«Dottore, il pollo che ho qua dintra è stato sparato. In testa, come il pisci dell’altro lunedì.»
«Dov’è successo?»
«Nell’allevamento di Masino Contrera, in campagna, verso Montereale, a una mezzorata di machina da qui. Però è un posto solitario. Ecco il bossolo.»
Montalbano raprì il cascione, recuperò l’altro bossolo, li confrontò. Erano identici.
«E macari stavolta ha lasciato un pizzino» ripigliò Fazio cavandolo dalla sacchetta e pruiendolo al commissario.
Era scritto su un pezzo di carta a quadretti con la biro, i caratteri erano a stampatello.
CONTINUO A CONTRARMI
«Che viene a significare?» si spiò Montalbano.
«Posso permettermi?»
«Certo.»
«Io ho pensato che forse questo signore ha sbagliato a scrivere» fece Fazio.
«Ah, sì?»
«Sissi, dottore. Forse voleva scrivere: “Continuo a contrariarmi”. Forse questa pirsona è contrariata per qualche ragione, che ne saccio, le tasse, la mogliere che gli mette le corna, un figlio drogato, cose accussì. E allora piglia e si sfoga.»
«Sparando ai pesci e ai polli? No, Fazio, qua c’è scritto proprio “contrarmi”. Da questo pizzino possiamo però intuire il contenuto del primo, quello che non hai potuto leggere perché si era vagnato. Qua dice: “continuo”.»
«E allora?»
«Vuol dire che nel primo pizzino c’era scritto: comincio, inizio, principio, un verbo di questo tipo. “Comincio a contrarmi” o qualcosa di simile.»
«E che viene a dire?»
«Boh.»
«Che facciamo, dottore?» spiò tanticchia squieto Fazio.
«Questa storia ti fa diventare nirbuso?»
«Sissi.»
«E perché?»
«Perché è una facenna senza capo né coda. E a mia le cose che non sono ragionate m’impressionano.
«Non possiamo fare niente, Fazio. Aspettiamo che questo signore finisce di contrarsi e poi vediamo. Ma proprio proprio il pollo non ti piace?
due
Aveva dormito bene, per tutta la nottata una friscanzana leggera e danzante che veniva dalla finestra aperta gli aveva puliziato i purmuna e i sogni. Si susì dal letto, andò in cucina a prepararsi il cafè. Aspittando che colasse, niscì sulla verandina. Il cielo era netto, il mare piatto e come ripassato di colore fresco. Qualichiduno lo salutò da una barca, rispose isando un vrazzo. Ritrasì, versò il cafè in un cicarone da latte, se lo scolò, addrumò la prima sigaretta della jornata senza pinsari a nenti, la terminò, andò sutta la doccia, s’insaponò coscienziosamente. E appena l’ebbe fatto, capitarono due cose nello stesso momento: finì l’acqua del serbatoio e squillò il telefono. Santiando, rischiando di sciddricare a ogni passo per il sapone che gli colava dal corpo, corse all’apparecchio.
«Dotori, lei di pirsona pirsonalmente è?»
«No.»
«Domando pirdonanza, non è con l’abitazione del dotori e comisario Montalbano che io sto per parlando?»
«Sì.»
«E alora chi è che pigliò il posto suo di lui?»
«Arturo sono, il fratello gemello.»
«Davero?!»
«Aspetti che le chiamo Salvo.»
Era meglio babbiare accussì con Catarella piuttosto che farsi il fìcato una pesta per l’improvisa mancanza d’acqua. Tra l’altro il sapone, asciucandosi, principiava a fargli chiurito.
«Pronto, Montalbano sono.»
«La sapi una cosa, dotori? Proprio la stisa pricisa identifica voci di suo fratelo gimelo Arturo tiene!»
«Capita tra gemelli, Catarè. Ma perché parli accusì?»
«Acusì comu, dotori?»
«Per esempio, dici dotori invece che dottori.»
«Aieri a sira me lo dise uno milanise di Torino che qua avemo la tinta bitudine di parlari metendoci due cose, come si chiamano, ah ecco, consonatazioni.»
«Vero è. Ma a te che ne fotte, Catarè? Macari I milanesi di Torino fanno gli sbagli loro.»
