Si fermarono e agitarono in alto le braccia.
— Aspettate! — gridò Angela vedendo che un soldato puntava l'arma contro il terzetto. — Non sparate. È Will! Non sparate!
Prima che qualcuno riuscisse a fermarla saltò a terra e corse verso i tre.
— Non sparate! — ordinò Alec. Si sporse, chinandosi e batté sul tettuccio dell'abitacolo. — Raggiungi quegli uomini — disse al conducente. E agli altri: — Voialtri andate tutti alle navi, eccettuato Kobol. Via!
Dall'espressione si capiva che agli uomini non andava molto l'idea di correre per un chilometro e più allo scoperto, coi boschi così vicini. Tuttavia obbedirono.
L'autoblindo si affiancò ad Angela, che smise di correre, mentre i tre uomini le andavano incontro. Erano vestiti di stracci: calzoni corti sfrangiati che una volta erano lunghi, vecchie camicie grigie sbiadite, uno indossava un gilé, e solo uno aveva gli stivali. Ma le armi erano lustre e tutti portavano in spalla cassette di munizioni.
Alec scese dall'autoblindo. Kobol invece rimase sull'affusto, con lo specchio di rame dell'arma puntato sulla schiena di Alec. Potrebbe farci fuori tutti in mezzo secondo, pensò Alec.
Angela sorrideva come una bambina. Prese Alec per un braccio, come a sollecitarlo a camminare più in fretta.
Uno degli uomini si era fatto avanti e Angela disse: — Alec, questo è Will Russo… Will, Alec Morgan.
— Oh! Così tu saresti il figlio di Doug.
Non c'erano mai stati cani o cuccioli alla base lunare, ma Alec aveva visto molti film per bambini, anni prima, e adesso gli tornò improvvisamente alla memoria l'immagine di un grosso, bonario cucciolo di San Bernardo: ricordava come si fosse imposto su tutti gli altri personaggi col suo entusiasmo ben intenzionato che provocava disastri a non finire. Will Russo era un grosso cucciolo di San Bernardo, allegro, sorridente, dinoccolato. Come tutti gli uomini grandi e grossi teneva le spalle un po' curve per l'abitudine di chinarsi quando si trovava con uomini più bassi di lui. Aveva la faccia tonda, con gli occhi un po' sporgenti, le guance rubizze, capelli ricci rossastri impastati di sudore e un sorriso accattivante.
— È un piacere conoscerti — disse con morbida voce tenorile, ma la mano che strinse con vigore quella di Alec pareva una grossa zampa. — Spiacente di non avere potuto fare di più, ma loro sono molto più numerosi di noi. Se ti pare il caso, potremmo cercare di tenerli a bada ancora per una mezz'ora.
Un'altra esplosione sottolineò le sue parole.
— I boschi pullulano di banditi. Vogliono prendere le vostre armi.
— Perdite? — chiese Angela.
— Qualcuna. Finora abbiamo fatto a spara e scappa. Ma adesso loro cominciano a fare sul serio.
Un'altra esplosione, più vicina, fece rintronare le orecchie di Alec.
— Un momento — disse poi a Russo. — Devo saperne di più su quello che sta succedendo…
— Buon Dio, non è il momento adatto per le spiegazioni. Devi solo…
Alec si piantò i pugni sui fianchi. — Non mi muovo di qui finché non avrò saputo…
Un lungo sibilo lo fece tacere.
— Arrivano! — gridò uno degli uomini.
Russo si buttò su Alec gettandolo a terra. Prima che Alec potesse dire o fare qualcosa una serie di esplosioni scatenò l'inferno. Il suolo tremava, zolle di terra ricaddero su di loro. Alec sentì l'odore acre del fumo.
Stava sdraiato a pancia in giù, con la faccia nell'erba umida. Gli girava la testa, ma si sforzò di sollevarla un po'. Angela era in ginocchio, e un filo di sangue le colava lungo il braccio. Russo, accovacciato sui talloni, le stava vicino.
— A quanto pare hai ragione — disse Russo senza la minima traccia di paura o d'ira. — Ho paura che avrete delle difficoltà per tornare sulla Luna. — Così dicendo indicò l'aeroporto, e Alec vide che una navetta era ormai in preda alle fiamme.
