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— Sono il più adatto per quest'incarico. Nessun altro, da Kobol in giù, è alla mia altezza, sia fisicamente sia intellettualmente. Mi fa piacere attuare quello che mi hanno insegnato, mettere in pratica l'addestramento…

— È lei che ti ha addestrato — lo interruppe Joanna. — Tua madre ti ha fatto il lavaggio del cervello.

Alec si alzò di scatto. — Sarà meglio che tu te ne vada, Joanna. O non capisci, o ti rifiuti di capire.

— No, Alec. Io capisco, più di quanto tu non creda. Io voglio che tu viva la tua vita, non quella di lei. Perché vuoi sprecarti per la sua carriera, per la sua sete di vendetta?

— Vattene! — gridò Alec.

Sconfitta, Joanna si alzò e andò alla porta. Dopo averla aperta, si voltò per dirgli: — Povero stupido!

Alec si era quasi addormentato, quando finalmente arrivò sua madre. Era rimasto sdraiato parecchie ore sul materasso ad aria nel suo stanzino, al buio, fissando la tappezzeria tessuta a mano che nascondeva il serbatoio dell'acqua e l'impianto di riscaldamento, ascoltando il sospiro del materasso ogni volta che si muoveva, cercando di non pensare a niente. Ma tutte le volte che chiudeva gli occhi vedeva la faccia sogghignante del minatore. Poi la faccia si fondeva con quella di suo padre, che aveva visto in fotografia. Suo padre, che era partito dalla Luna il giorno della sua nascita.

— Dormi?

Alec riaprì di colpo gli occhi. Sua madre, ferma sulla soglia, era incorniciata dalla luce della stanza vicina.

— No — rispose Alec, e accese la lampada sopra al letto.

Guardandola mentre entrava e sedeva sull'unica sedia della stanzetta, Alec capiva come -nonostante adesso avesse un'aria molto affaticata — tutti gli uomini della comunità la desiderassero. Lisa Ducharme Morgan era un'ammaliatrice, una maliarda dalla cupa bellezza. In confronto a lei, Joanna e le altre ragazze erano scialbe e incolori. Ma Lisa era una bellezza gelida, un'Artemide, una divinità remota, l'unica degna… l'unica in grado di governare quella minuscola serra di umanità trapiantata.

— Ho saputo della rissa — disse lei senza scomporsi. — Cosa volevi dimostrare?

— Che non sei una puttana — rispose lui, pentendosi immediatamente.

Ma Lisa non batté ciglio. — Oh, di nuovo quella storia? Un'altra cosa per la quale dobbiamo ringraziare tuo padre.

— Il Consiglio ha votato?

— No. La discussione continua. I sostenitori di Kobol escogitano tutti gli espedienti possibili… Sono arrivati perfino a dire che tu sei troppo emotivamente instabile per poter guidare la spedizione. Non mi sorprenderebbe se quella provocazione fosse stata architettata apposta. N

— È probabile — rispose Alec dopo averci pensato sopra un momento.

Lisa si chinò verso di lui dicendogli con intenso fervore: — Non capisci quanto sia importante per te imparare a dominarti? Hai violato tutte le regole sociali in vigore. Come credi che reagiranno i membri del Consiglio? Risparmia la tua ira per un vero nemico, o rovinerai tutto… per te e per me.

Sforzandosi di parlare con calma, Alec disse: — A me interessa sapere solo quando voterà il Consiglio e se avrò vinto o no.

Lisa lo fissò a lungo, e lui sostenne lo sguardo di quegli insondabili occhi neri. I suoi occhi.

— Voteranno domattina. Credo che vinceremo.

— Allora andrò sulla Terra.

— Sì, come ha fatto tuo padre — disse lei con voce amara.

7

Alec si svegliò la mattina dopo con la stessa istantaneità con cui il buio lascia il posto alla luce sulla superficie lunare. Si lavò e si vestì rapidamente e andò in soggiorno dove lo aspettava sua madre che gli porse una tazza di birra di soia calda.

— Ho deciso di portarti con me alla riunione del Consiglio — disse Lisa.

Alec bevve un sorso di liquido bollente. — Ci sarà anche Kobol? — chiese poi.

— Certamente.

