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«Grazie Helen. Sparecchia pure ora.» Vivienne Sebire notò con soddisfazione che la cena tanto amorevolmente preparata — mousse di salmone, anatra alle mele e visciole accompagnata da zucchine e broccoli — era stata divorata con gusto e appetito. Notò anche che Jonathan Childes non aveva mostrato altrettanta golosità.

Grace Duxbury, seduta accanto al padrone di casa, Paul Sebire, che era a capotavola, disse con la sua voce squillante: «Meravigliosa Vivienne. Non me ne andrò di qui finché non mi avrai svelato il segreto di quella mousse.»

«Sì!» assentì il marito, «un antipasto veramente eccellente. Com’è Grace, che a te riesce raramente l’avocado con i gamberi se non chiamiamo un cuoco?»

L’avrebbe pagato caro quel commento, pensò Vivienne, se poco poco conosceva Grace. «Il segreto è semplicemente nella quantità di pasta d’acciughe che ci metti, un pochino più di quel che dice la ricetta, ma non troppo.»

«Deliziosa!», commentò nuovamente George Duxbury.

Helen era una donna tarchiata con un viso allegro e le sopracciglia che si univano a punta sul naso; era la governante-cameriera dei Sebire. Iniziò a ritirare i piatti mentre la padrona di casa si beava delle lodi ricevute. Amy, che era seduta di fronte a Childes si alzò dalla sedia. «Ti do una mano» disse a Helen, cercando con lo sguardo Childes con cui scambiò un sorriso complice.

«Ciò che vorrei sapere è come ha fatto un vecchio reprobo come te a sposare una cuoca meravigliosa come Vivienne e a ritrovarsi una figlia affascinante così.». Fu Victor Platnauer a fare la battuta, uno dei consiglieri dell’isola nonché membro del consiglio d’amministrazione del college La Roche. La moglie Tilly, seduta accanto a Childes, lo sgridò scherzosamente ridacchiando come gli altri ospiti.

«Semplicissimo, caro Victor,» rispose Sebire asciutto come sempre, «furono proprio le doti culinarie della mia dolce moglie a farmela sposare, e i miei geni hanno prodotto la nostra bella Aimée». Aveva sempre insistito nel chiamare la figlia con il nome vero.

«No, no! Amy ha preso la bellezza dalla madre non dal padre. Non è vero, Childes, eh, Jonathan?»

«Ha le migliori qualità di entrambi i genitori» disse Childes diplomaticamente, asciugandosi le labbra con un tovagliolo.

Uno a zero, pensò Amy mentre sostava sull’uscio della cucina; qualcuno applaudì e gridò: «Bravo!». Fin qui tutto bene. Aveva osservato attentamente il padre tutta la serata mentre studiava Jon con quello sguardo calcolatore e critico che riservava sempre ai clienti potenziali, ai colleghi o ai rivali. Ciò nonostante era stato un ospite perfetto, cortese e attento, dando a Jon tanto spazio quanto agli altri ospiti, compreso un socio in affari di Marsiglia. Amy aveva il sospetto che Edouard Vigiers non fosse stato invitato solamente perché si trovava sull’isola per discutere certi accordi finanziari, ma anche perché era giovane, brillante, di successo, sicuramente un buon partito. Un genero ideale agli occhi di Paul Sebire. Amy incominciava a pensare che l’unico motivo che il padre aveva di invitare Jon era che così lei, Amy, avrebbe potuto mettere a confronto i due. Le differenze balzavano agli occhi.

Dovette ammettere che il francese era attraente oltre che vivace e simpatico, ma il padre sbagliava ad usare un metro tanto ovvio e superficiale. Sapeva che Paul Sebire era un uomo generoso e giusto nonostante l’astuzia brutale che adoperava negli affari e una certa ostinazione. Lei lo amava, quanto può una figlia. Sfortunatamente la possessività che egli non voleva ammettere lo portava ad imporre l’immagine dell’uomo da destinare a sua figlia: uno della sua razza, se non addirittura una copia più giovane di se stesso. Un tentativo goffo, anche se lui credeva di essere astuto; come sempre sottovalutava gli altri, soprattutto la sua unica figlia.

