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Kobol si limitò ad alzare un attimo la testa inarcando un sopracciglio, e si rimise a scrivere.

— Non ti ho ancora detto una cosa — riprese Alec.

— Oh — disse lui senza alzare la testa.

— So dove Douglas tiene i materiali fissili.

Kobol smise di colpo di scrivere.

— Voglio che tu ti metta a capo di una squadra speciale per andarli a prendere prima che Douglas abbia la possibilità di distruggerli.

Kobol si rizzò a sedere, respinse il foglio e allungò le gambe, e Alec ebbe l'impressione di vedere un serpente che snoda le spire.

— Credi che potrebbe sabotarli? — chiese Kobol.

— Può darsi. Potrebbe anche innescarli con esplosivo o sistemarli in modo da provocare una deflagrazione nucleare che distrugga tutto.

Kobol aggrottò la fronte passandosi un dito sui baffi. Alec avvicinò l'unica sedia alla branda, e vi si sedette a cavalcioni.

— Tu conosci quei materiali meglio di chiunque altro di noi. È un lavoro rischioso ma necessario. Sei disposto a farlo?

— Se accetto — rispose Kobol con un mezzo sorriso, — sarò a capo di una piccola squadra suicida e niente più, mentre tu guiderai il grosso dell'esercito. Se avrò successo, sarò vittorioso ai tuoi ordini. In caso contrario tu ti sbarazzerai di un nemico.

— Se fallirai ci sbarazzeremo l'un dell'altro e di tutti.

— E la colonia morirà per mancanza di materiali fissili.

— Già.

— Sappi che non ho cambiato idea: quando tornerò sulla Luna ti accuserò comunque di tradimento.

Alec si permise di sorridere.

— Non credi che sarebbe piuttosto difficile dimostrarlo, se porterai i materiali?

— Lo dimostrerò.

— E allora provaci.

Kobol rimase per un attimo interdetto, poi si contrasse come se fosse pronto a scattare. — Se accetto e riesco a impadronirmi dei materiali, mi prometti che tornerò sano e salvo sulla Luna?

— Perché? Pensavi forse che ti avrei fatto uccidere dopo la vittoria?

— Sei tu che lo dici.

— Tornerai sano e salvo. Sistemeremo le nostre divergenze a casa.

— La mia salvezza in cambio dei fissili — borbottò Kobol. — D'accordo.

Alec annuì. Non si strinsero la mano. Alec si alzò e si avviò all'uscita. A metà strada si voltò. — Non ti ho chiesto la stessa garanzia per me… non mi hai assicurato che non tenterai di uccidermi prima del ritorno alla colonia.

Kobol fece per rispondere, ma Alec proseguì: — Non mi occorre la tua promessa, tanto non mi fiderei. Ma mettiti bene in mente questo: se cerchi di uccidermi io ti farò fuori. Anche se riuscirai, ci sono dozzine di uomini pronti a farti a pezzi, dopo. Prega che io non muoia in combattimento, Martin.

Uscì, lasciando Kobol seduto sulla branda, con espressione corrucciata.

La mattina del terzo giorno ebbe inizio l'attacco.

Erano state due giornate estenuanti. Due giornate per preparare uomini ed equipaggiamenti: per respingere le pattuglie di Douglas che sempre più numerose e insistenti cercavano di infiltrarsi nella valle; per impartire le istruzioni a Kobol; per mettere insieme speciali unità motorizzate; per mantenersi in contatto col satellite e infine, per aver notizie sempre fresche sulle condizioni meteorologiche.

La notte precedente all'attacco piovve. Le truppe uscirono dalla valle e si sparsero per dirigersi verso le rispettive posizioni, disponendosi ad arco intorno a circa metà del perimetro difensivo di Douglas. Si muovevano celermente ma i reparti che costituivano l'onda d'urto erano a bordo di camion, autoblindo e jeep. Tutte le unità erano mobili, non c'erano reparti appiedati. Le autoblindo erano dotate di laser, le jeep di mitragliatrici e lanciarazzi. La cavalleria disponeva di ogni tipo di armi, dai fucili automatici alle balestre.

La pioggia trattiene le pattuglie di Douglas e fa da schermo al nostro spiegamento, pensò Alec. Almeno spero.