Lui la guardò mentre dava un ultimo tocco ai folti capelli ondulati davanti allo specchio. Indossava un completo grigio-azzurro semplicissimo, perfino severo, dall'alto colletto alla cinese agli ampi calzoni che ricadevano sulle babbucce. Ma quando alzava le mani sulla testa in quel certo modo, quando camminava ancheggiando, Alec riudiva i pettegolezzi che correvano sul suo conto, e le frasi sarcastiche che gli avevano rivolto quand'era bambino. Si sentì avvampare e strinse i denti.

— Perché quella faccia truce? — gli chiese lei voltandosi. — Ti ho detto che vinceremo e così sarà. Adesso andiamo.

La sala del Consiglio era volutamente austera. Le pareti di roccia appena sbozzata, nude, davano l'impressione che la stanza fosse stata ricavata da un'esplosione nella roccia lunare. Non c'erano decorazioni di alcun genere, ma solo il grande tavolo rotondo e le sedie, e sulla parete di fondo, di fronte alla porta, un grande schermo.

Quasi tutti i membri del Consiglio avevano già preso posto intorno al tavolo. Lisa fece un ingresso regale porgendo la mano all'uomo che le stava più vicino e rivolgendo un cenno di saluto agli altri. Lasciò che Alec le scostasse la sedia, e quando si fu seduta gli indicò un posto quasi di fronte, dove era già stata sistemata una sedia per lui.

— Vi ringrazio per avermi concesso di portare qui Alec stamattina — disse Lisa con un sorriso ammaliante.

Alec rimase impassibile. Non era educato approfittare della propria posizione per ottenere un privilegio personale, ma sarebbe stato ancora più scortese se un membro del Consiglio avesse fatto obiezione alla richiesta di Lisa. Influirà sul voto?, si chiese.

Parecchi lo salutarono. Lui, naturalmente, li conosceva tutti. Nove uomini, sei donne. Ma tre non erano ancora arrivati: Kobol e i suoi amici più fidati.

Alec rispose ai saluti con un cenno. Non si arrischiava a parlare.

Quando finalmente Kobol arrivò coi suoi fiancheggiatori il brusio delle conversazioni si arrestò di colpo. Fermandosi un attimo sulla soglia, Kobol guardò fisso Lisa, che ricambiò lo sguardo senza battere ciglio. Poi Kobol andò a sedersi al suo posto.

Alec lo guardava. Sapeva che Kobol ambiva alla carica di presidente del Consiglio, voleva comandare la comunità, e soprattutto voleva Lisa. E Alec provava un odio particolare verso di lui. Kobol aveva l'età di sua madre. Alto e magro, il viso ossuto gli pareva quello di un morto. Gli occhi, profondamente incassati sotto le folte sopracciglia grigie, erano insondabili. Aveva denti grossi, sporgenti, da cavallo, sormontati da un paio di baffi cespugliosi. Dapprima Alec aveva pensato che se li era fatti crescere per far vedere che risparmiava acqua e sapone, ma poi era giunto alla conclusione che i baffi servivano a Kobol per distrarre l'attenzione dal fatto che stava diventando calvo.

Mettendosi a sedere alla destra di Lisa, Kobol disse con la sua voce secca, nasale: — Scusatemi per avervi fatto aspettare. Cominciamo.

Lisa si concesse un lieve sorriso. — Riprendiamo la riunione aggiornata ieri — disse al microfono collegato con il computer centrale. — Il Consiglio deve scegliere il capo della prossima spedizione sulla Terra. I candidati sono il Consigliere Martin Kobol e il Cittadino Alexander Morgan. Se ne è già discusso ed è stata messa all'ordine del giorno una mozione per il voto, alla conclusione della riunione di ieri.

Detto questo, si guardò intorno. — Ci sono domande prima di passare al voto?

— Io ho una domanda da porre — disse il consigliere LaStrande. Pareva un vecchio gnomo rinsecchito, con una rada barbetta che gli spuntava sul mento e un paio di occhi enormi dietro le spesse lenti.

Lisa acconsentì alla sua richiesta con un cenno.

LaStrande spinse indietro la sedia e si alzò. Puntando un indice nodoso e contorto verso Alec, disse: — Il Cittadino Morgan è un giovane molto abile e intelligente. Tutti sono d'accordo su questo. Ma è giovane. Troppo giovane, temo, per guidare una spedizione tanto importante…