«Maria santissima, dottori, un piso dal cori mi allevò! Difficile assà mi avveniva di parlari tinendomi accussì!»
«Che volevi dirmi, Catarè?»
«Tilifonò Fazio che mi disse di tilifonarle che hanno sparato al signor Tani. Lui sta per arrivando qua.
« L’hanno ammazzato?»
«Sissi, dottori.»
«E chi è questo Tani?»
«Non ci lo saprei diri, dottori.»
«Dov’è successo?»
«Non lo saccio, dottori.»
In bagno teneva una riserva d’acqua in una tanica. Ne versò la metà nel lavabo, meglio non consumarla tutta, chissà quando si sarebbero degnati di ridarla, l’acqua, a fatica arriniscì a scrostarsi il sapone vetrificato. Lasciò il bagno sporco, una vera fitinzìa, sicuramenti la cammarera Adelina gli avrebbe mandato mortali gastìme e sentiti agùri di mala annata.
Arrivò in commissariato contemporaneamente a Fazio.
«Dov’è avvenuto l’omicidio??»
Fazio lo taliò ammammaloccuto.
«Quale omicidio?»
«Quello di un certo Tani.»
«Gli disse accussì Catarella?»
«Sì.»
Fazio principiò a ridere prima chiano poi sempre più forte. Montalbano si squietò, macari pirchì sentiva un chiurito insistente in quella parte del corpo sulla quale si era assittato per guidare. E non gli pariva cosa decente dare, alla parte, una furiosa grattata. Si vede che non era arrinisciuto a liberarsi di tutto il sapone impiccicato.
«Se vuoi essere così cortese da mettermi a parte…»
«Mi scusasse, dottore, ma è troppo bella! Ma quale Tani e Tani! Io dissi a Catarella di riferirle che avevano ammazzato a un cani!»
«È stato il solito?»
«Sissignore.»
«Un colpo di pistola e via?»
«Sissignore.»
«Oggi è il 6 ottobre, no? Questa pirsona travaglia seguendo una scadenza settimanale e sempre nella nottata compresa tra la domenica e il lunedì» commentò il commissario trasendo nel suo ufficio.
Fazio s’assittò in una delle due seggie davanti alla scrivania.
«Il cane aveva un padrone?»
«Sissi, un pensionato, Carlo Contino, un ex impiegato del municipio. Ha una casuzza in campagna con l’orto e qualche armalo. Una decina di galline, qualche coniglio. Lui stava dormendo, è stato arrisbigliato dal colpo di pistola. Allora si è armato e…»
«Di cosa?»
«Un fucile da caccia. Ha il porto d’armi. Ha visto subito il cane morto e un attimo dopo ha sentito il rumore di una macchina che partiva.»
«Ha capito che ora era?»
«Sissi, ha taliato il ralogio. Era la mezzanotte e trintacinque. Mi ha contato che ha passato il resto della nottata a chiàngiri. Ci era assà aftezzionato, al cane. Poi, quando si è fatto giorno, è venuto qua. E io sono andato con lui a vedere.»
«Ha qualche idea?»
«Nessuna. Dice che non riesce a capacitarsi perchè gli hanno ammazzato il cane. Lui sostiene di non avere nemici e di non avere mai fatto torto a nisciuno.»
«La casa di questo Contino è nei paraggi dell’allevamento della volta passata?»
«Nonsi, e esattamente dalla parte opposta.»
«E rispetto al ristorante?»
«Macari lontano dal ristorante è.»
«Hai ritrovato il bossolo?»
«Sissignore, eccolo qua.»
Era identico agli altri due.
«A trovare il biglietto invece stavolta ci ho messo tanticchia più tempo. Il venticello di stanotte l’aveva portato lontano.»
Lo pruì al commissario. Solito quarto di foglio di carta quadrettata, solita biro.
CONTINUO A CONTRARIMI
«Bih, che grandissima camurrìa» sbottò Montalbano, «quanto minchia di tempo ci mette ‘sto stronzo a finire di contrarsi?»
Trasì in quel momento Mimì Augello, frisco, sbarbato, elegante. Si era fatto una misata di vacanza in Germania, ospite di una picciotta di Amburgo che aveva la ‘stati avanti accanosciuto alla pilaja.