«Mi riferisco naturalmente alle sue spiacevoli esperienze con la polizia prima che lei arrivasse sull’isola.»
Avrebbe dovuto rendersi conto che certe cose non si dimenticavano facilmente, l’Inghilterra era troppo vicina, troppo accessibile perché certe notizie non filtrassero. Ma Platnauer ne era stato sempre a conoscenza? No, la cosa si sarebbe saputa prima. Qualcuno glielo aveva detto di recente, e Childes sorrise tra sé e sé: Sebire aveva indagato sul suo passato, oppure Amy ne aveva parlato col padre, e questi aveva informato l’amministratore della scuola. In un certo senso era contento che il segreto non fosse più tale, anche se erano solo affari suoi. La rimozione porta alla depressione, non è così? si chiese.
«Tutto vero!» rispose ad alta voce.
«Come dice prego?» la preside aveva l’aria sorpresa.
«Le mie esperienze con la polizia, come dice lei. Li ho solamente informati. Li ho aiutati, sul serio, a risolvere un’indagine.»
«Così mi si dice. Per quanto il modo fu alquanto strano, non crede?»
«Sì. Direi proprio strano. Tanto che il ricordo ancora mi lascia sbalordito. In quanto al non averla informata, non ne vedevo la necessità, non fui coinvolto nella faccenda.»
«Ma certo. Non ne sto facendo un caso, mi creda.» Era la volta di Childes ad essere sorpreso. «La mia posizione qui non è dunque messa in discussione?»
Il ticchettio dell’orologio segnò il tempo della pausa: sei secondi.
«Mi pare giusto dirle che ho chiesto alla nostra polizia di darmi ulteriori delucidazioni in merito. Lei ne può capire i motivi, vero?»
Ella non sorrise e mantenne i soliti modi bruschi ma Childes la vide in una nuova luce quando disse: «Non ne vedo alcun motivo, per ora, sempre che lei non abbia qualcos’altro da dirmi, che comunque verrei a sapere?»
Scosse la testa. «Non ho nulla da nascondere, glielo assicuro.» «Molto bene. Abbiamo molto bisogno delle sue conoscenze specifiche, altrimenti non le avremmo chiesto di dedicare al La Roche una fetta maggiore del suo tempo e tutto questo l’ho spiegato a Victor Platnauer. Devo dirle però che dapprima non era molto convinto delle mie argomentazioni, comunque è un uomo giusto. La terrà d’occhio però, Childes, e anch’io. Siamo d’accordo che la questione rimarrà rigorosamente segreta. Il La Roche non può permettersi la pubblicità collegata a un caso del genere, abbiamo un’ottima reputazione da mantenere e difendere.»
Estelle Piprelly si appoggiò allo schienale, e per quanto il suo corpo rimanesse diritto, l’atteggiamento pareva quasi rilassato. Continuò ad osservare con attenzione Childes, con quello sguardo penetrante e profondo, la stilografica dritta tra le dita come un paletto di confine. Lui si chiese come fosse realmente, cosa pensasse di lui, il perché di quell’improvviso lampo di paura dietro alle spesse lenti degli occhiali.
Lei si riprese subito lasciandolo con il dubbio di aver visto giusto, perché non vi era stato alcun cambiamento nei suoi modi.
«Non la tratterrò più a lungo,» disse asciutta, «sono sicura che abbiamo entrambi molte cose da fare.»
Voglio che se ne vada, pensò tra sé e sé, subito! Non era colpa dell’uomo, non poteva essere incolpato per quell’incredibile sensibilità che possedeva, così come lei stessa non era responsabile delle sue eccezionali facoltà. Non poteva mandarlo via per quello, sarebbe stato troppo ipocrita, e crudele. Ma lo voleva fuori dalla stanza, adesso, subito. Per un attimo aveva avuto la sensazione che lui l’avesse riconosciuta, avesse visto attraverso la sua maschera perenne, avesse presentito quella sua abilità, un dono di natura tanto inaccettabile a lei quanto lo era la cattiva pubblicità per la scuola. Il suo segreto, la sua pena, era privata, da non condividere con nessuno. Troppo a lungo era stato coperto, nascosto, per anni. Avrebbe corso il rischio di continuare ad averlo come insegnante, era giusto in fondo… ma lei si sarebbe tenuta lontano da lui, non gli avrebbe mai dato la possibilità di scoprire la loro somiglianza. Sarebbe stato sciocco, dopo tanto tempo, pericoloso addirittura, per una persona nella sua posizione.
