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«Jon!», chiamò il poliziotto. «Stai bene? Abbiamo visto tutto». Sorresse Childes per un braccio.

Lui sbatté gli occhi abbagliato dalle torce.

«Puntatele in basso», ordinò Overoy.

I due agenti li superarono puntando il fascio di luce verso la diga, mentre Robillard ordinava alle auto di abbassare i fari. Il sollievo fu immediato. «Avete visto?» farfugliò Childes incredulo.

«Non molto bene. Un banco di nebbia vi ha parzialmente coperti» rispose Robillard.

Un banco di nebbia! Childes non disse nulla.

Overoy parlò rapidamente, come se volesse anticipare Robillard. «Ti abbiamo visto cercare di salvare quell’altra persona Jon.» Fissò negli occhi Childes con un’espressione severa. Robillard aveva invece un dubbio dipinto in volto ma non fece commenti.

Quasi senza interruzioni Overoy proseguì: «Immagino che avesse tentato di ucciderti prima di cadere. Peccato che fosse troppo pesante, che tu non sia riuscito a trattenerla!» Le parole erano state scelte con cura, come se fosse una deposizione da imparare a memoria.

«Sapevate che era una donna?», chiese Childes.

Overoy annuì. «Avevamo scoperto la sua casa in Inghilterra. Ti ho telefonato un paio di volte ma era sempre occupato. Poi ho preso il volo di mezzanotte, appena in tempo.»

I due agenti illuminavano dall’alto il corpo sfracellato in fondo alla diga.

«Quello che abbiamo trovato in quella casa era un vero arsenale di orrori. Ma c’erano tutte le prove che ci servivano. Era la donna il mostro che cercavamo.» Overoy si fece scuro in volto e aggiunse: «Il cadavere della bambina era sotto il pavimento. Metterla lì era stata una pazzia, prima o poi l’odore della decomposizione l’avrebbe fatta scoprire da qualche inquilino del palazzo. Ma forse non gliene importava più. Forse aveva già capito che non poteva andare avanti così quando è venuta qui. Era pazza furiosa, è questa forse l’ironia della cosa.»

Childes guardò l’ispettore con curiosità.

«È così che l’abbiamo scovata. Il suo nome era nella lista di pazienti e inservienti del manicomio. Era un’infermiera, ma doveva essere più pazza dei matti a cui doveva badare. Cristo! Avresti dovuto vedere la roba che abbiamo trovato nella sua stanza; roba sull’occulto, la mitologia; simboli, amuleti. Ah, e un mucchietto di pietre di luna, le saranno costate un patrimonio. Se ognuna di quelle era per un’altra vittima…». Overoy scrollò le spalle.

«Ha detto che adorava…»

«La luna? Sì, una dea in particolare. C’era tutto lì, nei suoi libri, nei simboli. Pazza, completamente pazza.»

C’erano altre persone sulla diga che procedevano verso di loro. Robillard disse. «Quando l’ispettore Overoy ci ha comunicato l’identità della donna è stato facile scoprire che era qui da un paio di settimane; era arrivata con uno dei traghetti. Poi non ci è voluto molto a scoprire dove alloggiava. Una locanda in campagna. Lontano dai centri abitati. Non era rientrata da ieri, abbiamo perquisito la stanza. È stato fortunato stanotte, signor Childes: aveva lasciato lì i suoi ferri del mestiere. In una borsa nera sotto al suo letto abbiamo trovato degli strumenti chirurgici. Si vede che era sicura di liberarsi di lei a mani nude.»

«Era molto forte» affermò Overoy. «I suoi superiori alla clinica ce lo hanno confermato. Pare che la adoperassero per immobilizzare i pazienti più violenti. Secondo i medici ci riusciva con estrema facilità.»

«Non si sono chiesti come mai era scomparsa dopo l’incendio?»

«Non era scomparsa. Fu persino interrogata dalla polizia, come tutti gli altri sopravvissuti. Poi si prese delle ferie, appena si erano calmate le acque. Era pazza, non stupida.»

Forse avrebbe capito più tardi. Per ora Childes non riusciva a mettere a fuoco quanto gli stavano raccontando. Si scosse nell’udire un’altra voce, una voce familiare e amata.

«Jon!», chiamò Amy.

