Childes si appoggiò alla parete con gli occhi chiusi.
«Ci hanno detto che è andato fuori strada.»
«Già» fu tutto quel che Childes riuscì a rispondere.
L’ascensore si fermò dolcemente, la porta scorrevole si aprì per lasciar entrare un inserviente che spingeva una sedia a rotelle. Una donna anziana si contemplava mestamente le mani deformate dall’artrite, e quasi non si accorse degli altri uomini tanto era presa dalla propria malattia. Nessuno parlò fin quando non si riaprì la porta del piano terreno. L’inserviente uscì con la sedia a rotelle ed il suo carico di tristezza, fischiettando allegramente. «Ho preso una macchina in affitto per il fine settimana, possiamo andarcene in un posto tranquillo a chiacchierare» gli disse Overoy, tenendo aperte le porte che già iniziavano a rinchiudersi. «Anche se la sua macchina andasse ancora non credo che lei sarebbe in grado di guidarla. Ehi, siamo arrivati, sa?»
Childes si scosse. «Cosa?»
«Siamo arrivati.»
«Mi scusi.»
«È sicuro di star bene?»
«Sì, sono solo stanco.»
«In che condizioni era la sua macchina?»
«Pessime.»
«Da buttare?»
«Oh, l’aggiusteranno prima o poi.»
«Allora prendiamo la mia.»
«Può portarmi a casa?»
«Certo. Bisogna che parliamo un poco però.»
«Parleremo, sì.»
Lasciarono l’ospedale e trovarono la macchina noleggiata da Overoy nel parcheggio riservato ai medici. Montarono e Childes si accasciò sul sedile con un sospiro di sollievo. Prima di mettere in moto Overoy disse: «Lei sa che devo partire domani sera,» Childes annuì con gli occhi chiusi, «quindi se ha ancora qualcosa da dirmi…»
«Mi ha costretto ad andare fuori strada.»
«Come sarebbe a dire?»
«L’ho visto che mi guardava, Overoy. Era sul sedile posteriore. Ma non c’era veramente!»
«Aspetti un attimo. Lei crede di aver visto qualcuno sul sedile posteriore e questo è il motivo per cui è andato fuori strada?»
«Era lì! Ha cercato di strozzarmi!»
«E la signorina Sebire può confermarlo? Lo ha visto anche lei?»
«Non lo so. No, non può averlo visto, era solo nel mio cervello. Ma io sentivo quelle mani strozzarmi, le sentivo!»
«Non è possibile!»
«Posso mostrarle i segni. Li ha visti anche il dottor Poulain». Si allentò il colletto e Overoy accese la lucetta interna. «Li vede?» chiese Childes.
«No Jon. Solo qualche graffio, niente ematomi.»
Childes girò lo specchietto e allungò il collo per guardarsi. Era vero, non aveva alcun segno sul collo.
«Mi porti a casa» disse esausto. «Facciamo questa chiacchierata!»
Era in piedi, nel buio dell’antica e solitaria torre. Era immobile, in silenzio, si godeva il vuoto. Il buio oblio.
Il suono delle onde che si infrangevano contro le scogliere più in basso entrava dalle aperture, echeggiando contro le pareti circolari, come tanti sospiri. La cosa nel buio si immaginò che fossero le voci sommesse di coloro che erano morti in mare, che si lamentavano in eterno dal loro limbo senza stelle. Il pensiero era divertente!
Un puzzo nauseante ristagnava tra le mura cadenti della torre, urina, feci e marciume, i rifiuti di coloro che non avevano interesse per i monumenti nè per la loro storia. Ma quegli odori non infastidivano la figura in agguato nel buio accogliente. Anzi, godeva di quel putridume.
Da qualche parte nella notte una bestiolina cadde vittima di un altro essere più veloce e più mortale.
Sorrise.
Le forze stavano crescendo. Quell’uomo era parte di questa costruzione. Ma non lo sapeva.
Ancora no. Ma ben presto lo avrebbe saputo.
E per lui sarebbe stato troppo tardi!
