«Non c’è nessun problema, sono qui.»
Sebire si voltò di scatto e vide la figlia sulle scale. Amy non lo guardò nemmeno; non gli aveva quasi più rivolto la parola da quando aveva saputo che aveva aggredito Jon all’ospedale.
Overoy guardò con dispiacere la benda sull’occhio di Amy e il suo braccio ingessato. Camminava rigida e zoppicava. I segni delle ferite deturpavano un poco il volto levigato e abbronzato che ricordava dai loro precedenti incontri.
«Ci dispiace darle disturbo a quest’ora, signorina» si scusò Robillard, decisamente a disagio in quell’atrio con la porta d’ingresso ancora aperta alile loro spalle. «Ma come abbiamo già spiegato al signor Sebire si tratta di una cosa molto importante.»
«Non si preoccupi ispettore, se si tratta di Jon sono prontissima ad essere d’aiuto. Cosa è successo?»
«Dovresti essere a letto a riposare, Amy» fece Paul Sebire quasi supplicandola.
«Falla finita papà! Sai benissimo che il medico ha detto che domani posso alzarmi e anche uscire, se voglio.»
Overoy intervenne: «Mi dispiace molto del suo incidente, signorina. Jon mi ha detto tutto. E il suo occhio…?»
Nonostante l’ansia di sentire cos’era successo a Jon, Amy sorrise. «Niente di grave a quanto pare, non avrò problemi alla vista. La benda serve solo ad evitare infezioni all’occhio e per farlo riposare per qualche giorno. Ma mi dica tutto, per favore».
Vivienne si avvicinò alla figlia e le passò un braccio attorno alla vita.
«Il signor Childes è scomparso dal suo cottage» disse l’ispettore Robillard. Oltre la sua spalla all’esterno Amy notò che erano parcheggiate molte auto della polizia, non solamente la loro. Le venne un nodo alla gola. «Uno dei nostri agenti che lo sorvegliava… ha perso le sue tracce mentre lo seguiva in campagna.»
«Non capisco.»
«Ci chiedevamo se Jon non avesse telefonato a lei per dirle dove intendeva andare» le spiegò Overoy, grattandosi la tempia con un dito macchiato di nicotina.
Amy guardò prima uno poi l’altro poliziotto. «Sì, mi ha chiamato prima ma non ha detto che usciva. Semmai sembrava stanco. Ma perché lo volete sapere? Non sarà mica sospettato di qualcosa?»
«Non lo è mai stato per quello che mi riguarda» affermò Overoy, guardando con una punta di disprezzo il collega. «Io ho preso il primo volo perché volevo parlare con lui. Spero anche di poter aiutare la polizia locale ad effettuare un arresto.»
Fece una pausa guardandoli entrambi e aggiunse: «Abbiamo identificato la persona responsabile di queste follie. Abbiamo fatto accertamenti e sappiamo che è sull’isola. Ma potrebbe arrivare a Jonathan Childes prima di noi.»
Childes rimase dentro la macchina, improvvisamente preso da una paura terribile. L’aveva attirato in quel luogo, inducendogli nella mente l’immagine di un grande lago illuminato dalla luna. Ma non esisteva un lago di quelle dimensioni sull’isola. C’era solo questa distesa di acqua, una valle che era stata sbarrata da una grande diga, formando ora una riserva di acqua alimentata dai torrenti che scendevano verso il mare.
Una voce, era stata proprio una voce, forse un pensiero, lo aveva invitato, attirato con una promessa.
Chi istigava quel pensiero non aveva sostanza, o forma. Quando Childes cercava di concentrarsi, la sua coscienza si richiudeva in se stessa. Dietro gli occhi Childes vedeva una sorgente di luce, una luna che si stagliava netta contro gli abissi della sua mente e impediva ogni raziocinio.
Lo voleva lì, e Childes non aveva opposto resistenza.
La promessa! Un movente?
La fine delle morti. La fine della tortura. E, forse, una risposta ai suoi stessi misteri.
Questo pensiero lo spinse ad aprire lo sportello, così come lo aveva guidato attraverso i viottoli di campagna fino a lì. Era sicuro di essere seguito quando era partito dal cottage. Una macchina della polizia, sicuramente, sapeva di essere sorvegliato giorno e notte, ma le luci dietro a sé erano scomparse, l’altro aveva probabilmente preso una svolta diversa nell’intrico di viuzze. Stava diventando anche paranoico? Beh, si poteva anche capire.
