Выбрать главу

Ai primi di marzo avevo scritto all’ufficio brevetti chiedendo gli originali dei brevetti di Pronto-agli-Ordini e Dino Disegnatore. Il fatto che i due brevetti fossero stati rilasciati nello stesso anno, convalidava l’impressione provata alla vista di Dino Disegnatore, e che cioè qualcuno, per non so quale misterioso fenomeno, avesse, nello stesso tempo, avuto le mie stesse idee per cederle poi alla Aladino.

L’ufficio brevetti mi aveva risposto che i brevetti scaduti erano conservati negli Archivi Nazionali situati nelle Caverne Carlsbad. Mi ero perciò affrettato a scrivere agli Archivi.

E ora, la grossa busta che mi stava davanti, aveva tutta l’aria di essere la risposta che aspettavo. Infatti era così.

Per prima cosa esaminai le copie fotostatiche dei disegni e della descrizione di Pronto-agli-Ordini, e dovetti ammettere che non assomigliavano molto a quelli del mio Servizievole Sergio. Era infatti nello stesso tempo più complicato e più semplice ma forse, se avessi continuato a occuparmi della faccenda, dopo Sergio avrei prodotto anch’io un automa similare. Dopotutto, si basava anch’esso sull’uso dei tubi Thorsen e… In quella mi cadde lo sguardo sulla firma dell’inventore, e rimasi a bocca aperta. La firma era: D. B. Davis. Dunque Belle mi aveva mentito ancora, né, pensai, c’era da stupirsi. Era una bugiarda patologica, in un certo senso irresponsabile delle sue azioni. Aveva mentito asserendo che il prototipo del Servizievole Sergio e i disegni relativi erano stati rubati; invece, erano stati ceduti a qualche altro tecnico che li aveva modificati, per poi chiedere il brevetto a mio nome. Però quei due non erano riusciti a fare il contratto con la Mannix perché non avevano potuto consegnare il prototipo desiderato. Così aveva detto Belle, e la cosa doveva rispondere a verità, in quanto collimava con le altre informazioni che avevo ottenuto.

Che Miles si fosse impadronito della mia creazione di nascosto da Belle, facendole credere che era stata rubata? Ma ormai era troppo tardi per pensarci: Miles era morto, e delle parole di Belle sapevo che conto fare. Avevo soddisfatto la mia curiosità, e avevo scoperto che, come supposto, l’inventore originale ero io. Il resto non contava più, dopo tanti anni. Il mio orgoglio professionale era salvo, e poiché avevo i pasti assicurati, che mi importava del denaro che avevo perso?

Mi accinsi quindi a esaminare le carte relative a Dino Disegnatore. I disegni erano una meraviglia, io stesso non avrei potuto fare meglio. Ammirai l’economia dei meccanismi e l’intelligente sistemazione dei circuiti per ridurre al minimo le parti mobili. Le parti mobili sono infatti come l’intestino cieco: una fonte di disturbi che è meglio eliminare appena possibile.

Si era perfino servito, per lo chassis della sua tastiera, di una tastiera per macchina per scrivere elettrica, e dal disegno avrei detto che si trattava di una IBM di serie. Questo era un particolare tutto a favore dell’intelligenza dell’inventore: non reinventare mai qualcosa che già esiste e ci si può procurare con facilità. Voltai la pagina per vedere il nome di quel ragazzo di genio.

Era D. B. Davis.

8

Telefonai al dottor Albrecht, con il quale non mi ero più fatto vivo dopo l’uscita dal Ricovero. Ci scambiammo i saluti e i convenevoli di rito, poi esposi il motivo per cui l’avevo chiamato.

— Dottore — chiesi — è possibile che il Lungo Sonno provochi amnesia?

Lui esitò un poco prima di rispondere. — È concezionalmente possibile — disse poi — anche se finora non se n’è verificato un solo caso, a quanto ne so. A meno che, naturalmente, non ci fosse un’altra causa.

— E quali sono le cause che possono provocare un’amnesia?

