— Sì, certo.
— E io dov’ero?
— Ai comandi, professore, e cioè a tre metri e più di distanza dalla gabbia posta sulla piattaforma.
— Benissimo. Venite un po’ qui, adesso. — Mentre ubbidivo, lui si frugò in tasca. — Ecco qua uno dei vostri pezzi. L’altro lo riavrete fra otto giorni — e così dicendo mi porse un pezzo di cinque dollari verde, sul quale vidi subito le mie iniziali.
Non sapevo cosa dire, ma il professore non si aspettava commenti, perché continuò: — La vostra rivelazione mi aveva turbato, così la settimana scorsa sono tornato qui. Era più d’un anno che non ci mettevo piede… Ho trovato questa moneta sulla piattaforma, e ho capito che avevo usato… cioè che avrei usato l’apparecchio entro una settimana.
Guardai la moneta e la tastai.
— Dunque era nella vostra tasca, quando siamo venuti qui stasera?
— Certo.
— Ma come potevate averla in tasca se ce l’avevo in tasca io?
— Dio del Cielo, ragazzo mio, non avete occhi per vedere? Non avete un cervello da far funzionare? Siete incapace di assorbire un semplice fatto solo perché è inusitato ed estraneo alla vostra monotona esistenza? Voi l’avete presa nella vostra tasca stasera, e io l’ho mandata una settimana indietro. Avete visto che è scomparsa. Mercoledì scorso, io, venendo qui, la trovai e me la misi in tasca, e stasera vi ho fatto uno scherzo e ve l’ho messa sotto il naso. Si tratta della stessa moneta, o, per essere precisi, di un segmento posteriore della sua struttura spazio-temporale, con una settimana in più di logoramento e opacità, ma è pur sempre la stessa moneta, agli occhi del volgo. Anche se non più identica, in realtà, di quanto un adulto sia identico al bambino da cui si è sviluppato. È più vecchia, ecco tutto.
— Professore, provate a mandare me indietro di una settimana.
— Neanche parlarne! — tagliò corto lui.
— Perché? Il vostro apparecchio non serve per le persone?
— Certo che funzionerebbe ugualmente.
— Allora perché non acconsentite? Non ho paura. E pensate che avvenimento sarebbe per il libro se potessi riferire per esperienza personale che il dislocamento temporale Twitchell funziona.
— Potete farlo, dal momento che avete assistito all’esperimento con le monete.
— Sì — fui costretto ad ammettere — ma non mi crederebbero. E vero, ho assistito coi miei occhi alla sparizione delle monete, ma chiunque leggesse un mio racconto del fatto direbbe che sono un ingenuo, un visionario che s’è lasciato ingannare da un gioco di prestigio.
— Ma se sapete benissimo che…
— Vi assicuro che l’impressione sarebbe questa — insistetti. — Nessuno riuscirebbe mai a convincersi che io ho davvero visto un dislocamento temporale. Se invece fosse possibile rimandarmi indietro di una settimana, allora narrando per esperienza diretta, come dicevo…
— Sedetevi e statemi bene a sentire — m’interruppe bruscamente il professore, e così dicendo si mise a sedere. Per me non c’era posto, quindi dovetti restarmene in piedi. — Io ho fatto esperimenti con esseri umani, anni e anni fa, ed è appunto perché li ho già fatti che mi rifiuto di farne altri.
— Perché? Sono morti?
— Cosa? No, non dite sciocchezze! — Mi lanciò un’occhiata penetrante, e aggiunse: — Badate di non scrivere niente di questo nel vostro libro.
— Come volete, professore.
— Alcuni esperimenti di minore importanza su esseri viventi dimostrarono che era possibile sottoporli a dislocamento temporale senza che ne avessero a soffrire. Mi confidai in proposito a un collega, un giovanotto che insegnava disegno e altre materie alla scuola di architettura. In realtà, era più un tecnico che uno scienziato, ma mi andava a genio. Questo giovanotto, non c’è niente di male se ve ne dico il nome, Leonard Vincent, era ansioso di provare, e io ebbi la debolezza di accontentarlo. Ma volle sottoporsi a un esperimento in grande, con dislocamento di cinquecento anni.
