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— Credevo che il Centro Navale fosse andato distrutto nel bombardamento di Washington.

— Sono andati distrutti solo gli edifici esterni, signore, non quelli sotterranei. È questo un tributo alla perfezione tecnica. Quel gatto visse vent’anni senza che nessuno avesse cura di lui, salvo i meccanismi cui era stato affidato, e vive ancora, in perfette condizioni, come sarà di voi, signore, per qualunque periodo vogliate affidarvi a noi.

— Va bene, va bene. Adesso passiamo al lato pratico.

I punti principali della polizza erano quattro: primo, come sistemare i propri affari durante il Lungo Sonno, secondo, la durata del medesimo, terzo, sistema di pagamento della polizza, quarto, cosa sarebbe successo se al momento del risveglio mi avessero trovato morto.

Decisi di farmi svegliare nell’anno 2000, perché era un bel numero tondo che mi piaceva, e distando solo trent’anni andava bene per i miei progetti. Temevo, oltre tutto, che dormendo di più, al mio risveglio sarei stato troppo tagliato fuori dal mondo. I progressi compiuti negli ultimi trent’anni dalla scienza e dalla tecnica, e gli avvenimenti di quel periodo, due grandi guerre, una dozzina di piccole, il Grande Panico, i satelliti artificiali, il mutamento dell’energia atomica, tanto per citarne qualcuno a caso, mi ammonivano ad andare cauto.

Forse il 2000 era anche troppo lontano, ma svegliandomi prima non avrei potuto sperare di vedere Belle con una fitta rete di rughe sulla faccia.

Quando si venne al punto affari, non presi neppure in considerazione la possibilità di investire per quei trent’anni i miei averi in buoni del Tesoro o in altro modo conservatore: il nostro sistema fiscale ha infatti in sé il germe dell’inflazione. Decisi di tenermi le azioni della Domestica Perfetta e cambiare il denaro contante in azioni industriali scegliendo le aziende più solide e di sicuro avvenire.

Il più difficile venne quando dovetti decidere il da farsi nel caso che fossi morto durante l’ibernazione. La Compagnia assicuratrice sosteneva che c’erano il 70 per cento di possibilità di risvegliarmi vivo e vegeto, ma non si poteva trascurare il rimanente 30 per cento. Decisi che la Compagnia avrebbe incassato tutti i miei averi fino all’ultimo centesimo, e poco mancò che il signor Powell mi buttasse le braccia al collo, tanto questa decisione lo entusiasmò… costringendomi immediatamente a pensare se era stato proprio sincero parlando del 70 per cento. Mi garantii chiedendo, per il caso in cui mi fossi svegliato vivo, di essere nominato erede di qualunque altro loro cliente che fosse morto durante il sonno.

Rimaneva la visita medica che mi preoccupava poco poiché avevo il sospetto che, per quel genere di polizze, la Compagnia accettasse anche clienti affetti da peste bubbonica.

Il signor Powell preparò quattro copie di diciannove fogli, che dovetti firmare una per una rischiando un crampo alla mano, e mentre un impiegato chiamato apposta le portava via, venni accompagnato dal medico. Questi mi sottopose a una visita accurata, e già pensavo che tutto fosse finito quando lui mi guardò negli occhi e mi chiese: — Da quanto tempo siete così sbronzo?

— Sbronzo?

— Esattamente.

— Ma che cosa ve lo fa pensare, dottore? Io sono sobrio quanto voi. Volete una prova? «Sotto la panca la capra campa…»

— Non scherzate e rispondetemi.

— Uhm… diciamo da circa quindici giorni.

— Dal che deduco che c’è stato un motivo che vi ha indotto a bere. Vi era mai capitato prima di trovarvi in queste condizioni?

— Ecco… mai, a dire il vero. Dovete sapere… — E gli raccontai tutto quello che Miles e Belle mi avevano fatto, e perché mi sentivo così depresso.

