Al contrario Vivienne Sebire era stata cordiale e premurosa, accogliendolo con calore e, da perfetta padrona di casa, facendolo sentire un ospite gradito. Un perfetto contrappeso alla generale freddezza del marito.
Partecipò alle risate degli altri quando Duxbury raggiunse il culmine del racconto dando a loro a malapena il tempo di tirare un respiro prima di ripiombare in un’altra storia. Childes allungò la mano verso il bicchiere e, mentre se lo portava alle labbra, gli sembrò di intravvedervi un baluginio. Strizzò gli occhi guardando il liquido chiaro. S’era sbagliato, un riflesso forse, sorseggiò il vino riponendo il bicchiere sul tavolo quando di nuovo qualcosa vi si mosse dentro. Guardò ancora, incuriosito più che preoccupato.
No, solo vino, nient’altro, niente che potesse… niente che…
Un’immagine, ma non nel bicchiere, nella sua testa.
Risatine soffocate mentre Duxbury proseguiva il racconto.
L’immagine era irreale, sfocata, come l’incubo, una macchia confusa. Childes ripose il bicchiere accorgendosi che gli tremava la mano. Una strana sensazione gli opprimeva la nuca, come una mano, gelata, che la stringesse. Fissò il vino.
Amy squittì prevedendo il finale piccante a cui stava arrivando Duxbury.
L’immagine si era moltiplicata in tante visioni che lentamente scorrevano mettendosi a fuoco. Il caldo della stanza si era fatto soffocante. La mano libera di Childes corse al colletto come per allentarlo.
Grace Duxbury che aveva sentito il racconto del marito un’infinità di volte, e ne conosceva il finale, già si scherniva imbarazzata.
Childes ormai si guardava dentro, vedendo dentro di sé uno scenario che era oltre i confini della stanza, eppure allo stesso tempo lì, con lui. Gli sembrava di avvicinarsi a quell’azione della fantasia, farne parte integrante, ma anche solo di osservarla. Della terra smossa veniva rimossa.
Il brontolio allegro di Victor Platnauer, quasi un’esplosione, era contagioso, e Vivienne si ritrovò a ridere prima ancora che la storiella fosse finita.
Dita rozze, unghie spezzate, coperte di terriccio umido. Grattavano il legno. Gli sforzi ripresero, frettolosi. Il legno fu scoperto e ne apparve la forma, stretta, rettangolare, piccola. Childes sussultò versando il vino.
Vigiers si era accorto di quel che succedeva e guardò Childes oltre il tavolo.
Il coperchio della bara venne fracassato, i frammenti si sparsero intorno sotto i colpi dell’ascia. Spezzoni aguzzi furono strappati via allargando il foro. Il corpicino fu scoperto, il volto indistinto nella poca luce. La mano di Childes si strinse sul bicchiere. La stanza ondeggiava, respirava a fatica. L’invisibile presa sul collo si faceva più pesante, come una morsa.
Per un attimo le mani, che Childes sentiva, quasi fossero le sue, fecero una pausa, come se il profanatore avesse sentito qualcosa, si fosse accorto di essere osservato, sentisse Childes stesso. Qualcosa nella sua mente fu sfiorata come dal ghiaccio. Poi la sensazione passò.
Tilly Platnauer sapeva che non avrebbe dovuto mostrare di gradire il racconto, ma la faccia di Duxbury era esilarante, le spalle le sussultavano dallo spasso.
Il piccolo cadavere fu strappato dalla cassa foderata di seta. Childes vide gli occhietti aperti senza profondità, senza vita. Il bimbo venne steso sull’erba accanto alla buca, dove la brezza notturna ne smosse i capelli, incorniciandogli il viso, donandogli un’illusione di vita. I vestiti gli vennero strappati via, e fu lasciato nudo nella luce notturna, marmo bianco immobile.
Il metallo luccicò alla luce fioca della luna. Fiondò verso il basso. Penetrò. Affettò.
Il bicchiere si frantumò, il vino si mescolò al sangue che scorreva a fiotti sulla tovaglia di lino bianco. Qualcuno urlò. Childes si era alzato, rovesciando la sedia, ondeggiando, gli occhi fissi al soffitto, le labbra gonfie, la pelle lucida di sudore.