«C’è qualcos’altro che deve dirmi Childes?». Trattenne a stento l’impazienza, anni di ferrea disciplina la assistevano.
«Solamente grazie, sono contento di avere la sua fiducia.»
«La fiducia non c’entra niente. Innanzi tutto se avessi pensato che lei non meritava fiducia non l’avrei assunta. Diciamo che ho bisogno delle sue capacità.»
Lui riuscì a sorriderle mentre si alzava, iniziò a dire qualcosa poi ci ripensò ed uscì dalla stanza.
La preside appoggiò la testa all’alto schienale; il sole sulle spalle non riuscì però a disperdere quel senso di gelo.
Una volta fuori nel corridoio Childes cominciò a tremare. Quella mattina si era convinto di aver ripreso il controllo di se stesso, che buona parte dell’angoscia si fosse dissipata il giorno precedente, espulsa letteralmente dall’organismo, lasciandolo talmente spossato che una volta tornato a casa sarebbe stato subito preda del sonno. E così fu. Un sonno senza sogni, senza quel rigirarsi inquieto, senza lenzuola intrise di sudore; solo alcune ore di oblio. Quella mattina si era svegliato riposato, le immagini viste il sabato sera appena un ricordo sommesso, ancora fastidioso, ma relegato in qualche comparto lontano della memoria, un riflesso inconscio, una specie di autodifesa mentale, ci doveva essere un termine medico preciso per definire quel tipo di reazione.
Il giornale del mattino mandò in frantumi quella fragile difesa.
Aveva comunque compiuto tutti i gesti del vivere quotidiano deciso ad arrivare in fondo alla giornata; poi, nel frattempo, c’era stato l’incontro con la Piprelly. E ora tremava.
«Jon!»
Si voltò allarmato, ed Amy vide la paura sul suo volto. Gli si avvicinò sollecita.
«Jon cos’hai? Hai il viso stravolto.»
Childes si aggrappò a lei brevemente. «Andiamocene da qui,» disse, «puoi allontanarti per un po’?»
«Sì certo, c’è ancora l’intervallo per il pranzo, ho una mezz’ora prima delle lezioni.»
«Facciamo un giro in un posto tranquillo!»
Si separarono nel sentire dei passi lungo il corridoio ed infilarono le scale che portavano all’ingresso principale; non dissero nulla fin quando non furono fuori, al sole, che li scaldò dopo il fresco dell’edificio.
«Dov’eri ieri?» chiese Amy. «Ti ho cercato tutto il giorno.»
«Pensavo che tu stessi facendo vedere l’isola a Edouard Vigiers.» Non c’era critica nel commento.
«L’ho fatto per un’oretta. Ma lui aveva capito che ero in pensiero per te e ha deciso di tagliar corto. Inoltre non ero un granché come compagnia.» Si avviarono verso il parcheggio. «Sono passata dal cottage ma non c’era anima viva, ero preoccupata.»
«Mi dispiace Amy, avrei dovuto pensarci. Ho sentito il bisogno di uscire, non potevo star chiuso lì dentro.»
«Per quello che è successo a cena?»
«Sì, non mi sono certo attirato le simpatie di tuo padre.»
«Non è questo l’importante. Voglio sapere Jon.» Lo prese per il braccio.
«Sta ricominciando tutto daccapo Amy. L’ho capito da quella volta alla spiaggia. Le stesse sensazioni, come se fossi altrove; guardavo, vedevo un qualcosa che accadeva e non avevo alcun potere sugli eventi.»
Erano arrivati alla macchina e lei vide che gli tremavano le mani. «Forse è meglio che guidi io» suggerì.
Egli aprì la portiera e le consegnò le chiavi senza discutere. Presero una stradina che conduceva al mare. Di tanto in tanto lei gli gettava un’occhiata mentre guidava e la tensione di lui ben presto prese anche lei. Si fermarono in uno spiazzo che sovrastava una piccola insenatura, il mare in basso era di un azzurro smagliante, verde a tratti e più chiaro sulle secche. Attraverso i finestrini aperti potevano sentire la risacca infrangersi sui ciottoli della spiaggia. In lontananza il traghetto rollava attraverso le acque placide verso il porto, dal lato orientale dell’isola.