— E allora?
— Che cosa ne posso sapere? Cinquecento anni, ragazzo mio! Non potrò vivere tanto da sapere cosa gli è successo.
— Credete che sia finito cinquecento anni nel futuro?
— O nel passato. Può essersi ritrovato tanto nel quindicesimo secolo quanto nel venticinquesimo, dato che le possibilità sono pari. Talvolta ho pensato che… No, si tratta solo d’una assonanza di nomi puramente casuale.
Non gli chiesi a cosa alludesse perché d’improvviso l’avevo indovinato, e mi si erano rizzati i capelli in testa al pensiero.
Ma scacciai subito quell’idea, perché avevo ben altri problemi. Inoltre non poteva trattarsi altro che di una coincidenza fortuita… Un uomo non può andare dal Colorado in Italia, per lo meno non poteva farlo, nel quindicesimo secolo.
— Comunque decisi di non tentare più. Mi ero reso conto che esperimenti del genere non erano scientifici, non aggiungevano niente a quanto già sapevo. Se era stato dislocato nel futuro, bene, ma se era finito nel passato… avrei potuto mandare il mio amico a farsi divorare dai selvaggi o dalle bestie feroci.
Oppure, pensai io, il mio amico avrebbe potuto diventare il Grande Dio Bianco. Ma non espressi questo mio pensiero a voce alta. — Io però non vi chiedo certo una dislocazione così ampia nel tempo — dissi invece.
— Vi prego di non parlarne più.
— Come volete, professore. — Finsi di arrendermi, ma non potevo lasciar cadere a quel modo l’argomento. — Scusate — aggiunsi — non si potrebbe fare almeno una prova?
— Come sarebbe a dire?
— Una prova dell’esperimento, disponendo tutto come se dovesse aver luogo, in modo che nel mio libro io possa descrivere fedelmente come avviene il procedimento; infatti ci sono ancora molti punti piuttosto oscuri… e poi smettere al momento di premere il bottone.
Il professore brontolò un poco fra sé, ma poiché aveva una gran voglia di dimostrarmi le meraviglie di cui era capace il suo giocattolo, finì per acconsentire. Prima di tutto mi pesò, poi pesò tante verghe di metallo quante erano necessarie per pareggiare i miei ottanta chili, e dopo avermi fatto entrare nella gabbia, depose le verghe in un altro punto della piattaforma.
— E adesso — aggiunse — visto che tutta questa rappresentazione è fatta in vostro onore ditemi anche di che ampiezza deve essere il dislocamento temporale.
— Potete determinarlo con precisione?
— Ve l’ho già detto. Dubitate della mia parola?
— Oh, no! Bene… oggi è il ventiquattro maggio, facciamo… facciamo trentun anni tre settimane un giorno sette ore tredici minuti e venticinque secondi fa.
— Avete voglia di fare lo spiritoso, eh? Quando ho detto che il mio lavoro è preciso, intendevo dire che ci può essere una percentuale d’errore di uno su centomila, quindi l’ora esatta non la posso garantire.
— Va bene — acconsentii per tagliar corto, roso com’ero dall’impazienza. — Facciamo allora trentun anni e tre settimane. Va bene?
— Ecco fatto.
— Già finito?
— Sì, è tutto pronto, salvo l’energia. Per un esperimento simile non potrei servirmi della tensione che ho usato per il dislocamento delle monete. Ma poiché si tratta di una finzione, è un particolare che non conta.
Lo guardai con un’aria delusa che non era affatto una finzione. — Allora significa che qui in laboratorio non avreste la corrente necessaria per lo spostamento di un corpo come il mio? Avete parlato in teoria, finora?
— Accidenti a voi! Non parlavo affatto teoricamente.
— Ma se non avete l’energia…
— Se proprio insistete, farò gli allacciamenti… Aspettate… — Andò in un angolo del laboratorio dov’era installato il telefono, e parlò per qualche minuto col guardiano notturno della centrale elettrica dell’università.