Estelle Piprelly scrutava il buio dalla sua finestra. La luna ammantata di nuvole dense rendeva tutto invisibile. I viali, gli alberi erano ancora lì, anche il mare che batteva contro la scogliera, ma per quanto la riguardava il mondo finiva dietro a quella finestra. Si sentiva così sola da riuscire quasi a credere che la vita fosse solamente un’illusione, un parto creativo della sua mente.
Ma non era la solitudine il problema, era abituata alla solitudine, quando non era impegnata in affollate riunioni di lavoro; no, era questo senso di vuoto minaccioso che risvegliava un’angoscia profonda, insopportabile. Gli umori della notte presagivano calamità.
Voltò la schiena alla sua immagine riflessa, la nota schiena diritta ora leggermente incurvata la faceva sembrare più fragile. Passeggiò per la stanza senza uno scopo preciso, senza un pensiero chiaro. Il viso era solcato da rughe di preoccupazione, le mani dentro le maniche del cardigan chiuse a pugno. Le labbra erano meno tirate, meno decise del solito.
Non era soltanto la notte tetra a turbare la preside del La Roche, nè tantomeno il silenzio inquietante. Proprio quella mattina aveva visto la morte affacciarsi nella sua scuola. Quel volto dissacrante era apparso nel viso di alcune ragazze. Così come da bambina, pur senza capire, aveva visto sui volti dei soldati che occupavano l’isola l’imminente massacro, oggi aveva visto la maschera della morte sul volto delle sue alunne.
L’agitazione montante la costrinse a sedersi. Sopra il camino un orologio a cupola con il quadrante di legno laccato scandiva il tempo. Lei si strinse addosso il cardigan coprendosi anche il collo. Il gelo le saliva da dentro.
La signorina Piprelly sembrava improvvisamente più vecchia, addirittura tremante sulla poltroncina. Rivolse la mente all’esterno, cercando disperatamente di percepire qualcosa, ma sapendo che le forze non le bastavano, che le sue capacità non arrivavano oltre un certo limite, non erano assolutamente paragonabili a quelle di Jonathan Childes. Era strano che proprio lui non sapesse quanto potere possedeva. Quell’uomo era un enigma preoccupante. Si voltò quando la finestra fu sfiorata da un ramo. S’aspettava quasi di vedere la Morte in persona.
La signorina Piprelly si chiese quanto fosse sicura la scuola; all’ingresso c’era un poliziotto di guardia, ogni tanto scendeva dall’auto accanto al cancello principale per pattugliare il parco; controllava tutte le porte e le finestre, e illuminava con la torcia i cespugli tutto intorno. Ma come poteva un poliziotto solo impedire a qualcuno di entrare in uno degli edifici con tutte le entrate che c’erano? La disposizione stessa del complesso della scuola rendeva difficile una sorveglianza accurata e offriva nascondigli a qualsiasi malintenzionato. Aveva parlato con l’ispettore Robillard proprio quel pomeriggio, pregandolo di provvedere (ma senza riuscir a spiegare le cause della sua preoccupazione), e lui l’aveva assicurata che la zona sarebbe stata ben sorvegliata e controllata. Che lo era stata da quando era stata aggredita Jeanette. Aveva detto di capire la sua preoccupazione ma di non condividerla, poiché era improbabile che il delinquente tornasse al La Roche adesso che sapeva che la polizia era all’erta. La preside sperava tanto che la calma sicurezza del poliziotto fosse giustificata.
Tornò a pensare a Jonathan Childes, come aveva fatto spesso negli ultimi giorni. Suo malgrado lei aveva dovuto chiedergli di allontanarsi dalla scuola, spiegando che non era sospeso dal posto, nè tantomeno sospettato di niente, soltanto che la sua presenza al La Roche sembrava aver messo in pericolo le ragazze e lei doveva innanzitutto pensare al loro benessere. Lei stessa, Victor Platnauer, e gli altri membri del consiglio avevano discusso il problema con l’ispettore Robillard ed avevano convenuto che sarebbe stato saggio tenerlo lontano dalla scuola per un po’ (evitò di dire che Platnauer aveva chiesto il suo immediato licenziamento). Dato che mancavano appena due settimane alla fine dell’anno scolastico, sperava che lui accettasse senza far difficoltà. E così fece, senza la minima esitazione.