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Dato che continuavo a non rispondere, mi balzò sulle ginocchia, mi posò le zampe anteriori sul petto e guardandomi in faccia espresse la domanda in modo perentorio. Visto che persistevo nel mio atteggiamento passivo, cominciò a gemere.

Furono i suoi gemiti ad attirare su di lui l’attenzione di Miles e di Belle.

Miles, dopo avermi deposto sulla sedia, si era rivolto a Belle e le aveva detto con asprezza: — Sei riuscita a farlo, eh? Sei impazzita?

— Non perdere la testa, Ciccino. Così potremo disfarci di lui una volta per tutte.

— Cosa? Se credi che sia disposto ad aiutarti a commettere un omicidio…

— Piantala! Per quanto non ci sia niente di meglio di un omicidio, ci rinuncio perché tu manchi del fegato necessario. Per fortuna è pieno di droga.

— Cosa vuoi dire?

— Che è completamente nelle nostre mani. Farà quello che gli diremo e non ci potrà dare fastidi di alcun genere.

— Ma, Belle… Santo cielo, non puoi mantenerlo per sempre in quelle condizioni. Appena tornerà normale…

— Smettila di parlare come un avvocato. So benissimo come agisce la droga, mentre tu non te ne intendi. Quando si riavrà, farà tutto quello che io gli avrò detto di fare. Se gli dico adesso di non perseguitarci più, non ci perseguiterà più per tutta la sua vita, in nessun modo. Se gli dico di non mettere più il naso nei nostri affari, ci lascerà in pace per sempre. Se gli dirò di andare a Timbuctu, ebbene, ci andrà.

Io seguivo il dialogo, impassibile e indifferente.

— Non ti credo — disse Miles.

— No? — Lei gli diede una strana occhiata. — Devi crederci.

— Come sarebbe a dire?

— Niente, niente… Ti assicuro che la droga funziona, Ciccino. Ma prima dobbiamo…

Fu allora che Pete cominciò a mandare i suoi lamenti. È difficile sentire un gatto gemere, difficilissimo, direi. Non gemono quando lottano fra loro, per quanto male possano farsi, ma riservano i loro gemiti e i loro lamenti solo per le occasioni più disperate, quando le circostanze sono tali per cui non riescono a trovare altra soluzione che quella.

È un suono straziante, che lacera i nervi, che confonde le idee e non può essere sopportato a lungo.

— Ammazzalo — disse Belle.

— Cosa? Tu sei sempre troppo drastica, Belle. Sai bene che Dan è capace di fare più chiasso per questa bestia che non vale un soldo che per tutto l’oro del mondo. Dunque… — e prese la borsa di Pete.

— Lo ammazzerò io — dichiarò Belle con impeto selvaggio. — Sono mesi che ho voglia di farlo — e guardandosi intorno alla ricerca di un’arma, si decise per l’attizzatoio appeso vicino al caminetto.

Mentre lei andava a prenderlo, Miles aveva sollevato Pete e cercava di infilarlo nella borsa. Cercava è la parola. Pete non ama molto essere preso da qualcuno che non sia io o Ricky. E soprattutto in quel caso ci sarebbero volute prudenza e attenzione: un gatto emotivamente turbato è pericoloso quanto il fulminato di mercurio. Ma anche se non fosse stato così sconvolto, Pete certamente non avrebbe mai permesso che lo si pigliasse per la collottola senza protestare.

Per tutte queste ragioni, appena Miles l’ebbe sollevato, Pete si rivoltò e gli piantò gli artigli nel braccio e i denti nella mano. Con un urlo Miles si affrettò a lasciarlo andare.

— Fatti in là, Ciccino! — gli gridò Belle, agitando l’attizzatoio. Le intenzioni di Belle erano chiare, e lei sarebbe riuscita nel suo intento se fosse stata esperta nella manovra della sua arma quanto lo era Pete delle proprie. Sfuggendo ai colpi, lui riuscì ad aggirarla, e le piantò gli artigli nelle gambe. Due volte per gamba. Belle strillò e lasciò cadere l’attizzatoio.