Amy ripensò sognante al pranzo con Jon quella settimana, il loro primo incontro da soli, nel suo cottage, dopo essersi resi conto di quanta strada aveva fatto il loro rapporto, quanto profondo era diventato e quanto si desideravano. C’era stato poco tempo a disposizione, ma le carezze, il toccarsi, il tenersi, avevano preso un nuovo sapore, una nuova intensità.

«Vorrei quei piatti quando ha finito di origliare, signorina Amy». La voce divertita di Helen, appoggiata al lavandino con una mano sul fianco, interruppe i ricordi di Amy.

«Beh, non stavo origliando.» Sorrise arrossendo. «Stavo sognando ad occhi aperti. Mi ero perduta da qualche parte.»

Victor Platnauer si sporgeva sul tavolo guardando Childes dritto negli occhi. Poco più che sessantenne Platnauer era ancora un uomo robusto, con quella rozzezza del volto così frequente tra i nativi dell’isola, la voce rauca e i modi bruschi. Al contrario la moglie Tilly aveva una voce morbida, quasi un mormorio, l’aspetto e i modi simili a quelli di Vivienne Sebire.

«Mi fa piacere sapere che ha deciso di dedicare un po’ più di tempo al La Roche» disse Platnauer.

«Solo un pomeriggio in più» rispose Childes. «Ho dato conferma proprio questa settimana.»

«Così mi ha detto la signorina Piprelly. Bene, mi fa piacere ma forse riusciremo a convincerla a darcene ancora di più; certo mi rendo conto che lei insegna anche al Kingsley e al de Montfort, ma è importante per noi allargare questo settore del nostro corso di studi. Non è soltanto una esigenza dei genitori, mi si dice che anche gli allievi mostrino molto interesse per l’informatica.»

«Purtroppo non è così per tutti» spiegò Childes. «I ragazzi intendo, ci si illude se si crede che tutti i ragazzini abbiano una propensione naturale al calcolo e all’elaborazione elettronica.»

Tilly Platnauer ebbe un moto di sorpresa. «Io pensavo proprio che fossimo ormai nell’epoca delle guerre stellari, con tutti i ragazzini piccoli geni del micro-chip in confronto agli adulti.»

Childes sorrise. «Vede, siamo solo agli inizi. Poi i giochi elettronici non sono esattamente come l’applicazione pratica dei computer, sono comunque un buon inizio, ma il computer ha una logica assoluta e non tutti i ragazzi sono perfettamente logici.»

«Nemmeno molti adulti lo sono» brontolò Platnauer.

«C’è sempre il rovescio della medaglia, in un certo senso» continuò Childes. «L’industria dei divertimenti ha fatto in modo che il consumatore pensasse ai computer come a oggetti divertenti, e questo va bene, crea interesse. Poi il pubblico, i ragazzi nel caso nostro, scoprono che c’è da faticare prima di poter capire veramente come funzionano, e qui iniziano le defezioni.»

«Allora la risposta è iniziarne l’insegnamento in tenera età, così potranno diventare un fattore quotidiano della loro vita». Era stato Vigiers a parlare, con un accento che addolciva le parole senza deformarle.

«Giusto! Ma quella sarebbe una situazione ideale, dove il computer diventa un oggetto casalingo qualsiasi, un soprammobile, come la TV o lo stereo. Manca ancora un bel pezzo a quel tipo di situazione.»

«Motivo di più perché le nostre scuole diano ai nostri bambini modo di apprendere le nuove tecnologie mentre le loro menti sono ancora tenere e malleabili, non le pare?» insisté Platnauer.

«In linea di principio sì. Ma bisogna capire che non è una scienza alla portata di tutti. E sfortunatamente la microtecnologia diventerà sicuramente un fatto quotidiano tra una ventina d’anni, e ci sarà molta gente e molte aziende che rimarranno indietro.»

«Bisogna quindi assicurarci che i giovani di quest’isola non rimangano indietro» affermò Sebire e Platnauer annuì approvando.

Childes nascose la frustrazione. O non avevano capito o non volevano: la conoscenza della tecnologia si poteva insegnare con le buone o con le cattive ma se non ci si era portati era difficile da digerire.

Vigiers cambiò argomento. «Lei insegna anche scienze al La Roche, Jon?»