Выбрать главу

«La polizia lo troverà. Non ha modo di andarsene dall’isola.»

«Non credo che gliene importi più niente di andarsene.»

Un dolore lancinante, di nuovo. Childes annaspò.

«Jon?»

«Adesso ti lascio riposare Amy.»

«Ho riposato più che abbastanza. Adesso è il momento di parlare.»

«Domani.» C’era un che di spiacevolmente indeterminato in quella parola. «C’è qualcosa che non vuoi dirmi?» chiese lei quasi con cautela.

«No!» mentì lui. «È solo che sono stanco di stare in disparte a guardare tutte queste atrocità senza fare niente.»

«Non c’è niente che tu possa fare. È compito della polizia sistemare la cosa.»

«Forse.»

Lei avvertì di nuovo quel tono nella sua voce; era solenne ma c’era un fondo di rabbia, un’ira contenuta ma nervosa, l’aveva captata appena aveva alzato il telefono, forse persino prima che parlasse, come se la potenza di quell’energia fluisse lungo i fili. Era impossibile, lei lo sapeva, ma allora perché si sentiva così a disagio, così indebolita da questa… immaginaria?… forza?

«Dormi Amy. Riposati», le disse Jon.

Improvvisamente si sentì stanchissima, quasi lui avesse dato un ordine direttamente al suo corpo. Doveva dormire!

«Jon…»

«A domani Amy.»

La sua voce era vuota, sembrava l’ultimo rimbalzare di un’eco. Il ricevitore le sembrò incredibilmente pesante.

«Sì, a domani Jon», disse lentamente. Le palpebre erano stranamente pesanti. Ma cos’era, un’ipnosi per telefono? «Jon…» tentò di protestare, ma non trovò l’energia necessaria per finire la frase.

«Ti amo tanto Amy.»

«Anch’io…»

Di nuovo un clic, la linea fu interrotta. Un’improvviso profondo senso di perdita quasi la ridestò. Ma lui aveva detto di riposare, di dormire.

Il ricevitore le scivolò dalle dita.

Childes posò il telefono e si chiese se le pillole che Amy prendeva non contenessero anche un sedativo oltre all’analgesico. Andò nel bagno per sciacquarsi la faccia, anche lui si sentiva spossato… e paradossalmente, anche straordinariamente all’erta. Riempì il lavabo d’acqua fredda e si spruzzò ripetutamente il viso premendovi gli occhi chiusi con le dita bagnate. Infine si rialzò scrutandosi nello specchio; si guardò negli occhi notando le pupille arrossate attorno alle lenti a contatto. Se lo specchio avesse potuto rifletterlo, avrebbe notato anche l’alone di brevi raggi bianco-violetti di energia eterea irradiata dal suo corpo.

Si asciugò il viso e le mani, poi tornò nel soggiorno. Di nuovo sprofondò nel divano, resistendo alla tentazione di versarsi un bel bicchiere di whisky. Doveva mantenersi lucido, non poteva rischiare di intorpidire i sensi bevendo. La pietra sembrava più luminosa, la fiammella azzurra era quasi scomparsa.

Di nuovo quel dolore nella testa, piccole staffilate ripetute stavolta. Ma lui sopportò. Solo il desiderio urgente di parlare con Amy aveva interrotto quel lungo esercizio della mente e prima ancora il bisogno di sentire la voce di Gabby. Ora non ci sarebbero state altre interruzioni. Amy e Gabby erano al sicuro, lontane dal pericolo. Poteva concentrarsi liberamente. Ma era doloroso, incredibilmente doloroso. Chiuse gli occhi. E continuava a vedere la pietra.

Li riaprì quando gli parve di sentir bisbigliare. Si guardò attorno. Il bisbigliare cessò. Era solo nella stanza. Richiuse gli occhi.

E di nuovo sentì il sommesso bisbigliare.

Permise alla sua mente di inseguire quei suoni, di assorbirli ed esserne assorbita, e tutto avvenne velocemente. (La ricerca era stata lentissima, ore e ore di sondaggi, di esplorazioni). Fu come una valanga di neve in alta montagna, una massa bianca, soffice e cedevole, che precipitava quasi senza scosse, sprofondando in se stessa.

Bisbigli.

