Schermandosi gli occhi contro il bagliore accecante, diede un’occhiata veloce all’interno. La pelle delle mani e del viso gli si ustionò leggermente, il respiro sembrava dita di fuoco cacciate in gola. Tornò fuori, la vernice della porta già iniziava a gonfiarsi e a spaccarsi, a sua volta prossima a prender fuoco.
La scalinata era in fiamme, e lì accanto alla porta intravide una massa annerita che ancora bruciava. Non perse tempo a chiedersi di chi fosse stato quel corpo.
Childes voleva scappare, andarsene dalla scuola, andarsene via, dovunque. Temeva per sé, ma si rendeva conto del pericolo che correvano gli altri, quelli che erano ai piani superiori: le ragazze del college e qualche membro del personale che era alloggiato al La Roche. Ormai i segnali di allarme dovevano averli sicuramente destati, sarebbero stati in preda al panico, spaventati a morte; avrebbero subito pensato alla scalinata principale che era la via di fuga più vicina, ma l’avrebbero trovata già invasa dalle fiamme; forse la paura avrebbe fatto loro scordare le procedure di emergenza tante volte eseguite con disciplina estrema.
Prima di dirigersi verso il retro dell’edificio dove si trovava la scala antincendio, Childes allungò il braccio nell’inferno di fuoco tirando a sé il grande portone, e urlò dal dolore nel toccare il metallo rovente. Tenendo duro richiuse la porta, appena un tentativo per evitare che il risucchio d’aria alimentasse le fiamme che minacciavano le scale. La porta rimbalzò contro gli stipiti, il legno ormai deformato. Childes lasciò perdere e scese di corsa le scale, correndo lungo un lato della scuola, passando sotto le finestre illuminate, curvandosi per evitare i vetri che andavano in frantumi.
Quando girò l’angolo venne investito da un freddo intenso, come se si fosse improvvisamente aperto lo sportello di un congelatore. Il sudore gli si gelò addosso. Era al buio, da quel lato non c’erano bagliori di fiamme, non ancora. Sul prato si riflettevano macchie di luce provenienti dalle finestre dei corridoi e dei dormitori. Tenendosi radente al muro Childes corse fino all’angolo successivo e scorse poco lontano la scala antincendio. Trovò la porta già aperta. Il vetro era già stato rotto all’altezza del lucchetto.
Childes non perse tempo a chiedersi chi fosse stato e perché; spinse la porta e cercò l’interruttore che sapeva essere lì a fianco.
Il fumo acre erano già penetrato fin lì, anche se non così tanto da essere preoccupante. I campanelli d’allarme, che all’interno erano molto più forti, non facevano altro che aumentare la sua paura con il loro suono stridulo e incessante. Affrontò comunque gli scalini di pietra a tre a tre, i suoi nervi scoperti lo rimandavano a un ricordo analogo appena tre giorni prima.
Stavolta però le vite in pericolo erano molte.
Il fumo si fece più denso mentre saliva e si poteva udire il frastuono scoppiettante delle fiamme. Poi delle voci, passi che scendevano, si avvicinavano, luci dall’alto. Intravide dei movimenti lungo le scale. Grazie a Dio stavano scendendo!
Sostò al primo piano scrutando il corridoio che si apriva alla sua destra. In fondo c’era l’inferno, il fuoco divorava tutto dal soffitto al pavimento. Il calore rovente rombava lungo il passaggio lambendolo.
Avanti, era sciocco fermarsi, anche un solo secondo. Era sciocco fermarsi per valutare il pericolo.
Le voci erano ormai vicine, forse solo un piano sopra di lui. Childes continuò a salire, il fumo gli bruciava gli occhi, l’aria stessa sembrava bruciare, inaridita, malgrado le fiamme fossero ancora lontane. Si chiese quanto si fosse propagato il fuoco. Poi vide apparire le prime figure barcollanti e corse loro incontro.
Una bambina di non più di dieci anni in camicia da notte e a piedi nudi, gli cadde tra le braccia, con il viso rigato di lacrime.
«Sei in salvo» le disse, guardando le altre assieparsi alle sue spalle. «Tra poco sarai fuori.»
