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Quando il sole lo svegliò, Alec ebbe l'impressione di aver sonnecchiato solo per pochi minuti. Dopo avere controllato con Jameson che ogni cosa fosse in ordine, si avviò tutto rigido e indolenzito verso le braci del fuoco, che già alcune donne stavano ravvivando.

— Oh, finalmente ti sei svegliato — lo salutò cordialmente Will Russo, intento a bere da una tazza fumante. — Qua — disse avvicinandosi ad Alec. — Bevi un po' di tè d'erbe. Non è particolarmente buono, ma servirà a rimetterti in sesto. Se vuoi raderti…

Alec prese la tazza, ma ricordando l'esperienza della sera precedente, la restituì dicendo: — Um… grazie, mi basta un po' d'acqua fresca. — Gli faceva ancora male la bocca.

— Sei riuscito a metterti in contatto col satellite? — gli chiese Will. — Vengono a prendervi?

— Non ancora — rispose Alec chinandosi a prendere la borraccia dell'acqua. — C'è un uomo alla radio, ma finora non hanno risposto.

Bevve dalla borraccia, ripensando alle pillole e alle vaccinazioni che gli avevano praticato nel timore che contraesse qualche malattia.

— Bene — concluse Russo — mi dispiace di piantarvi qui soli nei boschi, ma non possiamo fermarci di più.

— Capisco.

Salutò Will e tornò dai suoi.

— Ah, sei qua — lo salutò Ron Jameson.

— Cosa c'è?

— Contatto radio.

Alec lo seguì alla terza autoblindo dove Gianelli, con un'enorme cuffia in testa, ascoltava attentamente la radio.

— Sì, sì… vi sento… debole ma chiaro. Va bene. Adesso è qui. Aspettate…

Si tolse la cuffia e la porse ad Alec. — Il satellite trasmette una chiamata da casa. Kobol è già tornato alla base.

Kobol!, pensò Alec sistemando cuffia e microfono. Non ha perso tempo. Chissà quanto carburante ha consumato per tornare più in fretta che poteva!

— Pronto… pronto… Alec Morgan? — La telefonista era una donna, ma la voce, sebbene percettibile, era debole e disturbata da interferenze.

— Sì. Avanti!

Una pausa, poi: — Alec, qui Martin Kobol. Mi senti?

— Sì.

Occorrevano circa due secondi perché le parole di Alec arrivassero sulla Luna e altri due perché arrivasse sulla Terra la risposta di Kobol. Una pausa che si notava, a volte snervante a volte utile perché consentiva di riflettere.

— Bene. Adesso ascolta. Sono appena arrivato. Il Consiglio si riunirà fra un'ora. Qui è tutto sottosopra, i nostri progetti… tutto. Si teme che scoppierà il panico se non riusciamo a rassicurare la gente. Tutti sanno che la nostra sopravvivenza dipende da quei materiali fissili.

— Lo so. Risparmiati le concioni politiche.

Pausa, poi: — Dobbiamo elaborare un altro piano. Credi di riuscire a resistere lì per qualche altro giorno?

O qualche settimana? O mese? — Sì, credo di sì.

— Bene. Adesso ascolta. Sta' lì dove sei e aspetta le nostre decisioni.

— No.

Lunga pausa, dovuta non soltanto alla distanza.

— Come sarebbe a dire?

— Ho detto no — ripeté Alec. — So dove sono i materiali fissili e vado a prenderli.

— Non puoi… Cioè…

— Posso e ci vado. Ci terremo in contatto via satellite. — Alec contò, in attesa della risposta: uno, mille, due, mille, tr…

— È pazzesco! Ci vuoi costringere a togliere dalla naftalina un'altra navetta, seguire le tue mosse…

— Piantala, Martin. Siamo venuti qui per quei materiali e adesso andiamo a prenderli. Tutto il resto sono cose di secondaria importanza.

Quando si fece nuovamente sentire, la voce di Martin era stridula e querula come quella di una vecchia comare inaridita.

— Non puoi attraversare il continente per cercarli, pazzo che sei! Ti uccideranno e farai morire i tuoi uomini!

— Ti dispiacerebbe molto, non è vero? — rispose pronto Alec. — Ascoltami, Martin. Siamo in grado di attraversare il continente, se occorre, e di vivere di quello che ci dà la terra. Qui c'è una grande quantità di cibo.

