Childes avanzò. Si sentiva vulnerabile sulla diga, e si guardava continuamente davanti e dietro. La luce biancastra aveva un effetto surreale e incolore sull’ambiente. La superficie del lago pareva una lastra di alluminio appena ruvida, tanto appariva solida; ma sotto si avvertiva la profondità minacciosa dell’enorme massa d’acqua. Cadervi significava venire risucchiato in un’oscurità senza fondo, in cui schiantarsi più che annegare.
Contò i gradini, sette in tutto, il corridoio si prolungava in un ponte sospeso nel vuoto. Lui si portò al centro e attese, solitario e spaventato ma deciso.
Childes sentiva il mare da quel punto, riusciva addirittura a distinguere le creste bianche delle onde che s’infrangevano incessanti contro la scogliera lontana. La notte era limpidissima, spazzata da una brezza pungente che gli scompigliava i capelli mentre guardava oltre il parapetto, in basso verso valle. Il muraglione s’incurvava verso l’esterno terminando alla base in un bacino di drenaggio. Da lì un condotto convogliava l’acqua sottoterra verso il mare. Non lontano dal bacino c’era la grande stazione di pompaggio e inoltre la centrale elettrica circondata da depuratori. Luci lontane s’intravedevano all’altro lato della valle. Gente che si godeva la notte, egli ne invidiò la tranquillità.
Un animale svolazzò sopra la sua testa, troppo erratico il volo per poter essere un uccello; probabilmente un pipistrello che, in perfetta sintonia con quella notte, sparì nel buio. Il battere delle sue ali come lo sfarfallio di un cuore impaurito.
Mentre aspettava, le apparizioni tornarono ad invadergli la mente, assalendolo con rinnovata intensità; per l’ennesima volta si chiese quanta malvagità albergasse nella mente di colui che aveva commesso quei crimini. Childes si era sforzato la niente per giorni interi, guidato ora dall’accettazione di ciò che aveva rimosso dalla coscienza per anni; la sicurezza era diventata più forte e dava vigore al suo potere misterioso.
Ricordava ora altre occasioni in cui aveva respinto le apparizioni, le premonizioni valutandole semplici intuizioni, coincidenze casuali; aveva talmente rifiutato quella dote psichica da riuscire a dimenticare completamente quegli episodi fino a quel momento.
Si ricordò di un amico d’infanzia che egli aveva visto morire investito da un’auto pirata. L’incidente era poi realmente avvenuto molte settimane dopo. Aveva visto uno zio colpito da un attacco cardiaco. Alcuni mesi dopo l’uomo era in coma con una sclerosi coronarica acuta. E aveva visto la morte della madre molto tempo prima che il suo corpo fosse consumato dal cancro.
Suo padre era stato crudele con lui quando gli aveva rivelato queste sensazioni in seguito, dopo la morte di sua madre. Lo aveva picchiato per averla predetta incolpandolo di averla causata. Lo aveva picchiato così tanto da rompergli il naso e tre costole e lo aveva costretto poi a confermare con i medici che lo avevano curato la versione di essersi ferito cadendo dalle scale.
Ma peggio ancora, nei giorni che erano seguiti lui aveva cominciato a credere alla versione del padre. Aveva creduto veramente di aver provocato la morte della madre. La colpa annullava quasi il dolore delle ossa rotte e quando la febbre, che nasceva più dal rimorso che dalle lesioni, era passata, lui aveva ormai eretto un muro incrollabile attorno alle sue capacità sensitive, chiudendovi dentro anche il senso di colpa che ad esse si accompagnavano.
L’assassinio dei bambini tre anni prima aveva in qualche modo forzato un’apertura in questa barriera, aveva scatenato nuovamente i procedimenti precognitivi.
E ora il nuovo mostro aveva abbattuto definitivamente l’argine allagando la sua mente di sensazioni. Il suo subconscio era tornato indietro a riconsiderare la sua misera infanzia. E il bimbo che era stato, aveva allora visto il suo se stesso futuro in quegli occhi che lo guardavano dal soffitto.
