«Lo sono già, e molto anche.»
Sebire fremette, s’avvicinò alla porta e si voltò a guardarla. Amy conosceva bene suo padre, quella sua ferocia quand’era contrariato. Le parole erano semplici e controllate ma negli occhi gli bruciava una decisione irremovibile.
«Penso che sia ora che gli altri sappiano dei misteriosi trascorsi di Childes.» affermò prima di richiudersi dietro la porta.
Il sudore gli scorreva addosso, veri e propri rivoli che inzuppavano le lenzuola. Si girò su un fianco, le lenzuola umide gli si appiccicavano alla pelle, e avevano lo stesso acre odore che emanava il suo corpo.
La visione, l’apparizione, era ancora fresca nella memoria di Childes, tanto era stata reale, l’orrore così tangibile, palpabile. Lo riempiva ancora, potente, vivida.
Egli era stato presente, nel cimitero, tanto vicino al piccolo cadavere da sentirne il contatto umido e freddo. Per alcuni brevi istanti egli era vissuto dentro quell’altro essere, quella cosa, che aveva violato il bimbo defunto. Ne aveva sentito l’oscena esaltazione.
Eppure ne era stato anche distaccato, un osservatore passivo, impotente.
I pensieri continuavano a correre e con essi nella sua mente s’intrufolava come un’informazione viscida. Un’altra angoscia, un concetto inspiegabile, che gli fece emettere un lamento addolorato. Era un pensiero troppo penoso per potercisi soffermare, ma non lo lasciava. Non poteva esserne sicuro, per quanto la mente avesse potuto rimuoverne la coscienza, in qualche recondito angolino lui doveva sapere. Ma lui aveva sentito o no se quelle mani mostruose che estraevano il piccolo corpo dal giaciglio erano le sue?
La visione era in realtà un ricordo? Il mostro era proprio lui? No, non poteva essere, non poteva.
Childes fissò la finestra serrata e ascoltò i rumori della notte.
Sedeva nell’ombra, guardando la sottile lama di luce lunare attraverso le finestre lerce; sogghignò ripensando alla cerimonia svoltasi nel cimitero quella sera stessa.
Ripensò al momento stupendo in cui aveva squarciato quel corpo, allo scempio delle interiora, e si esaltò al ricordo.
Si umettò le labbra con la lingua. Il cuore immobile aveva un buon sapore.
Ma una smorfia ne stravolse il volto.
Nel cimitero, per un attimo appena, mentre estraeva dalla bara il corpicino, una sensazione aveva frenato il suo gesto, la sensazione di essere osservata. Eppure il cimitero era deserto, questo era sicuro, a far da spettatori notturni solo le lapidi e gli angeli congelati.
Eppure c’era stato un contatto con qualcosa, con qualcuno. Una congiunzione di spiriti.
Chi?
E come era possìbile?
La figura si mosse sulla sedia mentre una nube avviluppava la luna; il respiro si fece breve e aspro finché non rivide il debole chiarore. Analizzò l’eventualità che qualcuno sapesse, sforzò la mente alla ricerca dell’intruso, cercò ma non trovò nulla. Non ancora.
Ma c’era tempo, c’era tempo.
«Ha il viso un po’ pallido.» fece Estelle Piprelly mentre Childes, entrato nello studio, si sedeva su una sedia di fronte alla grande scrivania.
«Sto benissimo.» rispose.
«Ma si è fatto male.»
Lui sollevò la mano fasciata a mo’ di difesa. «Ho rotto un bicchiere, niente di serio, qualche taglietto.»