Lui mi interruppe con un gesto. — Per favore, ho anch’io i miei dispiaceri, e poi non sono uno psicanalista. Quello che mi interessa è sapere se il vostro cuore resisterà o meno al processo che porterà la temperatura del vostro corpo a quattro gradi sotto zero. Sono sicuro che resisterà, e di solito non mi curo se i nostri clienti sono così matti da voler fare una cosa simile. Ma un residuo di coscienza professionale mi costringe a impedire che un uomo, chiunque sia e in qualunque stato d’animo si trovi, decida di andarsi a chiudere vivo in una bara, con il cervello imbevuto di alcol. Quindi: dietrofront!

— Cosa?

— Dietrofront. Debbo farvi un’iniezione intramuscolare. — Obbedii. Lui mi iniettò qualcosa, e mentre mi passava un batuffolo di ovatta sul luogo della puntura, disse: — Adesso vi farò bere una pozione, e fra venti minuti sarete più sobrio di quanto non lo siate stato da un mese in qua. E poi vedremo se avrete il buonsenso, cosa di cui dubito, di rivedere la vostra posizione e decidere di scappare da qui a gambe levate.

Io bevvi.

— Ecco fatto. Ora vestitevi. Firmo i vostri documenti, ma vi avverto che posso mettere il veto anche all’ultimo momento. Non bevete più alcolici, fate una cena leggera, e domattina venite qui a mezzogiorno, digiuno, per il controllo finale.

Si voltò senza nemmeno salutarmi. Io mi vestii e lasciai l’ambulatorio, di umor nero. Powell aveva già pronti i documenti. Io li presi in mano e lui disse: — Potete lasciarli qui e riprenderli domani a mezzogiorno. Verranno riposti insieme a voi nella cella.

— E le altre copie? — mi informai.

— Una la teniamo noi, una va al tribunale, e la quarta negli Archivi di Carlsbad. Ora li metto al sicuro, e domani ve li do.

— Li posso tenere al sicuro anch’io — ribattei allungando la mano per afferrare il fascicolo. — Può darsi che mi venga voglia di cambiare qualche tipo di azioni che ho deciso di acquistare.

— Mi pare un po’ tardi, signor Davis.

— Non fatemi premura, per favore. Se deciderò di cambiare qualcosa, verrò prima di mezzogiorno.

Aprii la borsa e infilai i documenti in una tasca laterale, accanto a Pete. M’era già capitato altre volte di riporre lì delle carte importanti, e potete essere certi che erano più al sicuro che non negli Archivi di Carlsbad. Un borsaiolo, che una volta infilò una mano in quella tasca, deve portare ancora i segni dei denti e degli artigli di Pete.

2

La mia macchina era parcheggiata a Pershing Square, dove l’avevo lasciata nelle prime ore del mattino. Infilai la moneta nel dispositivo di pilotaggio automatico, girai la chiavetta su autostrada-ovest, tirai fuori Pete dalla borsa, e mi appoggiai allo schienale rilassandomi. O per lo meno cercai di farlo.

Il traffico di Los Angeles era infatti troppo congestionato e veloce perché mi sentissi tranquillo con la guida automatica. Quando finalmente fummo usciti dall’autostrada-ovest e potei riprendere io il volante, avevo i nervi a fior di pelle e desideravo ardentemente bere qualcosa. Ma quando già avevo avvistato un bar mi ricordai l’ordine del medico. Contemporaneamente mi resi conto che più di ogni altra cosa avevo bisogno di mangiare e di dormire. Il dottore aveva ragione: mi sentivo più sobrio di quanto non lo fossi stato da un mese.

Così, trovato un posto di ristoro volante, mi fermai, e mentre preparavano pollo per me e polpette per Pete, scesi a sgranchirmi un po’ le gambe.

Mezz’ora dopo, sazio, trovai un angolino appartato e fermai una seconda volta per fumarmi una sigaretta in santa pace mentre Pete procedeva a un’accuratissima operazione di pulizia.