Voci.

Alcune le riconobbe. Erano delle ragazze del La Roche, quelle che si erano fuse in un’unica massa ardente quando erano precipitate nel vortice di fiamme. Incenerite, cremate in un unico cumulo di polvere.

Altre.

Una vocina stridula come quella di Gabby, ma non era la sua.

Altre ancora. Impazzite anche da morte. Quasi ne sentiva la presenza.

Voci che lo mettevano in guardia. Altre che gli davano il benvenuto.

La testa gli girava. Ora la pietra era diventata la luna, una luna palpitante e che si espandeva, incombeva… minacciava…

… Raggiunse, stavolta in modo completo, la mente malata e maligna dell’altro…

* * *

Se l’agente Donnelly non avesse considerato sacra ogni forma di vita persino quella dei conigli che si bloccavano in mezzo alla strada paralizzati dai fari delle macchine, probabilmente non avrebbe perso le tracce della macchina che aveva l’ordine di pedinare.

Sta di fatto che aveva visto Childes uscire dal cottage, ben visibile illuminato com’era dalla luna, salire in macchina e allontanarsi lungo il viale. Dopo averne dato comunicazione alla centrale il poliziotto si era messo in moto, rimanendo a una distanza discreta ma sufficiente.

Il coniglio (ma forse era una lepre? Dicono che le lepri hanno una morbosa soggezione della luna e corrono all’impazzata le notti in cui brilla) era apparso a una curva e Donnelly aveva frenato appena in tempo, sterzando verso sinistra, fermandosi sul ciglio con il muso dell’auto nella siepe.

Il coniglio (o la lepre, come si faceva a riconoscerli?) era rimasto lì, accucciato in mezzo alla strada, tremante di terrore, gli occhioni neri e lucidi che fissavano tremebondi il buio. Il poliziotto era dovuto scendere per scacciare quella stupida bestiola. Quando l’agente Donnelly aveva ripreso l’inseguimento i fanalini di coda della Renault erano scomparsi.

Pareva che la macchina e il suo autista fossero svaniti nel nulla, ingoiati dal paesaggio imbiancato dal chiaro di luna.

* * *

Prima fu lo scampanellio alla porta a scuoterla dal sonno, poi il suono delle voci la risvegliò del tutto. Una era sicuramente quella del padre, ed era arrabbiato. Tirò via il lenzuolo, con un leggero sforzo si mise in piedi, si avvicinò alla porta della stanza zoppicando un poco e socchiuse la porta quanto bastava per sentire.

Le voci le giungevano comunque soffocate, ma il padre evidentemente stava reclamando per l’ora tarda a cui avveniva la visita. Le sembrò di riconoscere anche le altre due voci. Amy si unì alla madre che si trovava accanto alle scale e guardava l’atrio in basso dove i tre uomini stavano discutendo. Uno era appunto Paul Sebire, ancora vestito perché stava lavorando nello studio. Gli altri due erano l’ispettore Robillard e Overpy. Amy si domandò come mai Overoy fosse di nuovo sull’isola. Rimase accanto alla madre e ascoltò.

«È assolutamente ridicolo Robillard,» stava dicendo Sebire, «perché mai dovrei sapere dov’è? In tutta franchezza, se anche non lo vedessi mai più non mi dispiacerebbe affatto.»

Fu Overoy a rispondergli. «Voglio sapere se la signorina Sebire ha parlato con lui oggi.»

«Può darsi che mia figlia e lui si siano sentiti in questi giorni, ma Aimée non ha idea di dove possa essere a quest’ora di notte.»

Amy e la madre si scambiarono uno sguardo d’intesa. «Vai a prendere la vestaglia e vieni giù» disse Vivienne alla figlia, e si diresse verso le scale. «Ispettore!» lo chiamò scendendo. «Amy ha ricevuto una telefonata da Jonathan stasera.»

Paul Sebire guardò la moglie prima sorpreso quindi infastidito.

«Ah!» fece Overoy, e attese che fosse scesa. «Potremmo scambiare qualche parola con la signorina? È una cosa molto urgente.»

«State a sentire!» esclamò Sebire. «Mia figlia sta dormendo e non deve essere disturbata. Non si è ancora rimessa dall’incidente.»