Fu Douglas a rompere il silenzio carico di tensione. — A me non importa, Lisa. Tu vuoi il potere. Io no.
— Tu sei uno stupido — disse lei senza sorridere.
— Sì, lo so. — Si alzò lentamente. — Il bambino… era di Fred, non mio, vero? — disse guardandola.
Un breve lampo di sorpresa le illuminò il viso. Poi disse: — Che differenza fa, ormai? Fred è morto e io ho perso il bambino.
— Per me fa un'enorme differenza.
Lisa distolse lo sguardo.
Con un gesto impulsivo, Douglas le afferrò il mento costringendola a guardarlo. — Perché? — chiese. — Perché l'hai fatto? Io ti amo.
Lei lo guardò fulminandolo con gli occhi, finché Douglas non lasciò la presa. Poi disse: — Va' sulla Terra e ammazzati. Così come hai ammazzato lui. Come hai ammazzato il mio bambino.
— Possiamo farcela — disse Martin Kobol, cupo in viso. — Possiamo sopravvivere…
Stavano pigiati in sei nell'angusta camera da letto che, come tutti i locali dell'installazione sotterranea, era stata scavata nella roccia lunare e progettata in origine come camera standard per un tecnico minerario o uno scienziato. L'arredo consisteva in un letto, un mobile a muro che serviva da armadio, comò, scrivania e libreria, e una toletta del tipo ideato per le stazioni spaziali.
William Demain divideva la stanza con la moglie Catherine, ma adesso vi si erano riuniti, oltre ai Demain, Kobol e altri tre uomini. I Demain e uno di costoro sedevano sul letto. Kobol sull'unica sedia, e gli altri due accovacciati sulla moquette.
— Ciascuno di noi dirige una sezione chiave dell'installazione — disse Kobol indicandoli uno per uno. — Idroponica, comunicazioni, sistemi di sussistenza, medicina, miniere — e infine, puntandosi il pollice contro il petto, aggiunse — ed energia elettrica.
— Hai dimenticato l'amministrazione.
Si voltarono sorpresi verso la porta a fisarmonica che dava nel corridoio. Sulla soglia c'era Lisa, che si appoggiava allo stipite come se stesse per svenire. Era pallidissima. Indossava una tuta nera imbottita cosicché era difficile accorgersi di quanto fosse smagrita.
— Chi ti ha detto di lasciare l'ospedale! — esclamò Kobol, alzandosi di scatto e andandole vicino. Anche Catherine Demain si alzò e la raggiunse. Insieme l'accompagnarono a una sedia.
— Sto bene — protestò Lisa. — Solo un po' debole, dopo tanti giorni di letto.
— Sei venuta fin qui a piedi dall'ospedale? — le chiese Catherine Demain. E, al cenno affermativo di Lisa, aggiunse: — È anche troppo, per il primo giorno. Sei ancora in convalescenza.
Kobol la guardò con un sorriso strano. — Come hai saputo che ci eravamo riuniti qui?
Fissando la sua faccia lunga e malinconica, Lisa rispose: — Il giorno in cui voi potrete riunirvi senza che io venga a saperlo, rinuncerò alla carica di capo dell'amministrazione.
LaStrande, l'uomo che sedeva sul letto, disse serio: — Siamo felici di rivederti in piedi.
— Grazie — disse Lisa. — Martin, poco fa hai commesso un errore. Non sei tu il capo del sistema elettrico, ma Douglas.
Kobol annuì imbarazzato. — Hai ragione, il capo è Douglas… quando è qui. — Aveva una voce nasale, acuta, che diventava stridula quando era agitato. — Ma sono quasi due settimane da che è sceso sulla Terra. E sono tre giorni che manchiamo di sue notizie.
— Tornerà — disse Lisa.
— Certamente, e allora riprenderà il suo posto. Ma finché lui è assente, il capo sono io.
— Infatti — ammise Lisa con un sorriso.
Kobol era alto. Alto quasi quanto Douglas. Cadaverico, pensò Lisa. Sembra una di quelle mummie che gli archeologi hanno dissepolto dalle piramidi egiziane. Per un attimo provò una fitta di rimpianto al pensiero che i templi, i musei, gli scavi, la popolazione dell'Egitto, dell'Inghilterra e di tanti altri paesi non esistevano più, morti, bruciati, fusi dalla furia del sole e dalle vampate ancora più micidiali della rappresaglia umana.
