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Poiché ero in ritardo sul programma di lavoro ero stato costretto a lavorare fino a tarda notte, e m’ero svegliato il mattino presto al torturante fragore d’una sveglia in modo da essere pronto per quando sarebbero venuti a prendermi. Fermai quello strumento di tortura ringraziando il cielo perché nel 2001 non ci sarebbero state più nefandezze simili, e corsi, ancora mezzo addormentato, al bar all’angolo per telefonare a John con l’intenzione di esimermi dall’impegno.

Fu Jenny a rispondermi. — Lavorate troppo, Danny. Un paio di giorni in campagna vi faranno bene.

— Non posso proprio — insistetti. — Devo lavorare. Mi dispiace.

John si inserì con l’altro ricevitore e disse: — Che sciocchezze state dicendo?

— Devo lavorare, John — ripetei. — Ne farei volentieri a meno, ma proprio non posso.

Tornai di sopra, infilai due fette di pane nel tostino, vulcanizzai qualche uovo, e mi rimisi al lavoro. Un’ora dopo bussarono alla porta.

Se io non andai al Circolo, quella domenica, non ci andarono nemmeno i Sutton, perché rimasero da me, e io mostrai loro i miei apparecchi. Jenny ammirò molto Dino Disegnatore anche se non poté apprezzarne le doti perché bisognava essere un disegnatore o un architetto per farlo, ma quello che la lasciò letteralmente a bocca aperta fu il Proteiforme Pete.

Aveva una Domestica Perfetta per i lavori di casa, e poteva quindi apprezzare il progresso che Pete costituiva nei suoi confronti.

John invece afferrò subito l’importanza di Dino Disegnatore, e quando gli feci vedere come avrei potuto fare la mia firma, con la mia scrittura, spingendo un paio di bottoni, le sue sopracciglia s’inarcarono e lui disse: — Meraviglioso! Ma così verranno licenziati migliaia di disegnatori.

— No, di anno in anno in questo paese si lamenta la scarsità di buoni tecnici. Questa macchina servirà a colmare la lacuna. Fra una trentina d’anni tutti gli studi di architetti e d’ingegneri saranno dotati di una macchina come questa. Non potranno farne a meno, vedrete, come la meccanica moderna non potrebbe fare a meno degli utensili elettrici.

— Parlate come se aveste la certezza di quello che dite.

— Infatti è così.

Guardò il Proteiforme Pete che stava in quel momento facendo ordine sul mio banco di lavoro, poi tornò a guardare Dino Disegnatore, e infine disse: — Sapete, Danny… qualche volta penso che quello che mi avete detto il giorno in cui ci siamo conosciuti doveva essere vero.

Mi strinsi nelle spalle. — Chiamatela seconda vista, invece, se volete… comunque io sono sicuro di quello che dico.

— D’accordo, ma che cosa intendete fare, per il momento, delle vostre invenzioni?

— Questo è il punto dolente, John — ammisi, aggrottando la fronte. — Sono un bravo ingegnere, e oserei dire un ottimo meccanico, ma come uomo d’affari non valgo niente. Vi siete mai occupato di brevetti, voi?

— No, ci vuole un legale specializzato.

— Ne conoscete uno onesto? Onesto e intelligente, anzi? Mi occorre subito. Devo fondare una società, chiedere dei brevetti, e trovare dei finanziatori… e ho pochissimo tempo disponibile.

— Perché?

— Perché devo tornare da dove sono venuto.

Lui si sedette e tacque a lungo. Finalmente disse:

— Di quanto tempo disponete?

— Nove settimane. Per essere precisi, nove settimane da giovedì prossimo.

Lui guardò le due macchine, poi tornò a guardare me. — Temo che dovrete rivedere i vostri programmi. Basteranno sì e no nove mesi. Avete appena i prototipi, e dovete cominciare dal principio.

— Lo so, John, ma non posso fare diversamente.

— Lo dite voi.

— No, non dipende da me. — Mi nascosi la faccia tra le mani, morto di stanchezza e preoccupato. — Volete occuparvi voi di tutto? — gli chiesi poi, rialzando la testa.

— Cosa?

— Occuparvi di tutto. Io non mi intendo affatto di questioni legali e commerciali.