Si era sistemato sull'affusto del laser a bordo di un'autoblindo. La pioggia si era ridotta a una leggera acquerugiola, e il sole stava spuntando dietro le colline a oriente facendo capolino tra le nuvole. Il terreno era umido ma non fangoso.

Alec indossava un elmetto da combattimento e ascoltava le voci dei comandanti le diverse unità sintonizzando gli auricolari sulle diverse frequenze. Le avevano scelte con cura per essere certi di essere fuori della portata delle radio antiquate di cui disponeva Douglas. Tutti i comandanti di settore si misero in contatto con lui per un ultimo controllo. Poco dopo la pioggia cessò del tutto e Alec chiese a Jameson: — Come va lì da te?

Calma e vivace, la voce di Jameson rispose: — Tutto a posto, qui. Unità e comandanti di settore sono pronti e non vedono l'ora di muoversi.

Alec controllò l'ora. Le sei meno dieci. L'inizio dell'attacco era fissato per le sei, quando Douglas e i suoi si mettevano a colazione.

Mentre aspettava che la lancetta dei minuti avanzasse, Alec ripensò a tutto quello che gli era successo negli ultimi mesi: le bufere, il freddo, il fango. E le notti con Angela, il calore del fuoco, e quello della loro passione. E il massiccio uomo dai capelli grigi che l'aveva costretto ad andarsene.

Scrollando la testa, scacciò i ricordi per tornare alla realtà del momento. La mattina andava rapidamente schiarendosi, le nuvole si diradavano allontanandosi spinte da una fresca brezza. Il sole era luminoso e lui ne sentiva già il calore sulle spalle e sul collo.

— Meno dieci secondi — mormorò fra sé.

Girando il pulsante sulla frequenza generale, sentì il segnale che confermava come la frequenza fosse aperta e sintonizzata.

— A tutti i settori e comandanti le unità… ha inizio l'attacco. Via!

L'autoblindo fece un balzo in avanti, poi prese velocità risalendo senza scossoni verso la cresta del colle dietro cui si era tenuta nascosta. La seguivano altre tre autoblindo e un paio di jeep. Queste accelerarono e sorpassarono il mezzo di Alec puntando verso la cresta del colle.

Dopo che l'ebbero raggiunta, iniziarono la discesa del versante opposto. Alec prese il binocolo e vide la rete metallica che si snodava lungo il terreno collinoso, mezzo chilometro più avanti. Si scorgevano due torri di guardia e, verso l'orizzonte, una collinetta sormontata da un avamposto.

Ormai ci hanno visti si disse, guardando le figure sulla torre di guardia muoversi e gesticolare. Sono sorpresi? Ci aspettavano? Hanno paura come ne ho io? Alec si accorse che gli batteva forte il cuore, lo sentiva pulsare in gola, lo sentiva nelle orecchie, amplificato dagli auricolari.

Si diressero a velocità sostenuta verso la recinzione, e in lontananza, sulla destra, Alec vide un reparto di cavalleria che procedeva al galoppo per restare alla pari con loro. Le jeep erano già più avanti. Lampi di fuoco danzavano sulla sommità delle torri di guardia, ma Alec non riusciva a sentire altro che il sibilo del vento della corsa.

Una delle jeep lanciò un razzo contro la torre più vicina e Alec ne seguì la scia mentre passava a pochi metri dal bersaglio e andava a infilarsi nel terreno entro il recinto, esplodendo.

— Siamo alla portata della recinzione! — gridò il servente, legato al seggiolino catapultabile sistemato di fianco all'affusto del laser.

— Distruggila! — gli gridò Alec.

Il generatore del laser si accese ronzando; le sue vibrazioni furono soffocate dall'acuto sibilo del laser. Il raggio era invisibile, ma non appena toccò la recinzione, la rete metallica si fuse come la cera di una candela.

Le jeep si diressero verso il varco aperto dal laser, e il servente rivolse la sua attenzione alle torri di guardia. La più vicina stava ancora sparando quando il raggio la colpì. La sommità prese subito fuoco.

Penetrarono all'interno del recinto correndo a gran velocità sul terreno disuguale. Le jeep erano incolumi e continuavano a precedere gli altri, deviando sulla sinistra per allontanarsi il più possibile dal fuoco d'artiglieria dell'avamposto. Alec si voltò e vide lo squadrone di cavalleria avanzare attraverso il varco nella rete. La torre di guardia colpita non sparava più.