Выбрать главу

«Beh, non so, lei sa che ho anche i corsi al Kingsley e al de Montfort.»

«Sì, ma so anche che le rimangono comunque parecchie ore libere. Sono sicura che potrebbe farci scappare qualche ora in più per la nostra scuola.»

Come si faceva a spiegare a una persona come lei che viveva solo del e per il proprio lavoro, che per lui non era affatto prioritario. Non più. Era cambiato, dentro, era cambiata la sua vita.

«Un pomeriggio in più, Childes, il martedi magari?». Lo sguardo teso non ammetteva rifiuti.

«Mi ci faccia pensare un poco», rispose lui guardandola irrigidirsi, infastidita.

«Bene, ma devo approntare la bozza del piano entro il fine settimana…»

«Glielo faccio sapere entro giovedì.» Sorrise, ma era seccato della nota di scuse nella propria voce.

«A giovedì allora.» Il sospiro sembrò un lamento esasperato.

Il colloquio era già finito, niente buongiorno, niente, come se lui non ci fosse più. La Piprelly stava richiamando un gruppetto di ragazze che come lui avevano attraversato il prato. Egli sgusciò via quasi di nascosto, ma poi allungò il passo cercando di apparire naturale.

Dopo aver sgridato il gruppo di ragazze (cosa che fece con poche secche parole e senza alzare la voce), Estelle Piprelly posò nuovamente lo sguardo sull’insegnante che si stava allontanando. Camminava con le spalle leggermente curve, studiando il terreno davanti a lui come se pianificasse ogni appoggio del piede, un uomo abbastanza giovane che a volte sembrava particolarmente logorato. No, forse logorato non era il termine giusto. C’era qualche volta un’ombra in quegli occhi, un’angoscia latente che balenava.

Aggrottò la fronte che si riempì di rughe, e con le dita stuzzicò sovrapensiero un filo che le pendeva dalla manica.

Childes la turbava, e lei non poteva spiegarsene la ragione. Era un ottimo professionista, meticoloso e benvoluto dagli allievi, qualche volta un po’ troppo benvoluto. La sua specializzazione era ai certo un’utile aggiunta ai corsi offerti dalla scuola; inoltre alleggeriva sicuramente il carico di lavoro degli altri insegnanti di scienze. Eppure, nonostante la richiesta di altre ore fattale dal consiglio, qualcosa nella sua presenza la rendeva irrequieta.

Tanto, tanto tempo fa, quando era una ragazzina lei stessa e l’isola era stata invasa dai tedeschi che intendevano adoperarla come rampa di lancio per l’attacco finale contro il territorio inglese, lei aveva sentito intorno a sé la distruzione imminente. Non che la cosa fosse imprevedibile con i tempi che correvano, ma alcuni anni dopo si rese conto di possedere un livello di sensibilità più elevato degli altri. Niente di eccezionale, non a livello di medium o di preveggente, semplicemente una sensibilità più percettiva. Si era poi attenuata, ma non era del tutto scomparsa col passare degli anni. Il pragmatismo della professione scelta contribuiva a reprimerla. Ma in quei giorni lontani aveva visto la morte nei visi di quei soldati tedeschi, una naturale premonizione nei loro passi, nei loro sguardi.

In modo diverso e confuso sentiva lo stesso anche in Childes. Benché fosse ormai scomparso alla vista, la signorina Piprelly rabbrividì.

* * *

Mentre tornava dal bar con i drink, aggirando tavoli e sedie da giardino, Amy si sciolse i capelli che le caddero sulle spalle in una lunga coda, trasformando una vecchia foggia in qualcosa di chic. C’era una sottile eleganza in Amy, innata, non ricercata, e Childes si trovò di nuovo a pensare che tutto sembrava meno che una insegnante, non di quelle che aveva conosciuto lui per lo meno. La sua pelle appariva dorata sotto l’ombrellone, gli occhi verdi e chiari e qualche ciocca chiara che le incorniciava il volto aumentavano l’effetto. Come sempre era poco truccata; questo vezzo la rendeva simile a qualcuna delle ragazze sue allieve, l’illusione confermata dai piccoli seni, appena un tenero gonfiore. Eppure a ventitré anni, undici meno di lui, aveva una maturità serena, di cui lui spesso si meravigliava; non sempre questa era messa in evidenza, poiché ella possedeva anche una innocenza maliziosa che esaltava ancora di più l’impressione adolescenziale. Ignara delle proprie doti, cambiava facilmente d’umore, lasciandolo sconcertato.