Represse quel sentimento come aveva represso il dolore che le attanagliava il ventre, sforzandosi invece di concentrarsi sui presenti, su quelle persone che si autodefinivano i capi della piccola colonia lunare isolata.
Demain sedeva sul letto con la schiena appoggiata al muro di pietra e le gambe piegate contro il petto, in posizione fetale. Il cranio tondo, calvo, gli conferiva un'aria infantile, ma gli occhi erano astuti. Occhi da contadino, da fattore. E lui è proprio questo, pensò Lisa, anche se la sua fattoria è un complicato sistema di vasche idroponiche alimentate da prodotti chimici, elettricità ed energia solare filtrata dalla superficie attraverso tubature in fibre ottiche.
Sua moglie Catherine lavorava nell'ospedale. Aveva rinunciato a una brillante carriera sulla Terra per seguire il marito sulla Luna.
LaStrande era uno gnomo, semicieco nonostante la chirurgia a laser avesse tentato di guarire i suoi occhi. Ma aveva un carattere energico, portato alla discussione senza tuttavia essere mai offensivo, un genio nel campo della manutenzione e anche in quello del miglioramento dei sistemi di sussistenza.
Blair stava morendo di cancro. Lo sapevano tutti, anche se era bianco e roseo e continuava a lavorare instancabile e sempre di buonumore alle comunicazioni. Marrett era un diamante grezzo, atticciato, con un vocione rimbombante; aveva smesso di fare il meteorologo per passare gli ultimi giorni sulla Luna, e poiché era dotato di talento, era infaticabile e aveva il carisma del capo. Ora dirigeva le squadre dei minatori, cosa non facile dato il carattere aspro e difficile di quegli uomini.
E poi c'era Kobol. Lisa lo guardo. Stava in piedi vicino alla sedia deciso a presiedere la riunione, a impadronirsi del potere per poterli comandare, avido come un bambino che vuole arraffare un barattolo di biscotti.
Cosa penserebbero, si chiese Lisa, se sapessero che è Kobol il padre del bambino che ho perso, e non Fred Simpson? Cosa farebbe Douglas se mai glielo dicessi? Chiuse gli occhi per un istante. Catherine Demain se ne accorse e pensò che dovesse soffrire molto; Lisa, invece, si sforzava di dominare l'ira che provava nei confronti di Douglas, l'uomo che aveva sposato cinque anni prima con l'intenzione di farne un capo, un gigante, un condottiero che fosse in grado di guidare quella minuscola comunità lunare e servirsene come base di lancio per acquistare potere politico sulla Terra.
Scosse la testa nel tentativo di scacciare questi pensieri. La Terra non c'era più. Non restava niente. Non che Douglas avrebbe seguito comunque le sue direttive; si era rivelato troppo cocciuto ed egocentrico per poter essere influenzato da chiunque. Che sbaglio ho commesso!, si disse. E pensare che credevo di potere forgiare quell'uomo mite e semplice per trasformarlo in un capo… Ma anche lui se n'è andato. Non tornerà. Probabilmente a quest'ora è già morto. Cosa strana, questo pensiero la rattristò.
— …e se la produzione idroponica potesse essere aumentata del quindici per cento — stava dicendo Kobol con la sua voce stridente — saremo in grado di tirare avanti senza importare viveri dalla Terra, per un tempo indefinito.
Se la popolazione lunare non aumenta, pensò Lisa.
Demain continuava a sollevare e abbassare la testa sulle ginocchia contratte. — Lo posso fare — disse con voce appena percettibile. — Posso, se mi date più spazio e più energia. Occorre energia.
— Possiamo scavarti tutto lo spazio che ti occorre — disse Marrett.
— Ascoltate — intervenne LaStrande agitando una mano per richiamare l'attenzione. — So come possiamo risolvere il problema dell'energia. I margini di sicurezza che abbiamo stabilito per l'alimentazione dei sistemi di sussistenza sono ridicolmente larghi. Posso fare funzionare i sistemi di aerazione e riscaldamento con metà dell'energia che viene fornita attualmente.