— Sono parecchie. La più comune è il desiderio inconscio che il paziente prova di dimenticare qualcosa, e in questo caso dimentica uno o più fatti che altrimenti gli riuscirebbero insopportabili, o li modifica. Questa, grosso modo, è l’amnesia funzionale. Poi c’è la classica botta in testa: amnesia da trauma. E poi ci possono essere casi di amnesia da suggestione, per effetto di droghe o di ipnosi. Ma perché questa domanda? Non riuscite a trovare il portafoglio?

— No, no… anzi, finora mi sono trovato benissimo, solo che adesso mi sono venuto per caso a trovare di fronte ad alcuni fatti avvenuti poco prima del Lungo Sonno, e non riesco a rammentarli.

— Uhm… siete sicuro che non c’entri nessuna delle cause che vi ho menzionato?

— Potrebbero entrarci tutte — risposi lentamente — meno, forse, la botta in testa… ma anche di questa non sono sicuro. Potrebbero avermi picchiato mentre ero ubriaco.

— M’ero dimenticato di menzionare la più comune delle amnesie temporanee — disse allora lui, seccamente — e cioè quella da alcol. Sentite, figliolo, perché non venite da me a fare due chiacchiere? Così potrete spiegarmi nei particolari tutto quello che vi tormenta. Non sono uno psicanalista e forse non riuscirò a scoprire la causa delle vostre angustie, ma posso indirizzarvi a qualche collega, se sarà il caso. Siccome però le tariffe degli ipno-analisti sono molto elevate, penso che fareste bene a parlare prima con me.

— Dottore, siete stato anche troppo gentile — gli risposi — e non voglio approfittare oltre.

Lui insistette, e io finii col promettergli che la settimana seguente gli avrei telefonato per fissare un appuntamento.

Ormai s’era fatto tardi e quasi tutti se n’erano andati. Io rimasi a lungo a pensare, in silenzio, finché le mie meditazioni vennero interrotte dall’arrivo di Chuck Freudenberg.

— Salute! Credevo che te ne fossi già andato da un pezzo. Svegliati, e vai a finire il sonno a casa.

— Chuck — gli dissi — m’è venuta una magnifica idea. Comperiamo un barattolo di birra e due panini.

Lui ci pensò sopra. — Vediamo… è venerdì… sì, posso concedermi un po’ di svago.

— Allora aspettami, metto questi fogli nella cartella e sono da te.

Bevemmo un paio di birre, mangiammo qualche panino, poi andammo a bere un’altra birra in un locale dove facevano della buona musica, e poi ancora in un altro, che era tranquillo e dove non c’era musica che desse fastidio, e lì, finalmente, raccontai a Chuck dei brevetti che portavano il mio nome. Lui dapprima prese la cosa in scherzo, ma vedendo che io ero maledettamente serio e deciso ad andare a fondo, mi chiese: — E allora, cos’hai intenzione di fare?

— Andrò da uno psicanalista perché mi scavi in fondo all’anima per vedere quello che c’è sepolto.

— Immaginavo che avresti risposto così — commentò lui con un sospiro. — Ma senti un po’, Dan, supponi che l’esame non scopra niente, cosa farai allora?

— È impossibile!

— Dissero così anche a Colombo. Finora non hai preso in considerazione la spiegazione più semplice.

— Quale sarebbe?

Senza rispondermi, fece segno al cameriere di portargli l’elenco dei telefoni. — Che intenzioni hai? — chiesi, mentre lui sfogliava il grosso volume. — Vuoi chiamare un’ambulanza?

— Non ancora. Guarda un po’ qui.

Guardai: l’elenco era aperto sulle pagine dei «Davis», e Chuck mi sottolineò almeno una dozzina di D. B. Davis. — Questo è l’elenco dei tuoi omonimi in una città di circa sette milioni di abitanti — disse. — Prova a estendere le ricerche a tutta la nazione, e mi saprai dire!

— Questo non prova niente — dissi io, un po’ scosso.

— No — ammise lui — dico anch’io che sarebbe una coincidenza davvero più unica che rara se due ingegneri col pallino delle invenzioni con lo stesso nome, e probabilmente della stessa età, avessero lavorato nello stesso periodo intorno a due idee identiche. Ma la legge minima potrebbe provarti, cifre alla mano, che le probabilità esistono. La gente si dimentica sempre che le cose più strane e impensate succedono davvero.