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— E dopo?

Kobol rimase interdetto. Il suo sorriso trionfante cominciò ad appannarsi. — Cosa vuoi dire?

Alec cominciava a capire almeno in parte quello che gli aveva detto tempo prima Douglas — E dopo? Cosa ne sarà della colonia fra cinquant'anni?

— Be', ne troveremo degli altri. Cinquant'anni sono tanti. Che senso ha preoccuparsi ora, in questo momento!

— No — rispose Alec. — No, hai ragione.

— Ordinerò che un paio di navette vengano qui a prenderli domattina all'alba. Possono atterrare all'aeroporto di questa base.

— D'accordo.

— E voglio che sia imbarcato anche Douglas. Lo stanno aspettando.

Alec respinse il piatto ancora mezzo pieno e si alzò. — No.

— No? Come sarebbe a dire?

— Ho detto "no". Tu non riporterai Douglas sulla Luna. Penseremo a lui noi, qui. Me ne occuperò io.

— No, non lo farai — dichiarò con durezza Kobol. — Finora hai fatto a modo tuo ma è venuto il momento di renderti conto che io sono un membro del Consiglio, e ho l'ultima parola nel…

Alec sfoderò la pistola. — Martin, puoi portare i materiali sulla Luna e tornarci anche tu domani. Io verrò tra poco. Ma Douglas resta qui. Ha scelto di vivere sulla Terra e qui sarà sepolto. Se vuoi essere sepolto anche tu qui, basta che tu dica ancora una sola parola. — La voce di Alec era sommessa come il ronron di un leopardo. — Una parola sola, tutto qui.

Kobol aprì la bocca ma non ne uscì nessun suono. Poi la richiuse con uno schiocco percettibile dei denti. Era pallido di rabbia e di paura.

— Bene — concluse Alec indicando la porta con la pistola. — E adesso vattene a fare quel che devi fare. Lascia Douglas a me. E tieni le mani lontano da mia madre fino al mio ritorno. Non dimenticare che anche lassù puoi essere ucciso facilmente come qui.

Schiumando di rabbia, Kobol si voltò e uscì zoppicando.

Alec rinfoderò la pistola e finì di mangiare. Ma non aveva più fame. Si sentiva più vecchio e più stanco di suo padre, stanco e miserevolmente solo.

La guardia sbirciò dentro. — Signore?

— Cosa c'è?

— Abbiamo un prigioniero. Qualcuno che avevate detto di volere vedere.

— Will Russo.

— Così dice di chiamarsi.

— Fallo entrare. — Alec tornò ad alzarsi mentre Will entrava. Era sporco e aveva gli abiti ridotti in brandelli ma quando entrò in cucina e vide Alec sfoderò il suo bonario sorriso.

— Non scherzavi parlando di un esercito numeroso, eh?

Alec gli porse la mano e Will l'afferrò.

— Stai bene? — gli chiese Alec. — Hai mangiato? Sei ferito?

— Muoio di fame, ma per il resto sto bene. I tuoi uomini ci hanno tenuti impegnati per sei ore. Mai visti tanti cannoni e tanti laser in vita mia.

Alec lo fece sedere al tavolo e ordinò che gli portassero da mangiare. Rimase poi a guardare Will che divorava voracemente tutto quello che aveva davanti, innaffiandolo con un litro di latte appena munto.

— In quale villaggio è andata Angela? — gli chiese.

— Non lo so — rispose Will a bocca piena. — Ma verrà qui presto. Vuole vedere Douglas, curarlo.

Vuole curarlo pensò Alec con una fitta di gelosia.

— Avete avuto molte perdite? — chiese per cambiare argomento.

— Parecchie. Voi eravate in molti, meglio armati e siete anche stati più furbi di noi.

— Sono contento che tu non sia stato ferito.

— Figurati io! — ribatté Will con una fragorosa risata. — Ma molta brava gente ci ha lasciato la pelle.

Alec annuì. — Però adesso è finita — disse.

— Finita? Oh, no, perdio! Sta solo cominciando.

— Cominciando?… Cosa vuoi dire?

— Chiedilo a Douglas. Mi sorprende che non te ne abbia ancora parlato.

— Parlato di che?

— Chiedilo a lui.