Queste risposte ovviamente comportavano altri misteri, ma questi appartenevano alla sfera psicologica, segreti che riguardavano la psiche dell’uomo, i segreti della mente.
Questi pensieri gli si affollavano dentro mentre attendeva in alto sulla diga. Facevano sorgere in lui un’esaltazione spossante, come se si trovasse sull’orlo di una nuova esperienza sensoriale. Osservò la luna e vide che era straordinariamente luminosa, potente e glaciale, dominava il cielo notturno con una vitalità liquida. Il corpo di Childes vibrò di tensione.
Sentì di non essere più solo.
Si guardò alle spalle, da dove era arrivato.
Nulla si muoveva.
Guardò davanti a sé dall’altro lato della diga dove c’erano altri gruppi di alberi, altre ombre scure tra i cespugli, un altro sentiero che si diramava dalla stradina.
Lì, qualcosa si muoveva.
Lo aveva atteso nel buio rifugio e sorrideva, un ghigno satanico. Così finalmente era arrivato!
Era un bene poiché si avvicinava il loro momento. Ora, sotto la luna piena. Molto appropriato.
Uscì da sotto gli alberi e avanzò verso la diga.
Se la paura aveva dei confini Childes pensava di averne raggiunto il limite. Dovette appoggiarsi al parapetto per sostenersi, Te gambe improvvisamente deboli. Lo stomaco gli sembrava pieno di piume agitate, il torace rigido faticava a respirare. Persino le braccia gli sembrarono inerti e pesanti, come senza muscoli.
Era sulla diga, una figura nera e goffa illuminata dalla luna che avanzava verso di lui, il corpo basso e tarchiato dondolava leggermente ad ogni passo, arrancando in modo sgraziato, senza alcuna fluidità.
Mentre la figura avanzava lui sentiva la risata malvagia nella sua mente. Una risata rapace che lo raggelò, lo catturò.
Childes strinse più forte il parapetto. Oh Dio, è dentro la mia mente, più forte che mai!
Riuscì ben presto a scorgere il profilo del corpo grossolano. Le spalle larghe ma cadenti, coperte da una massa di capelli ricci e spessi. Il naso e il mento. Le superfici della fronte e delle guance. E il taglio largo e scuro della bocca sogghignante.
Si avvicinò di più, oltrepassò la torretta, il corpo scomparve per un attimo dietro al muretto. Poi riapparve, prima la testa poi le spalle, mentre saliva i gradini. Aveva ancora gli occhi in ombra, pozzi bui che contenevano una minaccia scura e insondabile come l’acqua del lago.
Il corpo sembrava sorgere da una tomba, una testa grossa, con i capelli disordinati, gli occhi nascosti, il ghigno sempre più vicino, la mente protesa, verso di lui. E c’era un’altra cosa che lo disturbava di questo corpo che si trascinava più che camminare, qualcosa che diventava sempre più evidente mentre avanzava, fin quando non si fermò a poco più di tre metri da lui.
Fu solo allora, quando alla fine poté guardare quel volto ora illuminato dalla luna, e vide le fessure degli occhi, piccoli e neri, che capì; quando parlò la voce non rivelava nulla del suo sesso, tanto era bassa e gracchiante.
«Mi sono… molto… divertita» disse, scandendo le parole. Il gorgoglio della risata era orribile quanto la voce e lo colpì come una mazzata. Si aggrappò ancora di più al parapetto.
La donna si avvicinò di un altro metro e lui notò che le sue caviglie sotto una gonnellona larga erano gonfie e fuoriuscivano dagli scarponi allacciati come se la carne si stesse sciogliendo. Una giacca a vento enorme e laida le ricopriva la parte superiore del corpo.
Childes si costrinse a stare diritto. Nella testa gli ronzavano pensieri confusi, la nausea gli otturava la gola. Sentiva l’odore di questa donna, sentiva il puzzo della sua follia! Deglutì, cercando disperatamente di ritrovare le forze.
L’unica domanda che gli venne in mente fu: «Perché?»