«Signor Childes, Signor Childes, è proprio lei?». Si sentì chiamare da qualche parte. Un’altra figura si avvicinò. Come le ragazze era anche lei vestita da notte, e si stringeva addosso la vestaglia come se questa potesse difenderla dal calore montante. Portava un paio di scarpe da passeggio senza tacchi, tanto che per un attimo la scambiò per la preside, ma riconobbe subito Harriet Vallois, l’insegnante di storia che era anche una delle tutrici interne.
«Sono tutte uscite dai dormitori le ragazze?» urlò, per superare il clamore dei campanelli d’allarme e delle bambine terrorizzate. Alcune di loro tossivano, l’aria si faceva sempre più irrespirabile.
«La governante e la signorina Todd stanno controllando.» Il tremore delle labbra suggeriva che anche lei era ormai sull’orlo delle lacrime. «Mi hanno mandata avanti con questo gruppo.»
La prese per le spalle per sostenerla. «La signorina Piprelly è con loro?»
«No, no. Sono passata dalla sua stanza, ho bussato ma non c’era nessuno. Ho pensato che fosse andata direttamente nei dormitori… ma non era neanche lì.»
Quel corpo carbonizzato nell’ingresso!
Childes rabbrividì. Il corpo poteva anche essere quello del piromane, morto nell’appiccare il fuoco, chiuso nella sua stessa trappola. Non poteva essere certo che fosse Estelle Piprelly quel corpo annerito, non poteva essere! Eppure lui ne era sicuro, non aveva il minimo dubbio.
Harriet Vallois guardava disperata le scale, gli occhi sbarrati. «Porti fuori le ragazze!» le ordinò, stringendole forte il braccio. Il dolore la fece riprendere.
«Le porti fuori!» ripeté, sospingendola verso le scale e consegnandole la bambina che era rimasta aggrappata alle sue gambe. «State unite e non fermatevi per nessun motivo.» Poi sottovoce aggiunse. «Non ci rimane molto tempo».
Lei si spaventò ancora di più. «Ma lei non ci aiuta?» lo pregò.
Oh sì! Lui avrebbe tanto voluto aiutarle, scendere insieme a loro, uscire da quel luogo di morte in cui già un cadavere giaceva carbonizzato nell’atrio principale, dove chissà chi o cosa si aggirava per i corridoi e dove fiamme terrificanti divoravano tutto.
«Andrà tutto bene» la rassicurò. «Siete quasi arrivate. Io devo andare ad aiutare le altre di sopra.»
La sospinse verso le scale e prendendo per le spalle la ragazza più vicina la invitò a seguirla; le altre si accodarono e lui le consigliò di stare attente e non inciampare, tranquillizzandole una a una man mano che passavano. Stimò che ne erano passate per lo meno una trentina e altre ancora continuavano ad arrivare. Cnildes non aveva idea quante delle trecento e più allieve del La Roche fossero a convitto, ma stimò che dovevano essere almeno una sessantina. A parte Estelle Piprelly solo due delle insegnanti e la governante erano interne nel colle|e a badare alle ragazze. Aumentò l’andatura nonostante la risalita diventasse sempre più dura, l’aria più irrespirabile. Più saliva e più denso si faceva il fumo. I vapori fuligginosi parevano l’avanguardia velenosa dell’incendio che li creava. Era più forte ora anche il rumore dell’incendio, le travi si schiantavano come colpi di fucile all’interno della fornace. E sopra a tutto si sentiva il suono impazzito degli allarmi.
Cominciava a soffocare: tirò fuori il fazzoletto e se lo portò alla bocca. Arrivavano altre ragazze, annunciate da grida strozzate. «Andate avanti!» gridò loro, anche se non sembravano avere bisogno di incitamenti. Apparvero due delle ragazze più grandi che ne sorreggevano un’altra in preda a un attacco isterico paralizzante. Childes fu tentato di prendere in consegna la ragazzina e di portarla giù lui stesso, ma comprese che il terzetto ce l’avrebbe fatta anche da solo.
Qualcuno gli cadde addosso e lui tese le braccia per evitare che cadesse.
«Eloise!» esclamò, riconoscendo l’altra insegnante che era alloggiata nella scuola.