— Sì, che mi rivedrai, tesoro, anche se dovrà passare molto tempo. Anche Pete verrà con me, ma rivedrai anche lui.
— Ma, Danny — protestò debolmente la bambina guardando da me e Pete con aria smarrita — perché non venite a stare con me e la nonna a Brawley? Alla nonna piacciono tanto i gatti!
— Ti prego, cara, non insistere, devo proprio farlo.
Ricky assunse allora un’espressione adirata, e commentò: — Scommetto che anche quella là viene con te.
— Cosa? Parli di Belle? Per carità, se sapessi che è qui vicino scapperei a gambe levate.
Questa sincera dichiarazione ebbe il potere di sollevarla un poco.
— Meno male! — disse. — Parevi matto, con quella… Sai che mi avevi offeso in modo indegno?
— Scusami, Ricky, ti chiedo perdono con tutto il cuore. Avevi perfettamente ragione: ero matto, ma adesso sono guarito. Però devo dirti ancora una cosa molto importante. Sai cos’è questo? — e le mostrai il certificato di proprietà delle azioni della Domestica Perfetta che avevo estratto dalla busta.
— No.
Cercai di spiegarglielo nel modo più semplice possibile. — Adesso scrivo qui dietro che te lo cedo, Ricky — aggiunsi. — Dimmi come ti chiami.
— Lo sai, Ricky Gentry.
— Ma no, dimmi il tuo nome per intero. Se Miles non ti ha adottato, come hai detto prima, non puoi chiamarti Gentry.
— Federica Virginia Heinicke.
Scrissi nel modulo apposito un atto di cessione a suo nome, tramite la Banca d’America che avrebbe provveduto alla consegna il giorno del suo ventunesimo compleanno. Mentre così facevo mi sentii scorrere un brivido lungo la schiena: infatti il mio primo atto di cessione non sarebbe stato valido, e Belle avrebbe potuto impadronirsi facilmente delle mie azioni.
Mentre tracciavo la firma, vidi la sorvegliante sbirciare dalla porta. Guardai l’orologio: avevo parlato per quasi un’ora, e il tempo stringeva. — Signorina — chiamai — sapete dirmi se c’è un notaio giù al villaggio? — Questa volta ero deciso a fare le cose in regola.
— Io sono notaio — rispose. — Vi occorre qualcosa?
— Meraviglioso! Avete il vostro sigillo?
— Lo porto sempre con me.
Firmai quindi sotto i suoi occhi e lei aggiunse la sua firma, con le dichiarazioni di rito per attestare che mi conosceva di persona, poi impresse il sigillo sulla mia firma. Allora sì che tirai un sospiro di sollievo! A Belle non sarebbe stato facile alterare quel documento!
Dopo che l’ebbi ringraziata calorosamente, aveva rifiutato qualsiasi onorario, le dissi che stavo per andarmene, ma che mi concedesse ancora qualche minuto a tu per tu con la bambina.
Quando fummo di nuovo soli, dissi a Ricky: — Consegna questo foglio alla nonna e dille di portarlo all’Agenzia della Banca d’America di Brawley. Penseranno loro al resto.
— Ma io non voglio! — protestò lei con gli occhi pieni di lacrime. — Tu te ne vai e mi abbandoni, e mi lasci con quel foglio… non so che cosa farmene, io!
— Ricky, tesoro, ascolta. Ormai è troppo tardi, e sono costretto a fare quello che ti ho detto. E poi, ora che la signorina ha messo la sua firma e il suo timbro, non potresti più disfare quello che è stato fatto. Quel foglio vale tanti soldi, che saranno tuoi quando avrai ventun anni.
— Io non voglio i soldi, voglio te… e Pete — insistette la bambina con la voce soffocata dal pianto.
— C’è un modo — dissi — e ora te lo spiego. Asciugati gli occhi, e ascoltami. Prima di tutto hai capito bene fino a questo punto?
Lei annuì, tirando su col naso.
— Bene. Dunque, andrai a stare dalla nonna e studierai, da brava bambina. Poi, quando avrai ventun anni e potrai fare quello che desideri, se vorrai, potrai sottoporti anche tu al Lungo Sonno, e quando ti sveglierai, io sarò lì con Pete ad aspettarti. Te lo giuro.
Lei si rasserenò. — Davvero mi aspetterai?
