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Sapeva che Alec e tutti gli altri stavano combattendo, ma lui restava aggrappato alla terra, da cui traeva vita e sicurezza, sepolto nei cespugli che crescevano fra gli alberi sul limitare della foresta. L'istinto gli suggeriva di scappare, di addentrarsi nell'ombra dei boschi, di nascondersi tanto lontano da non essere raggiunto dagli spari e dalle esplosioni.

Invece rimase sul limitare della foresta, nonostante il terrore, in angoscioso equilibrio fra la paura e il profondo, muto senso di lealtà che ormai lo legava ad Alec.

Il sole aveva superato da un pezzo lo zenit quando la battaglia ebbe termine. Accovacciato dietro una robusta quercia, semisepolto nel cespuglio che cresceva alla base del tronco, Furetto aspettò quasi un'ora dopo che si fu spenta l'eco degli ultimi spari. Stava con le orecchie tese, ma sentiva soltanto il cinguettìo degli uccelli e il ronzìo degli insetti. Uno scoiattolo fece capolino da un cespuglio pochi metri più avanti, rimase ritto sulle zampine posteriori annusando l'aria col naso che vibrava, si guardò attorno incerto e infine si arrampicò lesto sull'albero dietro cui si nascondeva Furetto.

Tutto era tornato alla normalità. Poteva uscire dal nascondiglio. Avanzò esitando di qualche passo nella luce obliqua del pomeriggio. Il cielo che sovrastava la valle era grigio di fumo. Alec era là.

Furetto si mosse verso il fumo, verso Alec. Forse avrebbe trovato un coniglio o uno scoiattolo lungo la strada e l'avrebbe portato ad Alec.

Un camion carico di soldati esultanti correva su una delle strade che portavano alla valle. Rallentò, e Furetto salì a bordo. Quegli uomini erano degli sconosciuti, non li aveva mai visti prima. Ridevano e facevano un gran baccano. Furetto rise con loro. Non aveva più paura.

Arrivarono alla base che ormai era buio. Il camion frenò fermandosi davanti a uno dei grandi magazzini in prossimità dell'aeroporto. C'erano soldati ovunque, ancora pieni di energia, rinvigoriti dalla vittoria.

— Dove sono le donne? — gridò un uomo.

— Non doveva esserci dell'oro per le strade, qui? — tuonò un altro. — Io non ne vedo.

— Non farci caso! — ribatté una voce stridula. — Hanno trovato da bere in quel magazzino! Roba da leccarsi i baffi! Vino e liquori! Venite!

Con un grido che pareva un ruggito i soldati dell'esercito vittorioso si precipitarono verso il magazzino trascinando con loro Furetto, come la corrente trascina un fuscello.

Jameson aspettava davanti alla casa di Douglas quando Alec uscì a precipizio dopo il colloquio con suo padre. Appena lo vide, gli indicò senza parlare un bagliore rosso che rischiarava il cielo.

— Stanno bruciando i magazzini — disse. — I barbari di Kobol.

Alec osservò la luce fiammeggiante da cui si levavano nel cielo buio nugoli di scintille. Non disse niente, cercando disperatamente di concentrare l'attenzione su quanto stava accadendo. Ma nella sua mente torreggiava ancora l'immagine di Douglas che parlava con la massima calma della propria esecuzione.

— Abbiamo messo sottochiave armi, munizioni e veicoli — stava dicendo intanto Jameson. — E i prigionieri sono sorvegliati dalle nostre guardie. Ma quei magazzini… — Jameson scosse la testa. — Non disponiamo di un numero sufficiente di uomini fidati per tenere a bada tutti questi barbari.

Facendo uno sforzo, Alec si risolse a chiedere: — Cosa c'è in quei magazzini?

— Macchinari, pezzi di ricambio… In uno parecchie centinaia di cassette di bottiglie di vino e di alcol etilico, a quanto mi ha detto Will.

— Non credo che brucerebbero quel ben di Dio — osservò Alec.

Jameson rivolse lo sguardo verso l'incendio. — Non sarebbe una cattiva idea lasciarli liberi per una notte.

— E far sì che distruggano tutto quello su cui riescono a mettere le mani? No! Prendi cinquanta uomini e quattro autoblindo dotate di laser. Trova Will e digli di raggiungerci con tutti gli uomini fidati che riuscirà a raccogliere.