— Danny, vi rendete conto di quello che mi state chiedendo? Fra l’altro potrei imbrogliarvi senza che ve ne rendeste conto, lo sapete? Le vostre invenzioni sono destinate a diventare una miniera d’oro.

— Lo so — risposi.

— E allora perché fidarvi ciecamente di me? Prendetemi per avvocato, invece, così potrò consigliarvi e tenere gli occhi aperti per voi, dietro compenso.

Cercai di pensare, con la testa che mi doleva. Avevo avuto un socio una volta… ma, accidenti, anche se ci si è già scottati le dita, non si può fare a meno di aver fiducia nel prossimo, altrimenti si dovrebbe vivere in una grotta come gli eremiti, dormendo con un occhio solo. Non c’era modo di essere sicuri di niente. La vita stessa era un susseguirsi continuo di pericoli e di tranelli.

— John — dissi — voi avete avuto fiducia in me, fin dal principio. Vi prego, aiutatemi. Ho assoluto bisogno di voi.

— Certo che vi aiuterà — intervenne Jenny, con la gentilezza che le era abituale.

Così diedi la procura a John perché si occupasse di tutta la parte commerciale della faccenda, e lui si consultò a sua volta con uno specialista in brevetti al fine di essere più sicuro. Non so se lo pagasse in moneta contante o se dividesse con lui parte della torta, perché non me ne interessai. Non davo più molta importanza al denaro: e poi, o John era quale speravo, o avrei fatto meglio trovare la famosa grotta.

Insistetti solo su due punti. — John — dissi — dobbiamo chiamare la ditta: Società Aladino per la Fabbricazione di Apparecchiature Automatiche.

— A me pare un nome un po’ lungo e strampalato. Perché non facciamo Davis Sutton? Suona più serio.

— Mi spiace, ma deve essere così, John.

— Davvero? Ve l’ha detto la vostra seconda vista?

— Può darsi. Marchio di fabbrica sarà una raffigurazione di Aladino intento a strofinare la lampada da cui esce il genio. Farò io lo schizzo. E un’altra cosa. La sede della Ditta sarà a Los Angeles.

— Cosa? Ma no, troppo lontano. Io abito a Denver. Perché non restare qui? C’è qualcosa in contrario?

— Niente. Anzi, Denver mi piace e mi ci trovo benissimo. Ma non è una città adatta a installarci una fabbrica. Le materie prime mancano, il personale adatto è scarso, mentre Los Angeles è molto più attrezzata.

— E lo smog?

— Fra pochi anni lo smog non ci sarà più. Troveranno il modo di evitarne la formazione, ve l’assicuro.

— Danny, voi avrete i vostri buoni motivi per insistere, ma anch’io ho i miei. Inoltre — e si rivolse a sua moglie, intenta a sferruzzare lì accanto — noi abbiamo sempre vissuto qui. Jenny è abituata all’aria fine e fresca di Denver, come volete che possa trasferirsi in California?

— Oh, io ne sarei felice! — esclamò inaspettatamente Jenny.

— Cosa? — disse John sbalordito.

— Sì, caro. Proprio l’altro giorno, vedendo una crosta di ghiaccio sulla piscina del Circolo, pensavo come sarebbe bello vivere in un paese dove fa caldo tutto l’anno.

Non ebbi bisogno d’insistere oltre per convincere John.

Mi fermai a Denver fino alla sera del 2 dicembre 1970, e dovetti farmi prestare tremila dollari da John perché ero rimasto all’asciutto. Ma per rassicurargli la restituzione, volli fissare un’ipoteca sul mio pacchetto azionario. Quando gliela portai, l’ultima sera, lui la fece a pezzetti che gettò nel cestino dei rifiuti. — Me li restituirete la prossima volta che ci vedremo.

— Cioè fra trent’anni.

— Non prima?

Tacqui pensoso. John non mi aveva mai chiesto di raccontargli per filo e per segno la mia storia da quando, il giorno del mio arrivo, aveva dichiarato che gli era impossibile credere al poco che gli avevo rivelato.

Finalmente mi decisi, e gli dissi che gli avrei raccontato tutto sul mio conto.

— Dobbiamo svegliare Jenny? — aggiunsi. — Anche lei ha il diritto di sapere.