Guardò dietro ai due ispettori e la vide a pochi metri. Paul Sebire la sorreggeva per un braccio, il viso segnato da un’ansia che non gli era propria.

Childes le andò incontro e lei alzò le braccia, il gesso su un braccio bianco come la luna stessa. La strinse a sé, rattristato dalle bende che le coprivano il viso. La lasciò subito per non farle del male.

«Va tutto bene, Jon». Rideva e piangeva, le guance bagnate di lacrime. «Va tutto bene, ho avuto tanta paura, Jon.»

Dietro a lei vide Sebire con una smorfia sul volto stanco. L’uomo non disse niente ma si voltò e tornò verso le automobili parcheggiate sulla strada.

Childes le accarezzò i capelli, baciandole via le lacrime dal viso. Lei sentiva il cambiamento avvenuto in lui, quell’ombra scura che lo aveva oppresso era scomparsa. «Come avete fatto a trovarmi?»

Amy sorrise e gli restituì i baci. «Ce lo ha detto Gabby» gli spiegò.

«Gabby?»

Overoy li raggiunse e fu lui a dire: «Siamo andati a casa della signorina Sebire per cercarti dopo che l’agente di guardia alla tua casa ti aveva perso di vista. Lei non aveva idea di dove tu fossi andato…»

«Però mi sono ricordata che tu avevi chiamato anche Gabby, prima» lo interruppe Amy. «Era solo un tentativo, ma ho pensato che forse avevi detto a Fran dove avevi intenzione di andare. L’ispettore Overoy era d’accordo e così ha chiamato Fran dalla madre. Avevano dei guai con Gabby!»

«Tua figlia era isterica a causa di un incubo che aveva appena avuto» continuò Overoy. «Ti aveva sognato in riva a un grande lago, e c’era una donna mostro che ti voleva buttare di sotto. Tua moglie ha detto che Gabby non smetteva di piangere e di urlare, era sconvolta.»

«E da questo siete riusciti a capire dov’ero?» chiese Childes incredulo.

«Beh, sono abituato alle tue precognizioni, perché non dovevo credere a quelle di tua figlia?»

Anche Gabby. Childes era attonito. Si ricordò di quando lei gli aveva chiesto di salutargli Annabel.

Amy lo scosse da quei pensieri. «Non ci sono grandi laghi sull’isola Jon. C’è solo questo bacino.»

«Non avevamo niente da perdere!» aggiunse Overoy con una smorfia.

«Dovevano solo riuscire a convincere me!» commentò Robillard. «Ma accidenti! Tutta questa storia è un rebus per me. E allora perché avrei dovuto oppormi a correre qui in mezzo alla valle, di notte?» Scosse la testa sempre più confuso. «Sta di fatto che avevano ragione. L’unica cosa che mi dispiace è che non siamo arrivati prima. Lei ha passato un brutto quarto d’ora.»

«È tutto finito Jon?» chiese Amy. Con la mano sana gli accarezzò il viso e ripeté: «È veramente finita questa storia?»

Lui annuì, ma la luna dietro la sua testa gli teneva in ombra il viso. Si voltò e guardò Overoy. «Chi era?» chiese all’ispettore. «Come si chiamava?»

«Aveva un falso nome, abbiamo scoperto che lo adoperava da anni. Si faceva chiamare Heckatty!». Per qualche motivo c’era una nota soddisfatta nel tono della sua voce.

Heckatty! Il nome non diceva proprio niente a Childes. Non che se lo aspettasse. Non era nemmeno troppo sicuro di ciò che era accaduto quella notte. Cosa aveva a che fare questo nome così banale con quella battaglia di spiriti? Forse la fusione delle menti era stata soltanto una proiezione della sua follia, un’illusione creata dalla mente depravata di quella donna.

«Illusione!» mormorò ancora una volta e Amy lo guardò senza capire.

«Dio mio!» esclamò una voce sul passaggio pedonale della diga.

Si voltarono in direzione dei due poliziotti che scrutavano un angolo del passaggio illuminandolo con le torce. Uno degli agenti si chinò e sfilandosi qualcosa dalla tasca l’avvicinò all’oggetto biancastro che giaceva in terra. Poi si rialzò e s’incamminò verso il gruppetto di persone in attesa. Il compagno lo seguì a una certa distanza.