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Ordinò al conducente di fermarsi davanti alla casa di Angela e saltò a terra, con la pistola che gli pendeva dal cinturone, l'elmetto in testa. Rammentando la notte in cui se n'era andato, pensò che non aveva mai immaginato un simile ritorno da conquistatore che occupa il campo abbandonato dal nemico.

La casa era vuota. Il focolare freddo. Tutto era polveroso, e aveva un'aria di abbandono come se nessuno ci vivesse da settimane, forse da mesi.

Cupo in viso, uscì, e si diresse verso la casa di Douglas. Sapeva che era una speranza assurda, eppure…

A una decina di passi dalla casa, si fermò di colpo, irrigidendosi. Un ronzio meccanico, debole ma inconfondibile, simile al rumore dell'affusto di un cannone che ruota in direzione del bersaglio, l'aveva costretto ad arrestarsi. Si scostò dal marciapiedi per addossarsi alla siepe che correva intorno alla casa, e con una mano sull'impugnatura della pistola scrutò con cura la strada apparentemente deserta.

Niente.

Poi il rumore si ripeté, alle sue spalle. Alec si girò di scatto, abbassandosi ed estraendo contemporaneamente la pistola. Ancora niente in vista. Pure qualcosa c'era. Qualcosa di diverso nella casa, qualcosa che prima non c'era.

Scorse un luccicore con la coda dell'occhio: un'asta di metallo inchiodata alla bell'e meglio al muro, sulla cui sommità si ergeva un'antenna di fortuna, nuova, ancora lucida ai raggi del sole al tramonto. Un cavo scendeva dall'antenna ed entrava in una finestra del primo piano.

L'antenna ruotò producendo un ronzio metallico mentre il suo motorino elettrico la muoveva.

Alec staccò la mano dall'impugnatura della pistola e ordinò a se stesso di smettere di tremare. Poi chiamò per radio il conducente della sua autoblindo, sempre ferma davanti alla casa di Angela e, parlando sottovoce, gli ordinò: — Chiama Jameson e digli di portare qui una squadra. Immediatamente.

— Signorsì.

Lentamente, cercando di non fare rumore, Alec girò intorno alla casa fino a raggiungere la porta posteriore. Non era chiusa a chiave. La spinse adagio. I cardini non cigolarono.

Una volta dentro, sentì provenire dal piano superiore una voce smorzata. Gli pareva quella di Douglas. Solo? Come mai era lì e non sul campo coi suoi uomini?

Alec salì i gradini a due alla volta, ma lentamente, tenendosi chino e impugnando la pistola, a scanso di sorprese. Raggiunto furtivamente il pianerottolo si diresse verso la stanza da cui proveniva la voce di Douglas.

Diede un'occhiata nelle altre stanze attraverso le porte, tutte aperte. Nessuno. Infine dopo aver inspirato ed espirato una profonda boccata d'aria aprì la porta della camera da letto ed entrò a precipizio.

La porta sbatté contro il muro mentre Alec ricadeva sui talloni, accovacciato, reggendosi in equilibrio con la pistola nella destra.

Metà stanza era ingombra di apparecchiature radio, cassette di metallo grigie e nere, con quadranti luminosi. Un groviglio di fili collegavano quell'apparente caos al cavo che scendeva serpeggiando al di sotto della finestra chiusa.

Douglas stava seduto sul letto, con un antiquato microfono stretto nel pugno poderoso. La gamba sinistra era chiusa dalla coscia al piede in un involucro di plastica. La faccia era più magra di quanto Alec non ricordasse e i capelli e la barba più grigi. Abiti e lenzuola erano spiegazzati e umidi di sudore. Sul letto al fianco di Douglas c'era una carabina con alcune scatole di munizioni sul comodino.

Per un lungo momento, Alec rimase accovacciato, immobile. Poi Douglas disse: — Be', era tempo che venissi. Cosa ti ha trattenuto?

24

— Cosa ti sei fatto alla gamba? — chiese Alec fissando suo padre.

Con aria seccata, Douglas borbottò: — Disarcionato da un maledetto cavallo. Ci crederesti? Quattro giorni fa. Ho dovuto starmene qui seduto durante tutta la battaglia cercando di dirigere le operazioni per radio. — Gettò il microfono sul letto,da cui rimbalzò con un tonfo metallico per terra.