— Sì, ma dobbiamo metterci d’accordo bene. Questa è la parte più importante di tutto, perciò prendi la penna e scrivi quello che ti dirò. Ecco qua un foglietto… Dunque, quando avrai ventun anni, se non avrai cambiato idea, rivolgiti alla Compagnia Cosmopolita… Co-smo-po-li-ta… di Assicurazioni, a Los Angeles, e prendi accordi in modo da venire sottoposta al Lungo Sonno nel Ricovero Riverside… Ri-ver-si-de… capito? Scrivi esattamente, e bada di conservare questo foglio… Segna la data, ora: dovrai svegliarti esattamente il 1° maggio del 2001. Va bene? Se ubbidirai a puntino, ti prometto solennemente che io e Pete saremo là ad aspettarti. Ma non devi sbagliare o dimenticarti qualcosa, capito?
Infilai il foglio con le istruzioni in una busta di plastica che avevo portato con me da Denver, e gliela porsi, ripetendo le raccomandazioni.
Ricky la prese e se la infilò in tasca, seria seria, insieme a quella in cui avevo messo il certificato di cessione delle azioni, poi, senza alzare gli occhi, mormorò con voce appena percettibile: — Se lo farò… mi prometti anche che mi sposerai?
Mi sentii rombare le orecchie e per un istante mi si offuscò la vista. Tuttavia riuscii a rispondere con voce ferma: — Sì, Ricky. È proprio per questo che ti ho dato tutte quelle istruzioni.
Prima di lasciarla dovevo fare ancora una cosa, darle una busta precedentemente preparata, sulla quale avevo scritto: Da aprire alle morte di Miles Gentry. Dentro, c’erano i documenti inviatimi dall’Agenzia d’Investigazione e relativi alla poco edificante carriera di Belle. Così, se alla morte di Miles quell’arpia avesse per qualche suo losco motivo tentato di mettere le mani su Ricky, avrebbe trovato pane per i suoi denti. Infine le diedi l’anello con lo stemma del Politecnico (non ne avevo altri), e le dissi di conservarlo in pegno del nostro fidanzamento. — Quando ti sveglierai — le promisi — te ne darò un altro più bello.
Lei lo strinse nel piccolo pugno (era troppo largo perché potesse infilarlo al dito) e dichiarò: — Non ne voglio altri.
— Bene… E adesso saluta Pete. Non posso aspettare oltre.
Lei strinse a sé Pete, poi me lo porse, guardandomi con gli occhi pieni di lacrime: — Addio, Danny — mormorò.
— Non addio, Ricky, ma arrivederci. Saremo là ad aspettarti.
Quando tornai al villaggio erano le dieci. M’informai, e seppi che alle dieci e mezzo sarebbe partito l’elicottero di linea. Feci appena in tempo a cedere l’automobile a un rivenditore che me la pagò un’inezia, e salii sull’elicottero tenendo nascosto Pete: i gatti soffrono il mal d’aria e le Compagnie Aeree fanno un mucchio di difficoltà ad accettarli a bordo dei loro apparecchi. E così, alle undici passate da poco, potevo entrare nell’ufficio del signor Powell, alla Mutua Assicurazioni.
Powell si mostrò seccato che avessi affidato ad altri e non alla Società l’amministrazione delle mie azioni, ma quando gli consegnai tutto il denaro che avevo con me, dietro la minaccia di rescindere il contratto e recarmi alla Central Valley, non fece più obiezioni.
— Mi raccomando che la data del risveglio sia esatta — pretesi. — Comunque non oltre il 27 aprile 2001.
Lui apportò le dovute modifiche al contratto, ed entrambi vi apponemmo le iniziali.
A mezzogiorno in punto entravo nello studio del medico che mi guardò e chiese: — Avete bevuto?
— No. Sono sobrio come un giudice.
— Preferisco controllare — e mi esaminò come aveva fatto… ieri. Alla fine depose il suo martelletto di gomma e aggiunse: — Sono davvero stupefatto. In confronto a ieri siete in condizioni davvero magnifiche. Non l’avrei mai creduto possibile.
— Se sapeste, dottore…
Ma lui aveva altro da fare che sentire la mia storia, e del resto io non avevo la minima intenzione di raccontargliela. Non volevo finire in manicomio.
Accompagnai Pete nel reparto veterinario, dove gli praticarono una prima iniezione sedativa, e quando lo vidi addormentato tranquillo mi sottoposi a mia volta ai procedimenti d’uso. Forse avrei potuto aspettare qualche giorno ancora, ma ormai avevo fatto tutto quello che dovevo fare, ed ero ansioso di tornare nel 2001.