— Maledizione! — sbottò Alec. — Sai benissimo che Douglas è agli arresti per tradimento. E sai anche che Kobol vorrebbe portarlo sulla Luna per sottoporlo a un processo.

— Glielo permetterai?

— No. Però non posso neanche lasciarlo vivere.

Will alzò le spalle.

— Tecnicamente sei colpevole quanto lui — aggiunse Alec — ma è Douglas che vogliono punire e tu non sei obbligato a…

— No — disse Will con ferrea determinazione. — Non ci sto.

Alec lo guardò.

— Io sono un seguace di Douglas. Quello che spetta a lui spetta anche a me. L'hai appena detto, ed è vero: sono colpevole come e quanto lui. Abbiamo progettato insieme tutto questo. Se lo uccidi dovrai uccidere anche me. Altrimenti…

— Altrimenti…

— Altrimenti non ti darò tregua finché non ti avrò ammazzato.

— Accidenti, Will, parli come un barbaro medievale.

— Può darsi che lo sia. Forse lo siamo tutti. Ti voglio bene come a un figlio, Alec. Ti devo la vita. Ma se uccidi Douglas non avrò pace finché non l'avrò vendicato.

— Cristo!

— Proprio così! — disse Will Russo.

Era tardi quando Alec si avviò a piedi verso la casa di Douglas. La notte primaverile era fredda e buia, le stelle brillavano più lustre e scintillanti. All'infuori delle due guardie che ciondolavano vicino all'autoblindo non c'era nessuno per strada.

Le truppe di Douglas erano state disarmate e rinchiuse in alcuni edifici adibiti un tempo a caserme. Non erano state trovate donne alla base. L'indomani però sarebbero tornate dai villaggi circostanti.

Le guardie si misero sull'attenti quando riconobbero Alec. Per scaldarsi avevano inserito nel generatore dell'autoblindo una piccola graticola elettrica.

— Fa fresco, vero? — disse Alec.

— Altroché!

In casa di Douglas altri due uomini sonnecchiavano nel soggiorno. Scattarono in piedi quando Alec entrò sbattendo la porta.

— Tutto tranquillo, qui? — chiese lui.

— Signorsì. — Erano tutt'e due imbarazzati, forse anche un po' impauriti.

Senza aggiungere altro, Alec salì le scale in punta di piedi e aprì la porta della stanza di Douglas. Lo trovò seduto sul letto nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato qualche ora prima. Adesso aveva inforcato gli occhiali e stava leggendo un libro frusto e malconcio. Alec sbirciò la copertina, ma era troppo logora per riuscire a decifrare il titolo.

— Entra — disse piano Douglas senza alzare gli occhi dal libro. — Ti aspettavo.

Alec entrò e prese la sedia. Era nervoso, a disagio. Mentre si metteva a sedere si rese conto che la voce di suo padre non aveva più il tono imperioso e autoritario di una volta. Era pacata, quasi sommessa. Per via della sconfitta? Alec stentava a crederlo.

Douglas scrollò il libro. — L'ho trovato nella biblioteca di una città, anni fa. È di Hemingway. La Quinta Colonna e I quarantanove racconti. Magnifico. Dovresti leggerlo.

Alec alzò le spalle.

Douglas posò il libro sul comodino. La radio era stata portata via e di essa rimaneva solo il cavo che pendeva dalla finestra. — E così sei venuto a controllare se non mi manca niente e se ho mangiato bene?

— No.

— Sei venuto a leggermi la sentenza di morte? — Pareva divertito.

— Nemmeno. Sono venuto per sapere cosa volevi dire asserendo che il tuo lavoro è finito e che il mio sta appena cominciando. Will ha detto pressappoco la stessa cosa, un paio d'ore fa.

— Hai visto Will? — chiese Douglas con sincero interesse. — Come sta?

— Sta benone. Affamato come un orso…

— E assetato anche, ci scommetto.

Alec sorrise suo malgrado. — Già.

— Ma finalmente stai cominciando a capire che nella vita c'è qualcos'altro che conta quanto e più forse che non il fare la guerra a tuo padre. Non è così?

— Voglio sapere cosa significavano quelle misteriose allusioni.

— Non è difficile — rispose Douglas. — Tutto si è svolto come avevo progettato, anche se confesso che oggi pensavo di vincere io, e non tu. Ma il piano funziona ugualmente.