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«Magnificamente», annuì soddisfatto il poliziotto. «È venuto fuori anche il testamento. Ma guarda un po’; curioso.»

In un attimo diede una scorsa al documento, ma a Erast Petrovič questo attimo parve un’eternità, anche se riteneva indegno di sé sbirciare da dietro la spalla.

«Eccoteli qui belli e sistemati! Proprio un bel regalino per quei lontani cugini!» esclamò Ivan Prokofevič con indecifrabile gioia maligna. «Questo Kokorin ha menato tutti per il naso. Proprio come si fa da noi, da noi russi! Però non è mica tanto patriottico. Ecco qui come si spiega la ‘bestia’.»

Persa per l’impazienza ogni considerazione di convenienza e deferenza ai ranghi, Erast Petrovič strappò al funzionario più anziano il foglietto e lesse quanto segue:

Testamento

Io sottoscritto Petr Aleksandrovič Kokorin, trovandomi nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, di fronte ai seguenti testimoni rendo pubblico il mio testamento per quanto riguarda i beni di mia proprietà.

L’intero guadagno realizzato dalla vendita delle mie proprietà, il cui elenco completo si trova presso il mio fiduciario Semen Efimovič Berenson, lo lascio in eredità alla signora baronessa Margaret Esther, suddita britannica, perché faccia uso di tutti questi mezzi a suo insindacabile giudizio secondo le necessità dell’educazione e della formazione degli orfani. Sono convinto che la signora Esther disporrà di questi mezzi in modo assai più accorto e onorevole dei nostri generali della beneficenza.

Questo mio testamento è l’ultimo e il definitivo, ha valore legale e annulla il mio testamento precedente.

Come esecutori testamentari nomino l’avvocato Semen Efimovič Berenson e lo studente dell’Università di Mosca Nikolaj Stepanovič Achtyrzev.

Il presente testamento è stato redatto in due copie, uno dei quali resta in mio possesso, mentre l’altro è stato affidato in custodia allo studio d’avvocato del signor Berenson.

Mosca, 12 maggio 1876.

Petr Kokorin

SECONDO CAPITOLO

in cui, a parte certe conversazioni, non c’è proprio niente

«Come volete, Ksaverij Feofilaktovič, però è ben strano!» ripetè accalorato Fandorin. «Lì un qualche mistero c’è, parola d’onore!» E sottolineò ostinato: «Sì, proprio un mistero! Giudicate voi. Tanto per cominciare, si è sparato in un modo assurdo, ‘alla ventura’, con una sola pallottola nel tamburo, quasi non intendesse spararsi. Che scalogna fatale! Anche il tono del suo biglietto estremo, ne converrete, ha qualcosa di strano, come se l’avesse scritto in fretta e furia, tra una faccenda e l’altra, ma intanto qui si tocca un problema della massima importanza. Un problema che non è per niente uno scherzo!» disse Erast Petrovič con voce addirittura squillante dal sentimento. «Ma su questo problema ci torno dopo, adesso parliamo del testamento. Non vi sembra sospetto?»

«E cosa mai ci sarebbe lì da parervi sospetto, colombello mio?» gli chiese con voce carezzevole Grušin, che stava sfogliando con aria annoiata il Bollettino di polizia degli eventi cittadini per la giornata appena trascorsa. Questa lettura non priva di interesse conoscitivo avveniva solitamente nella seconda metà della giornata, giacché in quel documento eventi di importanza particolare non se ne trovavano — fondamentalmente, si trattava dei fatterelli più meschini, le più totali sciocchezze, sebbene di tanto in tanto ci si imbattesse anche in qualche storiella curiosa. C’era anche la comunicazione del suicidio avvenuto il giorno prima ai giardini di Sant’Alessandro, ma, come aveva previsto il molto esperto Ksaverij Feofilaktovič, senza il benché minimo dettaglio e, naturalmente, senza il testo del biglietto vergato in punto di morte.

«Ma è questo il problema! Kokorin è come se non si fosse sparato sul serio, eppure il testamento, nonostante il tono di sfida, è stato redatto nel pieno rispetto delle regole, con tanto di notaio, firme dei testimoni, e l’indicazione degli esecutori testamentari», continuò Fandorin tormentandosi le dita. «Bisogna anche dire che si tratta di un patrimonio immenso. Mi sono informato: due manifatture, tre stabilimenti, palazzi in varie città, cantieri navali sul Baltico, di soli titoli fruttiferi mezzo miliardo!»