Non potei assistere al resto della scena, in quanto nessuno mi ordinò di voltarmi a guardare. Infatti, dal punto in cui ero seduto, vedevo una buona parte del soggiorno, ma nient’altro. Seguii quindi il resto della movimentata scena dai rumori, salvo due volte, quando mi passarono davanti prima due persone che inseguivano un gatto, e poi un gatto che inseguiva due persone. Per il resto, dovetti limitarmi agli schianti, agli urli, alle imprecazioni, agli strilli. Con tutto questo, sono convinto che non riuscirono mai nemmeno a sfiorarlo. Il più triste di tutto, per me, fu che mi trovavo in quelle condizioni nell’ora della gloria di Pete, quando ero impossibilitato ad apprezzare nel giusto valore ogni particolare del suo comportamento.

Finalmente tutto quel pandemonio ebbe termine, e Miles tornò nel soggiorno, seguito da Belle.

— Chi ha lasciato aperta quella maledetta porta schermata? — chiese Belle ansimando.

— Sei stata tu. E adesso smettila, perché ormai è scappato. — Miles aveva la faccia e le mani sporche di sangue. A un certo punto dell’inseguimento doveva anche essere caduto, perché aveva gli abiti sporchi di terriccio.

— Non è vero un accidente che l’ho aperta io! — protestò Belle. — Hai una pistola o un fucile in casa?

— Per far che cosa?

— Voglio sparare a quel maledetto gatto. — Belle era ridotta ancora peggio di Miles, perché aveva più zone di epidermide scoperta sulla quale Pete si era potuto sfogare. Non avrebbe portato abiti scollati per un bel pezzo, e se non si curava bene le sarebbero rimaste cicatrici qua e là. Pareva un’arpia dopo un litigio con le sue sorelle.

— Siediti — le disse Miles.

Lei fece cenno di no, poi ripeté: — Voglio ammazzare quel maledetto gatto.

— E allora non sederti. Ma va’ almeno a lavarti. Ti medicherò con la tintura di iodio, e poi tu medicherai me. E non pensare più al gatto. Ormai ce ne siamo liberati.

Belle borbottò qualcosa d’inintelligibile, che tuttavia Miles dovette capire perché disse: — Senti, se avessi un fucile, e con questo non voglio dire che ce l’abbia, e mi mettessi a sparare avremmo la polizia in casa entro dieci minuti. Ti piacerebbe, con lui qui? — Così dicendo agitò il pollice verso di me. — Del resto, se usciamo stanotte disarmati, quella bestia è capace di ucciderci. Ci dovrebbe essere una legge che proibisce di tenere simili animali. Costituiscono un pericolo. Sentilo!

Tutti potevamo benissimo sentire Pete che faceva la ronda intorno alla casa, non più lamentandosi ma emettendo alti miagolii che si sarebbero potuti definire alte grida di guerra invitanti coloro che erano in casa ad armarsi e uscire per affrontarlo.

Belle stette ad ascoltare, rabbrividendo. — Non preoccuparti, non può entrare — la consolò Miles. — Non solo ho chiuso la porta schermata che tu avevi lasciato aperta, ma ho chiuso la porta a chiave.

— Non ero stata io a lasciarla aperta, ti ho detto.

— E va bene! — concesse Miles avviandosi a controllare che tutte le finestre fossero ben chiuse. Poi tutt’e due si allontanarono, e poco dopo Pete smise di gridare. Non so quanti minuti passassero poiché non avevo la sensazione del passare del tempo.

La prima a tornare fu Belle, truccata e pettinata a puntino, con una vestaglia chiusa al collo e le maniche lunghe, e un altro paio di calze al posto di quelle che Pete aveva ridotto a brandelli. Solo i cerotti, che le ornavano qua e là la faccia e le mani, testimoniavano l’avvenuta battaglia.

Venne direttamente a piantarsi davanti a me e mi ordinò di alzarmi.

Io ubbidii, e lei mi perquisì con gesti esperti esaminando tutte le carte che riuscì a trovare. D’un tratto mi chiese: — Cosa sono queste carte, Dan? Hai contratto una polizza di assicurazione?

— No. — Avrei voluto dirle di più, ma potevo solo rispondere all’ultima domanda. Belle rimase soprappensiero un momento, poi andò a frugare nella borsa di Pete. Si ricordò dell’esistenza di una tasca laterale perché l’apri subito. Non appena ebbe trovato la quadruplice copia del contratto per il Lungo Sonno che io avevo firmato con la Mutua Assicurazioni, si lasciò cadere su una poltrona e lesse attentamente. Io rimasi dove mi aveva lasciato, come un manichino che il sarto si è dimenticato di rimettere a posto.