— Avresti potuto risparmare molte vite dicendo…

— Ho già ordinato ai miei uomini di cessare il combattimento — lo interruppe Douglas. Aveva l'aria stanca, sebbene la sua voce fosse forte e imperiosa come sempre. — È quello che stavo facendo mentre tu salivi di soppiatto le scale. E puoi anche mettere via la pistola. Non ho intenzione di spararti — e indicando la carabina, — questa non è neanche carica.

Alec si avvicinò al letto, prese la carabina e l'appoggiò contro lo stipite della porta. Poi rinfoderò la pistola.

— Hai combattuto molto bene — dichiarò Douglas, ingrugnito. — Non mi aspettavo che tu fossi così bravo.

Accostando al letto l'unica sedia della stanza, Alec ribatté: — E io non mi aspettavo che tu avessi dei carri armati.

— Credevi che ti avessi fatto vedere tutto? — rise Douglas.

— E lei dov'è?

— Angela? L'ho spedita in un villaggio una settimana fa insieme alle altre donne. Tornerà, adesso che la battaglia è finita.

— E Will?

Douglas scosse la testa. — L'ultima volta che ho avuto sue notizie gli avevano ammazzato il cavallo che cavalcava. Ma non preoccuparti per lui. Russo ha la fortuna dalla sua.

Dopodiché non rimase altro di cui parlare. Molte erano le cose da dire, ma niente di cui parlare.

Fu Douglas a rompere il silenzio. — Così hai vinto.

— Già.

— E adesso cosa ti proponi di fare?

Alec guardò fuori dalla finestra, poi tornò a fissare il viso stanco di suo padre. — Sono venuto per i missili. Li porterò sulla Luna.

— Sai dove si trovano?

— Me l'hai mostrato tu, non ricordi?

— Oh… Sì, è vero. Non…

— Sta andandoli a prendere Kobol con una squadra specializzata.

— Kobol? Hmmm.

— Ti condanneranno a morte — sbottò Alec. — Sei un traditore.

— Me l'immaginavo — disse Douglas senza scomporsi. — Se non fosse stato per questa dannata gamba non sarebbe stato tanto facile catturarmi.

— Kobol ha intenzione di sposare mia madre — mentre lo diceva, Alec si rese conto che era vero. Lo sapeva da sempre ma si era sempre rifiutato di crederci.

— Kobol? Benone! Tempo un anno e lo servirà a fettine su un piatto d'argento. Sono degni l'uno dell'altra.

Alec fremeva.

— Non fare lo stupido — gli disse suo padre. — Kobol le faceva la corte anche quando io ero ancora lassù. E lei lo incoraggiava. Questo è uno dei motivi per cui me ne sono andato. Era evidente perfino a me.

— Ti aspetti che ti creda?

— Non me ne frega niente se ci credi o no — rispose Douglas con un sorriso amaro. — Io ho terminato quello che mi ero proposto di fare. Il mio lavoro è finito. Il tuo è appena cominciato.

— Come? Cosa vuoi dire?

Prima che Douglas avesse il tempo di rispondere tre autoblindo si fermarono sferragliando davanti alla casa e si sentì il vocìo di parecchi uomini. Uno sbattere di porte. Passi pesanti sulle scale.

Jameson entrò nella stanza puntando il fucile. — Tutto bene? — chiese ad Alec.

Alec annuì e si alzò. — Questo è Douglas Morgan — disse. — Fa' sorvegliare questa casa. Nessuno deve uscire senza il mio permesso. Installerò il mio quartier generale nella prima casa di questa via, dove è parcheggiata la mia autoblindo.

— Va bene — disse Jameson.

— Immagino che il condannato abbia diritto a un pasto, stasera — disse Douglas.

Alec non aveva più il coraggio di guardarlo in faccia. — Provvedi tu — disse a Jameson.

Poi lasciò suo padre seduto sul letto, circondato da sconosciuti armati.

Alec cenò da solo nella casa di Angela. Era il primo pasto caldo da parecchi giorni. Aveva quasi finito quando Kobol entrò a precipizio in cucina.

— Li abbiamo presi! — gracchiò spingendo da parte la guardia di sentinella davanti alla porta.

Alec lo guardò. Era stanchissimo, mentre Kobol era giubilante, poco mancava che si mettesse a ballare.

— Li abbiamo presi! — ripeté Kobol. — Ne avremo per almeno cinquant'anni!