«Mezzo miliardo?» chiese stupefatto Ksaverij Feofilaktovič, staccandosi dalle sue carte. «Ha avuto una bella fortuna quell’inglese, una bella fortuna davvero.»

«Fra l’altro vorrei che qualcuno mi spiegasse cosa c’entra qui lady Esther. Perché mai il testamento è proprio in favore di lei, e non di qualcun altro? Che genere di legame c’era fra lei e Kokorin? Ecco cosa ci sarebbe da spiegare!»

«Ma l’ha scritto lui stesso, che non si fida dei nostri malversatori, mentre quell’inglese, quanti mesi ormai che la portano alle stelle su tutti i giornali. No, caro mio, spiegatemi questo piuttosto. Com’è successo che la vostra generazione attribuisce un valore così misero alla vita? Basta un nulla, e voi subito piff paff, e per giunta con quel tono solenne, con pathos, ostentando disprezzo per il mondo intero. E in base a quali vostri meriti provate tanto disprezzo, vorrei proprio saperlo», prese ad adirarsi Grušin, che nel frattempo si era ricordato del tono aspro e irrispettoso con cui gli si era rivolta la sera prima la sua adorata figlia, Sasenka, una liceale di sedici anni. Comunque la domanda era del tutto retorica: che opinione avesse in proposito il segretario interessava assai poco il rispettabile commissario, motivo per cui tornò a immergersi nel bollettino.

In compenso Erast Petrovič si scaldò ancora di più.

«È proprio questo il problema su cui volevo fermarmi. Considerate un uomo come Kokorin. Ha avuto tutto dalla sorte: ricchezza, libertà, educazione, bellezza (la bellezza Fandorin la nominò così, nella foga del discorso, sebbene non avesse la minima idea dell’aspetto del defunto). Ma lui gioca con la morte e alla fine si uccide. Vorreste sapere perché? A noi giovani il vostro mondo dà la nausea. Kokorin ha scritto proprio questo, senza però sviluppare il concetto. Tutti i vostri ideali — la carriera, il denaro, le onorificenze -per molti di noi non contano proprio nulla. Non si sogna questo al giorno d’oggi. Cosa pensate, che lo scrivano così senza pensarci, ‘epidemia di suicidi’? I migliori fra i giovani colti se ne vanno, soffocati dalla mancanza di ossigeno spirituale, mentre voi, i padri della società, non ne traete nessuna lezione per voi!»

L’effetto fu che tutto il pathos accusatorio finì per rivolgersi allo stesso Ksaverij Feofilaktovič, visto che altri «padri della società» lì vicino non se ne vedevano; tuttavia Grušin non se la prese affatto, anzi, annuì con palese soddisfazione.

«A proposito», soggiunse beffardamente guardando il bollettino, «per quanto riguarda la mancanza di ossigeno spirituale. ‘Nel vicolo Cichečevskij, terzo distretto della sezione Mescanskaja, alle dieci del mattino è stato rinvenuto il cadavere impiccato del calzolaio di 27 anni Ivan Eremeev Buldygin. Secondo la testimonianza dello spazzino Petr Silin, il movente del suicidio era la mancanza dei mezzi necessari a smaltire la sbornia.’ E così se ne vanno i migliori. Restiamo solo noi, vecchi imbecilli.»

«Voi ridete», disse con amarezza Erast Petrovič. «Mentre a Pietroburgo e a Varsavia non passa giorno senza che degli studenti, delle studentesse, perfino dei liceali si avvelenino, si sparino, si anneghino. Ci trovate da ridere, voi…»

Ve ne pentirete, Ksaverij Feofilaktovič, ma quando sarà troppo tardi, pensò vendicativo, sebbene fino a quel momento il pensiero di uccidersi non gli fosse ancora mai balenato alla mente: aveva una natura troppo vivace, il nostro giovane. Seguì un silenzio: Fandorin si immaginò una tomba modesta, fuori dalla terra consacrata e priva di croce, mentre Grušin ora seguiva col dito le righe, ora voltava pagina con un fruscio.