Il corpo gli prese a tremare, si irrigidì, persino i capelli gli si rizzarono in capo, e con un grido disperato crollò sul tavolo.
Addentò con avidità il cuore del bimbo morto.
Amy strinse i pugni e chiuse gli occhi alla vista dell’immagine riflessa del padre.
Erano nella sua stanza, lei con il viso pallido, gli occhi gonfi di pianto, seduta con un’aria derelitta alla specchiera. Paul Sebire, agitato e rabbioso, camminava su e giù alle sue spalle. Lei non riusciva a cancellare dalla mente la vista di Jon accompagnato fuori da Platnauer. Il consigliere lo aveva fatto accomodare nella propria macchina, rifiutandosi di permettergli di guidare, nonostante le proteste; il volto di Jon era tirato, terreo.
Si era rifiutato di far chiamare un medico, aveva insistito che stava bene, che era solo svenuto, il caldo della sala da pranzo lo aveva sopraffatto. Ma la serata era fresca, la casa appena riscaldata, affatto calda, ma non era stato contraddetto. Sarebbe stato bene appena avesse potuto sdraiarsi un poco, aveva detto loro, bastava un po’ di riposo. Rifiutò, assolutamente, l’offerta di Amy e Vivienne di fermarsi lì per la notte, dicendo che aveva solo bisogno di rimanere solo per un poco. Il suo sguardo perso la spaventò quanto il pallore del viso, ma era stato inutile discutere.
Lo aveva abbracciato prima che partisse, sentendolo tremare dentro, desiderando di poterlo acquietare. La mano ferita era stata medicata e fasciata, Amy gli baciò la punta delle dita attenta a non stringerla troppo. Childes le aveva impedito di accompagnarlo.
Paul Sebire smise di camminare. «Aimée,» disse posandole una mano sulla spalla, «non voglio che ti arrabbi, voglio solo che tu ragioni e mi stia a sentire.»
Le carezzò i capelli, stringendole di nuovo le spalle. «Vorrei che tu interrompessi questo rapporto con Childes.» Attese la reazione che però non venne. Amy fissava semplicemente la sua immagine riflessa nello specchio, cosa che era ancor più sconcertante. Continuò cautamente. «Credo che quell’uomo sia squilibrato, dapprima pensavo che fosse un attacco epilettico, ma i sintomi non corrispondevano. Aimée, quell’uomo sta per avere un completo esaurimento nervoso.»
«Non è squilibrato, non è nevrotico, e non sta per avere un esaurimento» disse con calma Amy. «Tu non lo conosci papà, non sai quello che ha passato.»
«Sì che lo so. Mi chiedevo appunto se tu conoscevi i suoi trascorsi.»
«Cosa vorresti dire?». Si girò verso Sebire facendo scivolare via la sua mano dalle spalle.
«Il suo nome mi ricordava qualcosa, fin da quando lo nominasti la prima volta. Ma non riuscivo a ricordare che cosa, anche se continuavo a pensarci. Qualche tempo fa, quando mi resi conto che eri seriamente intenzionata a frequentarlo ho fatto un po’ di indagini» Alzò una mano a mo’ di difesa. «Non mi guardare in quel modo, sei la mia unica figlia, sei la cosa più importante della mia vita, non pensi che abbia il diritto di andare a fondo di una cosa che ti riguarda così da vicino?»
«Non potevi chiederlo a me?»
«Chiederti cosa? Avevo un dubbio, tutto lì! E poi non ero certo che tu sapessi tutto di Childes.»
«E che cosa avresti scoperto?» chiese lei, acida.
«Beh, sapevo più o meno quando era arrivato e che aveva una professione nel settore informatico. Chiesi a Victor Plamauer, che come sai è membro del comitato di polizia, di fare indagini discrete. Discrete davvero, te l’assicuro. Se aveva avuto a che fare con la legge, cose del genere.»
«Pensi che lo avrebbero assunto nei college se avesse avuto la fedina sporca?»