Ci pensai: una volta avevo un’automobile, ma Dio solo sapeva cosa ne era stato. Quanto al resto, qualche abito, parecchi libri, un paio di regoli e un tavolo da disegno, erano stati tutto il mio patrimonio.
— Niente, signor Doughty — dichiarai alla fine.
— E allora mi duole dirvi che non disponete di un soldo.
Dovetti afferrarmi al tavolo per reggermi. — Cosa volete dire? — balbettai. — Avevo incaricato, com’è scritto nel contratto, di cambiare il mio denaro liquido in titoli industriali di cui ho potuto constatare la validità nel listino di borsa del giornale di ieri!
— Mi spiace, signor Davis — ribatté lui — ma sta di fatto che l’Assicurazione Madre è fallita.
Fui contento che mi avesse invitato a sedere perché altrimenti le gambe non mi avrebbero retto.
— Cos’è successo? — domandai. — Il Grande Panico?
— No, no, il suo fallimento è stato una conseguenza di quello del Gruppo Mannix… ma naturalmente voi non potete essere al corrente dell’accaduto. L’Assicuratrice era più che altro una Società prestanome, e serviva a coprire alcune transazioni clandestine della Mannix. Quando si scoprì tutto questo era troppo tardi, altrimenti si sarebbe forse potuto salvare qualcosa. Se questo può esservi di consolazione, sappiate che, con le nuove leggi, una cosa simile non avrebbe potuto succedere.
No, non era affatto una consolazione. E inoltre non ci credevo. Mio padre sosteneva sempre che più una legge è complicata più gli imbroglioni riescono a violarla.
— Sentite — chiesi per curiosità — volete dirmi se la Compagnia Mutua Assicurazioni si è salvata?
— La Mutua? Certo. È una ditta seria e solida. Non dico che abbia passato dei bei momenti durante il Grande Panico, ma se l’è cavata. Avete forse qualche polizza con loro?
— No — mi limitai a rispondere. Mi sembrava inutile ogni spiegazione. Il contratto con la Mutua non era mai stato valido, perché non mi ero mai potuto recare dal medico, quel famoso giorno. Belle se ne era servita per falsificarlo e intestare i fogli all’Assicurazione Madre, e ormai non avrei potuto più far altro che tentare di perseguire per via legale Belle e Miles, posto che fossero ancora vivi. Ma che cosa ci avrei guadagnato? E poi, come già una volta trent’anni prima, non avevo prove.
D’un tratto mi ricordai che, appunto quando mi avevano defenestrato, Miles e Belle avevano ventilato il progetto di fare della Domestica Perfetta una affiliata della Mannix, perciò chiesi: — Scusate, signor Doughty, voi mi avete detto che la Mannix è fallita, e così pure le sue affiliate. Siete sicurp che la Domestica Perfetta non si sia salvata?
— La Domestica Perfetta? Quell’azienda che produce elettrodomestici automatici specializzati?
— Sì.
— Mi pare impossibile quello che dite, perché l’impero Mannix non esiste più da anni. Evidentemente sbagliate, credendo che la Domestica Perfetta sia stata un’emanazione del gruppo Mannix, a meno che qualcuno non abbia rilevato, in seguito, la ragione sociale.
Lasciai cadere l’argomento. Se Miles e Belle erano stati trovolti nel fallimento del gruppo Mannix tanto meglio, ma questo significava anche la rovina di Ricky, e mi dispiaceva enormemente.
— Vi ringrazio — dissi, alzandomi. — Vedrò di arrangiarmi come posso, signor Doughty.
— Credete pure, signor Davis, che noi del Ricovero ci sentiamo responsabili nei riguardi delle persone che ci sono affidate, e poiché il vostro è il primo caso in cui un cliente viene a trovarsi in condizioni… spiacevoli, ebbene vi rendo noto che la Direzione ha stanziato una piccola somma da mettervi a disposizione per…
— Vi ringrazio, signor Doughty — tagliai corto — ma non accetto la carità di nessuno.
— Non si tratta di carità, ma di un prestito, se preferite, e noi saremo molto più tranquilli se non ve ne andate di qui con le tasche vuote.
