalmente comparve Kingsley.

«Oh, salve, A. R.,» disse. «È venuto proprio al momento giusto.»

Salirono diverse rampe di scale fino alla calcolatrice.

«Ha già qualche risultato?»

«No, ma credo che ogni cosa sia pronta. C’erano diversi sbagli nei miei appunti di stamani ed ho impiegato le ultime ore a scoprirli. Spero di averli eliminati tutti, mi pare. Se tutto va bene con la calcolatrice, fra un’ora o due dovremmo avere qualche buon risultato. È andata bene la festa?»

Erano quasi le due del mattino quando Kingsley disse: «Be’, quasi ci siamo. Fra un paio di minuti ci saranno i primi risultati.»

E infatti cinque minuti dopo si udì nella stanza un rumore nuovo, il fracasso del punzone ad alta velocità: ne uscì una strisciolina di carta lunga quasi dieci metri. I fori sulla carta davano i risultati di un calcolo per ottenere il quale a un uomo sarebbe occorso un anno intero.

«Diamo un’occhiata,» disse Kingsley infilando la strisciolina nella telescrivente. Tutti e due guardavano le file di cifre, man mano che la macchina le scriveva.

«L’apparecchio non è di prima qualità, temo. Forse è bene che le spieghi. Le prime tre file ci danno i valori del gruppo di parametri che ho introdotto nei calcoli rispetto alle sue osservazioni.»

«E la posizione dell’intruso?» chiese l’Astronomo Reale.

«Posizione e massa possiamo leggerle nelle ultime quattro file. Ma non sono in forma perfetta… Le ho detto che l’apparecchio non è molto buono. Usando questi risultati voglio poi calcolare quale influenza l’intruso dovrebbe avere su Giove. Il nastro è qui proprio per questo.»

E Kingsley indicò la striscia di carta che era appena uscita dalla macchina.

«Ma prima devo fare qualche piccolo calcolo di persona, per tradurre quei numeri in una forma davvero conveniente. Intanto però avviamo la macchina e sapremo qualcosa su Giove.»

Kingsley premette alcuni pulsanti. Poi introdusse un grosso rotolo di carta nel dispositivo di lettura della macchina. Premette un altro pulsante e il dispositivo cominciò a svolgere il rotolo.

«Vede come funziona?» disse Kingsley. «Man mano che il rotolo si svolge, una luce compare attraverso i fori, poi entra in questa scatola e cade su di un tubo fotosensibile. In questo modo una serie di impulsi entrano nella macchina. Il rotolo che ho introdotto dá alla macchina gli ordini necessari per calcolare il mutamento della posizione di Giove. Ma la macchina per ore non ha avuto alcun ordine; non sa ancora nulla della posizione dell’intruso, della sua massa, della sua velocità. Per questo la macchina non può ancora funzionare.»

Kingsley aveva ragione. Appena giunta alla fine del lungo rotolo di carta la macchina si fermò. Kingsley indicò una piccola luce rossa.

«Significa che la macchina si è fermata, perchè le istruzioni non sono ancora complete. E ora, dov’è quel pezzo di carta che avevamo un momento fa? Ah, eccolo sul tavolo, accanto a lei.»

L’Astronomo Reale gli porse la lunga striscia di carta.

«Ecco, qui ci sono le informazioni mancanti. Quando gliele avremo date, la macchina ci dirà tutto sull’intruso.»

Kingsley premette un altro pulsante e cominciò a svolgersi il secondo rotolo di carta. Appena ebbe percorso il dispositivo di lettura, proprio come aveva fatto il primo, cominciarono a accendersi delle luci su una serie di tubi a raggi catodici.

«Ecco, funziona. Per un’ora, da questo momento, la macchina moltiplicherà centomila numeri di dieci cifre al minuto. Noi intanto facciamoci il caffè. Ne ho bisogno, non tocco cibo dalle quattro del pomeriggio di ieri.»

I due uomini lavorarono per tutta la notte. Si vedevano le prime luci dell’alba, un’alba squallida di gennaio, quando Kingsley:

«Be’, ci siamo. Abbiamo qui tutti i risultati, ma bisogna tradurli, prima di poter fare un confronto con le sue osservazioni. Farò venire una delle ragazze per questo. Senta A. R., le propongo di cenare con me stanotte e poi riprenderemo. O forse preferisce riposarsi un po’? Io rimango fino a che non arriva il personale del laboratorio.»

Dopo cena quella notte l’Astronomo Reale e Kingsley furono di nuovo insieme, nella camera di quest’ultimo, all’Erasmus College. La cena era stata ottima e si sentivano tutti e due molto bene, lì accanto al fuoco scintillante.

«Quante sciocchezze si sentono dire su quelle stufe a perfetta tenuta,» fece l’Astronomo Reale indicando il fuoco. «Dicono che sono molto scientifiche, ma a me pare che di scientifico non abbiano nulla. La forma migliore di calore è quella che si irradia da un fuoco scoperto. Le stufe a tenuta, invece, generano un mucchio d’aria calda che è assai sgradevole a respirare. Ti soffocano, senza scaldarti.»

«Giustissimo,» approvò Kingsley. «Nemmeno io ho mai adoperato una di quelle stufe. E le andrebbe un po’ di Porto, prima di ricominciare? o di Madera, di Chiaretto, di Borgogna?»

«Grazie, mi piacerebbe il Borgogna.»

«Benissimo, ho del buon Pommard ‘57.»

Kingsley versò due bicchieri abbondanti, si rimise a sedere e continuò:

«Ecco fatto. Ho i valori calcolati per Marte, Giove, Urano e Nettuno. Si accordano perfettamente con le sue osservazioni. Ho fatto una sorta di sinossi dei risultati fondamentali, qui su questi quattro fogli di carta, uno per pianeta. Guardi pure.»

L’Astronomo Reale per diversi minuti osservò i quattro fogli.

«È impressionante, Kingsley. Quella sua calcolatrice è davvero uno strumento fantastico. Ebbene, è contento ora? Ogni cosa torna. Ogni cosa dà credito all’ipotesi di un corpo esterno che abbia invaso il sistema solare. A proposito, ha già i particolari circa la massa, la posizione e il moto? Qui non li vedo.»

«Sì, li ho,» rispose Kingsley tirando fuori un altro foglio da un grosso fascicolo. «E qui cominciano i guai. La massa risulta pari a quasi due terzi di quella di Giove.»

L’Astronomo Reale sogghignò.

«Mi pare che alla riunione degli astronomi lei la stimasse almeno uguale a quella di Giove.»

Kingsley grugnì.

«Se pensa a tutte quelle distrazioni, non è stata una stima cattiva, A. R. Ma guardi la distanza eliocentrica: 21,3 unità astronomiche, solo 21,3 volte la distanza della Terra dal Sole. È impossibile.»

«Perchè?»

«A quella distanza si dovrebbe vedere facilmente a occhio nudo. Migliaia di persone l’avrebbero già visto.»

L’Astronomo Reale scosse il capo.

«Non è detto che la cosa debba essere un pianeta, come Giove o Saturno. Può darsi che abbia densità molto maggiore e più bassa luminosità. Può darsi così che sia un oggetto molto difficile da scorgersi a occhio nudo.»

«Ma anche in questo caso, A. R., un esame del cielo al telescopio avrebbe dovuto scoprirlo. Come lei vede è nel cielo notturno, a sud di Orione. Ecco le coordinate: Ascensione Retta 5 ore 46 minuti, Declinazione meno 30 gradi 12 minuti. Non conosco molto bene i particolari del cielo, ma dev’essere da qualche parte a sud di Orione, vero?»