La notte era fresca malgrado la stagione, una brezza soffiava dal mare dando sollievo alla terra dopo la calura diurna. I jeans e il maglione non erano sufficienti per scaldarlo, aveva continui brividi lungo la schiena; si tirò su il bavero della giacca attorno al collo. La luna piena era sempre tersa, non offuscata da nuvole, e il suo freddo chiarore illuminava la campagna; sembrava stranamente piatta, e le ombre erano nere e insondabili. Il cielo era tanto luminoso da rendere invisibili i milioni di stelle che lo costellavano. Mentre Childes si avvicinava alla diga gli parve che il paesaggio si fosse congelato intorno a sé.
Era teso e all’erta, con gli occhi scrutava il terreno attorno. Una figura immobile si sarebbe confusa facilmente con le ombre scure e le forme strane dell’ambiente. Quel cespuglio poteva essere una belva in agguato; quel tronco con le radici tese che affioravano in superficie sembrava un uomo seduto; quel boschetto poteva nascondere un predatore notturno.
Si disse che sarebbe stato meglio farsi seguire da una pattuglia della polizia. Avrebbe dovuto chiamare Robillard prima di uscire. Ma come faceva a spiegare all’ispettore, che era piuttosto scettico nei suoi confronti, che quella sera la sua mente si era fusa con quella di un altro? Questa volta però la comunione era stata completa, con Childes all’offensiva, cercando e sondando, sorprendendo l’altro con la propria forza, e poi, gradualmente lasciandosene assorbire.
Da quell’essere!
Come spiegare la silenziosa, tormentosa battaglia delle menti che ne era seguita? La creatura lo derideva insultandolo con gli orrori delle morti avvenute rivelandogliele come in un disordinato montaggio di immagini, ogni inquadratura contenendo le sensazioni, gli odori, il dolore e la paura dell’avvenimento reale, come in una nuova, incredibile dimensione cinematografica.
Il vecchio che si lamentava debolmente mentre la sega intaccava l’osso.
Il terrore folle di Jeanette, appesa alla balaustra, strozzata da una cravatta annodata, salva ma non risparmiata dall’esperienza della morte.
La prostituta, la prima visione di Childes, le sue viscere strappate, allora non sapeva che sarebbe stata la prima di un torrente di macabre apparizioni, un incubo continuo.
La mano carbonizzata di Kelly. La scuola in fiamme prima ancora che venisse appiccato il fuoco.
Il bimbo morto, il suo corpo dissacrato e dilaniato, gli organi putrescenti sparsi sull’erba accanto alla fossa.
Annabel. Povera piccola Annabel, scambiata per Gabby, le sue povere piccole dita smembrate e avvolte in un pacchetto.
E aveva visto l’orrenda morte di Estelle Piprelly, immobilizzata a terra, con il collo spezzato, un rivolo di fuoco che correva verso il suo povero corpo.
Come spiegare questa macabra sequenza a un ispettore di polizia pragmatico, per non dire cocciuto? Spiegargli come sapeva dove sarebbe andato, che l’immagine del lago argentato si era srotolata nella sua mente come un’onda sulla risacca. E che in questo luogo tutto sarebbe arrivato alla conclusione. Non erano cose che si potevano spiegare in modo logico. Potevano solo essere sentite, o credute sulla fiducia. Non erano in molti ad avere quel tipo di fede. Lui stesso per buona parte della vita non l’aveva avuta.
Alle spalle aveva la stradina che correva attorno al lago per poi scendere verso la valle. Salì i larghi pietroni posti a formare una scalinata che conduceva in cima alla diga e sostò ad osservare la lunga passerella di cemento con i parapetti in ferro. Robusti pali di cemento posti a rinforzare ad intervalli regolari i parapetti da ambo i lati, erano ricoperti di firme graffiate sulla superficie da turisti di passaggio; dagli interstizi delle pietre che lastricavano il passaggio sbucavano fasci d’erba. Dall’altro lato si ergeva una torretta ottagonale dove erano alloggiati i meccanismi di controllo della diga.