Ci pensai su. Non avevo in tasca neanche quel tanto che occorreva per tagliarmi i capelli, d’altra parte accettare un prestito è come cercare di nuotare con un mattone in ciascuna mano… ed è più difficile restituire una piccola somma che un milione. — Signor Doughty — dissi dopo una lunga meditazione — il dottor Albrecht mi ha detto che avrei diritto ad altri quattro giorni di permanenza gratis qui.
— Sì, credo che si tratti di quattro giorni, sebbene il periodo vari a secondo dei contratti.
— Ora ditemi, qual è la retta giornaliera qui al Ricovero per una stanza come quella che occupavo io?
— Non posso dirvelo esattamente. Questo non è un ospedale con retta quotidiana, ma teniamo delle camere a disposizione dei clienti, dopo il risveglio. Comunque credo che cento dollari al giorno siano la cifra esatta.
— E siccome io ho diritto a quei quattro giorni, potreste prestarmi quattrocento dollari?
Senza rispondermi, il signor Doughty parlò in codice al suo assistente automatico, e poco dopo mi porse otto biglietti da cinquanta.
— Grazie — gli dissi di tutto cuore, mentre intascavo la somma. — Ve li restituirò appena posso, con l’interesse. Va bene il sei per cento?
Lui scosse la testa. — Non è un prestito, signor Davis, dal momento che avete chiesto questa somma in cambio dei giorni di degenza che vi spettavano.
— Ma no, non voglio…
— Vi prego di non insistere. Volete che sprechiamo tempo e denaro per le pratiche relative a un prestito così esiguo? Ero disposto a darvi molto di più.
— Allora non insisto, ma ditemi piuttosto qual è il valore d’acquisto del denaro, oggi.
— Mah, non saprei con precisione. Però a occhio e croce direi che con dieci dollari si può fare un ottimo pasto, se non andate in un locale di gran lusso.
Lo ringraziai di nuovo calorosamente, e me ne andai.
Fuori dal Ricovero, che si trovava sul Wilshire Way, c’erano delle panchine al sole. Dopo aver fatto pochi passi, mi sedetti, e aperto il Times che avevo portato con me, mi misi a leggere gli avvisi economici, alla colonna offerte di lavoro. Vinsi la tentazione di leggere l’elenco delle richieste di tecnici esperti, e cercai quelle per lavoratori inesperti al primo impiego.
Era una lista maledettamente breve, tanto breve che per poco non mi sfuggì.
6
Due giorni dopo, venerdì 15 dicembre, trovai lavoro. Le mie mansioni consistevano nel fracassare automobili di lusso nuove di zecca in modo che potessero essere spedite a Pittsburgh come rottami. Si trattava di Cadillac, Chrysler, Eisenhowers, Lincoln, ecc. tutte enormi, bellissime, potenti turbomobili col contachilometri ancora a zero. Io dovevo spingerle fra le mascelle di un’enorme tenaglia che le stritolava, e da dove le ritirava in condizioni pietose.
Sulle prime mi piangeva il cuore a dover rovinare tutto quel ben di Dio, ma ero una talpa (così erano chiamati i reduci del Lungo Sonno), e dovevo imparare molte cose prima di reinserirmi nella vita normale.
Il mio capo-officina, un tipo gioviale e paterno che mi aveva preso subito in simpatia, mi spiegò: — Si tratta semplicemente di questioni economiche, figliolo. Queste vetture costituiscono un eccesso di produzione che il governo ha accettato come garanzia per evitare l’aumento dei prestiti statali. Queste macchine hanno due anni e ormai sono di un modello sorpassato e non si venderebbero più, così il governo le fa distruggere e le rimanda alle acciaierie. Il minerale grezzo ad alta percentuale è scarso, perciò i rottami sono più che mai ricercati, e le acciaierie hanno bisogno di queste macchine.
— Ma perché costruirle, se è noto in anticipo che non saranno vendute? Mi sembra uno spreco di tempo e di denaro.
— Appunto, sembra. Volete che aumenti la schiera dei disoccupati? Oppure volete che il tenore di vita si abbassi?
— Non si possono esportare? Mi pare che ricaverebbero di più vendendole all’estero che non come rottami.