Un'espressione scettica si disegnò sulla faccia di Jameson.

— Se li lasciamo sfogare — disse Alec — finiranno con l'ammazzarsi tra di loro prima dell'alba.

— È probabile — ammise Jameson.

Dopo una mezz'ora si riunirono nel deposito dei veicoli, una vecchia rimessa con le pareti di metallo. Alec espose il suo piano di battaglia agli uomini che erano presenti.

— Stanno saccheggiando i magazzini e bruciano tutto quello che non possono bere o protare via. Convergeremo nella zona dei magazzini da tre direzioni diverse — col dito tracciò le linee sulla mappa stradale che gli stava davanti.

Jameson era poco persuaso. — Se decidono di ribellarsi…

— Non lo faranno, se agiremo nel modo più opportuno.

Will Russo annuì. — Sì — disse, — riusciremo ad avere la meglio specialmente se li chiuderemo qui, dove convergono le strade. Lo spazio ristretto non darà loro modo di combattere.

— E se catturiamo i capi — aggiunse Alec, — e diamo un esempio, gli altri si calmeranno in un batter d'occhio.

Tre colonne di soldati armati fino ai denti convergevano verso i magazzini in fiamme. Barbari ubriachi rubavano e distruggevano alla luce fosca degli incendi. Il fuoco usciva crepitando dai tetti e dalle finestre. Poco alla volta, i saccheggiatori si resero conto di essere circondati e sospinti verso lo spiazzo nel quale sbucavano tutte le strade. E là, davanti all'unico magazzino che ancora non era stato saccheggiato, li aspettavano quattro autoblindo con gli specchietti di puntamento dei laser rivolti verso di loro.

Alec stava in piedi su una delle autoblindo con un megafono elettrico in mano.

— Ascoltatemi — intimò — Ascoltatemi, perché chi non mi ascolterà sarà morto prima dell'alba.

Gli uomini si fermarono, intontiti, ubriachi, confusi, avvolti in coperte, carichi di bottiglie, sacchi di farina, stivali nuovi, col fuoco che divampava alle loro spalle.

— Chi ha cominciato? — chiese Alec. — Voglio sapere subito chi è stato il primo a dare il via al saccheggio.

Gli uomini borbottarono strusciando i piedi, improvvisamente stanchi e svuotati di ogni energia. Molti avevano abbandonate le armi per darsi al saccheggio, ma altri avevano ancora pistole e carabine.

— Se vi illudete che la disciplina non sia più in vigore perché avete vinto, vi sbagliate di grosso — tuonò Alec. — E adesso, chi ha cominciato? Voglio i colpevoli per trattarli come si meritano. — Estrasse la pistola dalla fondina.

Nessuno si mosse. Si udì solo uno stropiccìo di piedi, come di bambini sorpresi a compiere una marachella.

— E va bene — riprese Alec con voce dura e tagliente come l'acciaio. — Allora farò quello che si faceva nelle legioni romane. Jameson, scegli dieci uomini a caso. Subito!

Jameson, accompagnato da una dozzina di armati, cominciò a scegliere a caso e man mano che afferrava un uomo per un braccio lo spingeva verso l'autoblindo di Alec. A un tratto, qualcuno si mosse facendosi largo in mezzo alla ressa.

— Alec. Alec. Io. Io.

Quelli che gli stavano accanto si scostarono e Alec riconobbe Furetto che stava venendo verso di lui per unirsi agli uomini già scelti per essere giustiziati.

— Io, Alec! — gridò Furetto con un sorriso innocente sulla faccia scarna. — Scegli me!

Il peso della pistola parve improvvisamente insopportabile ad Alec.

Guardò le facce degli uomini che stavano ai suoi piedi, i razziatori scelti a caso da Jameson. Erano sbigottiti, spaventati, ubriachi. Furetto continuava a sorridere, con quel suo sorriso innocente, infantile, carico di speranzosa attesa. La folla si era ritratta dal gruppo dei condannati.

Alec abbassò il braccio. La pistola pesava troppo. Jameson stava immobile con la mano stretta sulla spalla di un uomo.

— Ho fatto il cattivo, Alec — disse Furetto. — Perdonami.

Era la frase più lunga che Alec gli avesse mai sentito pronunciare.