11
Tutto si era risolto in un pasticcio cruento. Furetto si arrampicò sul ripido versante dell'altura per allontanarsi dalle urla dei moribondi.
Billy-Joe era rimasto laggiù, insieme a quasi tutto il resto della banda, ridotto in brandelli sanguinanti di carne annerita dalle esplosioni. Quanto a Furetto era pressoché incolume: solo qualche graffio qua e là oltre a un doloroso squarcio alla gamba sinistra.
Qualcosa era andato maledettamente storto. Invece della solita scorreria durante la quale tutte le bande assalivano gli stranieri, la faccenda si era risolta in un combattimento fra le bande. Subito, fin dall'inizio. Furetto non riusciva a capacitarsene.
Adesso Billy-Joe e gli altri erano morti tutti. Un massacro. Il rumore delle esplosioni gli rintronava ancora le orecchie.
Ma era vivo. Questo era l'importante. Ancora vivo. Ferito, ma vivo. Poteva sopportare il dolore. Non ci faceva caso. Adesso doveva allontanarsi il più possibile, nascondersi. Se una delle altre bande lo avesse catturato, si sarebbero sfogati su di lui. L'avrebbero torturato di sicuro; e di sicuro sarebbe morto. Ma lentamente, non come Billy-Joe. Non come gli altri.
Ansimando, con gli occhi annebbiati dalle lacrime, il frastuono delle esplosioni che gli echeggiava ancora in testa, la gamba ferita che stava diventando insensibile, Furetto si aggrappò al fogliame per risalire l'erta scoscesa, trascinandosi lontano dal campo di battaglia, disposto ad andare dovunque, purché non dove gli altri potessero trovarlo solo e indifeso.
Quando raggiunse la cresta dell'altura non aveva più fiato e si sentiva troppo debole per proseguire. Rotolò sulla schiena ansando e socchiudendo gli occhi alla vivida luce del cielo.
— Ehi, guardate cosa c'è qui — disse una voce alle sue spalle.
— Mi sembra morto — disse un'altra voce.
— Non ancora. Ma morirà.
Furetto chiuse gli occhi e attese che cominciasse l'agonia.
Alec fissava la navetta in fiamme. Un enorme squarcio si era aperto nella fiancata, e dall'interno si riversava un denso fumo nero che si mescolava alle fiamme.
— Dobbiamo fare tacere il mortaio — disse con urgenza Will Russo — altrimenti andrà distrutta anche l'altra navetta.
Alec balzò in piedi e corse all'autoblindo. Kobol stava già gridando nel microfono dell'elmetto: — Spegnete l'incendio! Quando il fuoco raggiungerà i serbatoi del carburante farà saltare in aria anche l'altra navetta.
Alec si arrampicò sull'affusto del laser e fece cenno a Kobol di tacere. Afferrò il suo elmetto, se lo calcò in testa e prese il microfono. — Qui Alec Morgan. Raccogliete tutti gli uomini, imbarcateli sulla navetta incolume e partite subito. Capito? Immediatamente!
— Una sola navetta può portare… — obiettò Kobol.
Alec gli agitò il pugno sotto il naso e Kobol tacque. — Confermate! — gridò. — Chi è alla radio?
Per un lungo istante l'auricolare si limitò a ronzare, poi una voce disse: — Qui Jameson. Una sola navetta non può portare più di una trentina di uomini.
— Stipateli dentro senza discutere. Lasciate veicoli e attrezzature.
Alec guardò in direzione dell'aeroporto e vide che la navetta indenne cominciava ad allontanarsi rullando da quella in fiamme.
— Abbiamo tre feriti, qui — disse ancora la voce di Jameson — due piloti sono morti quando la navetta è stata colpita.
— Caricate a bordo i feriti. Voglio che una dozzina di volontari restino qui con me con tutti i veicoli-terra. Così la stiva della navetta è sgombra e può accogliere tutti quelli che devono partire.
Russo, che aveva raggiunto l'autoblindo insieme ad Angela e agli altri due, chiese: — Non potreste lasciarci usare qualcuna delle vostre armi per respingere i banditi?
— Salite — disse Alec. E al conducente: — Muoviamoci, svelto!
Kobol, aggrappato alla ringhiera mentre l'autoblindo partiva con un sobbalzo, accostò la faccia a quella di Alec per sussurrare: — Parto anch'io con gli altri. Non voglio restare qui.