Ma Kobol stava già dicendo:

— Non me ne importa di quello che fai di te stesso, i tuoi motivi personali non sono affare mio. Ma rischiare gli uomini senza dare loro la possibilità…

— Risparmia i tuoi sproloqui per il Consiglio, Martin. Io seguo le direttive che mi hanno dato: vado a prendere i materiali fissili.

L'intervallo fra botta e risposta stava trasformando il dialogo in due monologhi separati. — E c'è anche il risvolto medico — stava dicendo Kobol, un po' più calmo. — Tu esponi gli uomini a tutte le malattie della Terra…

— Basta. Adesso voglio parlare con mia madre. Chiamala, per favore.

— Le vaccinazioni non vi proteggeranno a lungo… — Kobol s'interruppe per poi rispondere: — Tua madre è occupata nei preparativi della riunione del Consiglio. Ora che la chiamo e lei arriva al centro comunicazioni il satellite sarà sceso al di sotto del tuo orizzonte e sarà fuori portata.

— Bene. Fa' in modo che mi chiami domani.

Un'altra pausa. Alec era certo che il cervello di Kobol ne approfittava per lavorare furiosamente. — Glielo dirò. Intanto torno a metterti in guardia: non esporre a inutili pericoli i tuoi uomini. Il Consiglio non approverebbe certo un'azione avventata. Dovresti restare lì dove ti trovi e aspettare le nostre decisioni.

— Troppo pericoloso — ribatté Alec. — Ci hanno già intrappolato una volta. Non voglio che succeda ancora.

La voce di Kobol stava diventando sempre più debole. — Hai l'ordine di restare dove sei.

— No, Martin. Sarebbe molto più pericoloso. È meglio che ci muoviamo. Aspetto una chiamata domani. Da mia madre. — Passò la cuffia a Gianelli. — Dagli le effemeridi del satellite, così sapremo quando sarà alla nostra portata.

Alec si tolse la cuffia e la porse a Gianelli: — Svelto, prima che il satellite sia fuori portata.

Alec scese dall'autoblindo e andò a cercare Will Russo. A metà strada lo vide che gli stava venendo incontro.

— Ti cercavo — disse Will.

C'era qualcosa in quell'uomo, nella sua andatura dinoccolata, con le braccia penzoloni, nel sorriso innocente, da bambino, su quel corpo da gigante, che induceva Alec a fidarsi di lui.

— Anch'io ti stavo cercando — disse.

— Sei riuscito a metterti in contatto coi tuoi?

— Sì. Se non ti spiace vorrei dirigermi a nord con voi. Voglio trovare mio padre.

Il sorriso di Will si accentuò. — Bene. Bene. Ho appena ricevuto un messaggio da lui. Si trova a pochi "clic"… ehm, chilometri da qui, in una città che si chiama Coalfield.

— Qui? — mormorò Alec stordito come se gli avessero dato un pugno.

— Già — confermò tutto allegro Will. — Ci arriveremo entro un paio d'ore.

13

Alec non vedeva e non sentiva. Era completamente assorto in un unico pensiero. Tra poco avrebbe incontrato suo padre. Suo padre!

Attraversarono boschi e colline sulle autoblindo su cui avevano preso posto anche gli uomini di Russo. Percorsero poi una strada tutte buche, non un'autostrada di cemento come quella fra Oak Ridge e l'aeroporto, ma un'arteria asfaltata, stretta e tortuosa, dissestata in modo indescrivibile. Da tutte le crepe spuntavano erbacce e canne.

Gianelli, seduto dietro ad Alec, parlava con Angela. — Vuoi dire davvero che voi andate sempre a piedi? Portandovi dietro armi e bagagli?

— Certo — rispose lei divertita. — Se troviamo qualche veicolo, naturalmente ci montiamo sopra. Ma non ce ne sono molti ancora in grado di funzionare, solo qualcuno col motore elettrico o a batterie solari. C'è rimasta troppo poca benzina per gli altri.

— Dunque andate a piedi — ripeté Gianelli stupito. — E vi portate tutto sulla schiena.

— A meno di non trovare dei cavalli o altri animali da soma. L'altr'anno, siccome mi ero fatta male a una gamba, ho percorso cinquecento "clic" in groppa a una mucca.