Le dita sottili e scherzosamente febbrili ghermirono il bicchiere che lui porgeva, il sole radente del tardo pomeriggio le colpì la mano bagnandola d’un oro più rosso.

«Però! Se la Piprelly sapesse d’avere un’ubriacona a scuola…» commentò lui allungandole il gin and tonic.

Lei fece tremare la mano tenendo il bicchiere mentre se lo portava alle labbra. «La Pip dovrebbe sapere che la metà dei docenti è alcolizzata, e la colpa è sua!»

Childes si mise dall’altro lato del tavolo per poter meglio godere della sua vista. «La nostra direttrice vuole che io faccia più ore a scuola.» L’improvviso sorriso di Amy lo allietò.

«Sarebbe meraviglioso Jon!»

«Mah. Non lo so. Cioè, sarebbe bello vedere te di più, ma quando sono venuto qui avevo deciso di uscire dal solito tran tran, te lo ricordi no?»

«Ma è diverso, questo è un ambiente diverso da quello da cui provenivi.»

«È vero, un altro pianeta addirittura. Io però mi sono abituato al ritmo che ho preso, passeggiate nel pomeriggio, nuotate, pisolini in riva al mare. Finalmente ho tempo per pensare.»

«Qualche volta pensi troppo, secondo me.» Il tono era diverso ora. Lui allontanò lo sguardo. «Le ho detto che ci avrei pensato.»

«Vigliacco!» rispose Amy, la voce nuovamente allegra.

«Mi fa sentire come se avessi dieci anni!» disse, scuotendo la testa.

«Can che abbaia non morde. Però se fossi in te obbedirei.»

«Bell’aiuto mi dai.»

Lei posò il bicchiere. «Vorrei dartelo, tu passi troppo tempo da solo, un impegno maggiore con il college potrebbe essere un bene per te.»

«Lo sai cosa penso degli impegni.»

Lo guardò negli occhi. «Ne hai uno nei confronti di tua figlia.»

Lui sorseggiò la birra. «Senti, cambiamo discorso, è stata una lunga giornata.»

Amy sorrise, ma gli occhi erano percorsi ancora da una sottile preoccupazione. Gli toccò la mano, carezzandogli le dita, mascherò i pensieri dietro una battuta: «La Pip perderebbe la testa se potesse averti a tempo pieno.»

«Mi vuole solo per un altro pomeriggio!»

«Oggi, due giorni e mezzo; domani, l’anima.»

«Ma tu non dovevi farmi coraggio?»

Lei lo guardò maliziosa. «Ti dicevo solo di arrenderti, altri hanno tentato di resistere.» La voce le si incupì minacciosa, lui storse la bocca.

«Curioso, è vero che mi guarda in modo strano da un po’ di tempo.»

«Fa parte del suo voodoo.»

Lui si lasciò andare contro lo schienale. C’era altra gente nel giardino del bar dell’albergo. Tutti approfittavano della bella serata dopo le settimane di pioggerella gelida. Una grossa ape pelosa ondeggiava sopra le azalee vicine, il suo ronzio annunciava i mesi più caldi a venire. Fino a poco tempo prima aveva pensato di aver trovato la pace su quell’isola. Un modo di vita tranquillo, una natura piacevolissima, Amy, la meravigliosa Amy, le sue temporanee solitudini, avevano portato alla sua vita un equilibrio, una sicurezza lontana dal ritmo frenetico e in continua evoluzione dei microchip, dalla carriera in una città folle, da una moglie che una volta aveva amato, ma poi aveva avuto terrore di… ma di cosa? Qualcosa che nessuno dei due aveva compreso.

Poteri psichici! Una maledizione intangibile, incontrollabile.

«Chi è che fa il serio adesso?»

La domanda interruppe i suoi pensieri, e lui la guardò con uno sguardo vuoto.

«Avevi quello sguardo perso che dovrei conoscere bene ormai, non stavi solo sognando ad occhi aperti.»

«Ricordavo…»

«Il passato è passato, meglio lasciarlo perdere, Jon.»

Egli annuì. Non aveva risposte da darsi. E c’era quella sensazione di irrequietezza che lo agitava da quando aveva avuto l’incubo due settimane prima.