Il soffitto della stanza era alto, le pareti coperte fino a metà altezza di rovere chiaro, poi dipinte di un riposante verde pastello; uno dei muri era invece arredato con scansie piene di libri. Un ritratto del fondatore del la Roche troneggiava sul muro alla destra di Childes: era indubbiamente somigliante, ma, come tanti dipinti dell’epoca vittoriana non esprimeva nulla del carattere del personaggio ritratto. Accanto alla porta un antico orologio ticchettava rumoroso come se ogni secondo che passava fosse di per sé importante. Childes guardò oltre la preside del La Roche, fuori il sole splendeva dalle grandi finestre accendendo d’argento i capelli grigi della donna. La vista dava sui grandi giardini del college, i fiori e gli arbusti risvegliati dal novello tepore, le serre imbiancate che rilucevano nel sole, abbaglianti. Oltre le mura vi erano le scogliere aspre, bastioni a difesa dal mare che andavano lentamente erodendosi. Il blu scuro segnava il confine tra mare e cielo, un segno netto tra i due elementi così simili. Benché la stanza fosse spaziosa e i colori morbidi Childes si sentiva imprigionato, come se i muri reprimessero una energia che lui stesso emanava, una forza che il suo corpo non era capace di racchiudere. Sapeva bene che non era altro che una leggera claustrofobia, niente di più, in gran parte dovuta anche all’imminente confronto con la preside.
«Ho ricevuto una telefonata di Victor Platnauer stamattina,» iniziò la Piprelly, confermando quel che lui si aspettava, «so che vi siete incontrati in casa di amici sabato sera.»
Childes annuì.
«Mi ha parlato del suo, ehm, spiacevole incidente» continuò la preside. «Ha detto che lei ha avuto uno svenimento durante la cena.»
«La cena era appena terminata.»
«Era preoccupato del suo stato di salute» disse lei sbirciandolo con una enorme freddezza. «Del resto lei capisce che abbiamo una enorme responsabilità nell’insegnamento ai giovani, un avvenimento del genere in classe potrebbe provocare chissà quali traumi alle ragazze. In quanto nostro amministratore, il consigliere Platnauer sentiva l’esigenza di verificare che questi avvenimenti non fossero frequenti. Mi pare ragionevole, non le sembra?»
«È stata la prima volta, glielo assicuro!»
«Ha idea del perché è accaduto? È andato da un medico?»
Egli esitò un attimo prima di rispondere. «No, a tutt’e due le domande. Sto bene ora, non ho bisogno di un medico.»
«Sciocchezze! Se è svenuto ci sarà pure un motivo.»
«Forse sì, ecco, ero piuttosto teso sabato. Una questione personale.»
«Abbastanza da farla svenire?» disse lei in tono ironico.
«Posso solo dirle che non era mai accaduto prima. Sono in buona salute attualmente, anzi forse sto meglio di quanto non sia stato da un pezzo. La vita qui sull’isola è per me un grosso cambiamento, un modo diverso di vivere rispetto al mio precedente lavoro, senza stress, senza la concorrenzialità dovuta alla carriera. E devo aggiungere che il mio matrimonio era stato poco sereno negli ultimi anni. Le cose sono cambiate da quando sono venuto qui, mi sento più rilassato, più felice, oserei dire.»
«Sì, posso crederle. Ma come le ho detto prima quando è entrato, lei ha l’aria un tantino tesa.»
«Quel che è successo ha scioccato anche me, oltre agli altri commensali» disse un poco risentito.
Era a disagio di fronte allo sguardo scrutatore della donna; distolse gli occhi spolverandosi un inesistente granello di polvere dai pantaloni di velluto a coste. Per un attimo gli sembrò che lei penetrasse fin dentro la sua anima.
«Va bene, Childes, non intendo insistere in merito. Comunque le suggerisco di vedere un medico al più presto, quello svenimento potrebbe essere il sintomo di qualche malattia di cui lei non sa nulla.»
Lui si sentì sollevato ma non disse niente.
La Piprelly tambureggiò con la stilografica sulla scrivania come se fosse il martelletto di un giudice. «Victor Platnauer mi ha anche informata di qualcosa che ha a che fare con il suo passato, e di cui, e mi spiace dirlo, lei non mi ha mai riferito.»
Egli si drizzò sulla sedia, il corpo teso, le mani strette intorno alle ginocchia, ben sapendo quello che sarebbe seguito.