Anne Rice
La regina dei dannati
Questo libro è dedicato con amore
a Stan Rice, Christopher Rice
e John Preston.
E alla memoria
di John Dodds e William Whitehead.
Io sono il vampiro Lestat. Vi ricordate di me? Il vampiro che è diventato una superstar del rock, quello che ha scritto l’autobiografia. Quello con i capelli biondi e gli occhi di ghiaccio e il desiderio insaziabile di non essere più invisibile e di raggiungere la fama. Ricordate? Volevo essere un simbolo del male in un secolo sfolgorante dove non c’era posto per il puro male quale io sono. Avevo addirittura creduto di poter fare un po’ di bene in questo modo… impersonando il diavolo su un palcoscenico dipinto.
Ero sulla buona strada quando ci siamo parlati l’ultima volta. Avevo appena debuttato a San Francisco, in un concerto dal vivo, il primo per me e per il mio complesso di mortali. Il nostro album era stato un trionfo. La mia autobiografìa aveva un discreto successo tra i morti e i non morti.
Quando accadde qualcosa di assolutamente imprevisto. Ecco, almeno io non l’avevo previsto affatto. E quando vi ho lasciati, ero per così dire appeso sul ciglio del proverbiale abisso.
Bene, ora è finito tutto… quello che ne seguì. Sono sopravvissuto, evidentemente. Altrimenti non starei qui a parlare con voi. E su questa storia si è posata la polvere cosmica; il piccolo strappo nel tessuto delle credenze razionali del mondo è stato rammendato o almeno chiuso.
A causa di tutto questo io sono diventato più triste e un po’ più cinico, ma anche più coscienzioso. E sono infinitamente più potente, anche se l’umano che è in me è più vicino che mai alla superfìcie: un essere angosciato e affamato che ama e detesta l’invincibile involucro immortale in cui è racchiuso.
La sete di sangue? Insaziabile, anche se fisicamente non ho mai avuto bisogno del sangue meno di adesso. Forse potrei farne a meno, ormai. Ma il desiderio che provo per tutto ciò che cammina mi dice che non avrò mai modo di farne la prova.
Sapete, non lo facevo per il solo bisogno del sangue, anche se il sangue è quanto di più sensuale una creatura possa desiderare; è l’intimità del momento… bere, uccidere… la grande danza cuore a cuore che avviene quando la vittima s’indebolisce e io mi sento espandere, assimilo la morte che, per una frazione di secondo, sfolgora immensa come la vita.
Per quanto tutto ciò sia ingannevole. La morte non può essere grande quanto la vita. È per questo che continuo a impossessarmi delle vite altrui, no? Sono lontano dalla salvezza, ora, per quanto è possibile esserlo. Il fatto di saperlo serve soltanto a peggiorare la realtà.
Naturalmente, riesco tuttora a passare per umano. Tutti noi ci riusciamo, in un modo o nell’altro, indipendentemente dalla nostra età. Colletto rialzato, cappello ben calato, occhiali scuri, mani in tasca… di solito è sufficiente. Mi piacciono i giubbotti di pelle attillati e i jeans aderenti, per il mio attuale travestimento, e un paio di semplici stivaletti neri adatti per camminare su qualunque terreno. Ma ogni tanto indosso le sete sgargianti preferite dalla gente in questi climi meridionali dove ora risiedo.
Se qualcuno mi guarda troppo attentamente, subentra un pizzico di suggestione telepatica: ciò che vedi, è del tutto normale. Un bagliore del mio vecchio sorriso, con i canini facilmente nascosti, e il mortale prosegue per la sua strada.
Ogni tanto abbandono tutti i travestimenti; esco così come sono. Capelli lunghi, una giacca di velluto che mi ricorda i tempi andati e un paio di anelli con smeraldi alla mano destra. Cammino a passo svelto tra la folla nel centro di questa città del sud deliziosamente corrotta, oppure passeggio lentamente lungo le spiagge, nella brezza tiepida e sulla sabbia candida come luna.
Nessun essere vivente mi fìssa più a lungo d’un paio di secondi. Vi sono in noi troppe altre cose inesplicabili… orrori, minacce, misteri che vi attraggono e poi, inevitabilmente, vi disincantano. E tornate alla monotonia e al prevedibile. Il principe azzurro non verrà mai, e tutti lo sanno; e forse la Bella Addormentata è morta.
Lo stesso vale per gli altri che sono sopravvissuti con me, e con me condividono questo angoletto caldo e verdeggiante dell’universo… la punta sudorientale del continente nordamericano, la scintillante metropoli di Miami, felice territorio di caccia, se mai ve n’è stato uno, per gli immortali assetati di sangue.
È bello averli con me, gli altri; anzi, è fondamentale… ed è ciò che ho sempre creduto di cercare; una grandiosa conventicola dei saggi, degli eterni, degli antichi e dei giovani spensierati.
Ma… ah, il tormento di essere anonimo tra i mortali non è mai stato più atroce per me, dato che sono un mostro avido. Il brusio sommesso delle voci sovrannaturali non può distrarmi da questa realtà. Il sapore dell’apprezzamento dei mortali era troppo seducente… gli album dei dischi nelle vetrine, i fan che saltavano e applaudivano davanti al palcoscenico. Non aveva importanza, il fatto che non mi credessero veramente un vampiro: in quel momento eravamo insieme. E gridavano il mio nome!
Adesso gli album dei dischi sono spariti, e non ascolterò più quelle canzoni. Il mio libro, Intervista con il Vampiro, rimane prudentemente mascherato da romanzi e avventure inventate di sana pianta, e forse è giusto che sia così. Ho causato anche troppi danni, come vedrete.
Il disastro, questo è quanto ho provocato con i miei giochetti. Il vampiro che avrebbe voluto essere un eroe e un martire per un momento d’assoluta importanza.
Voi penserete che avrei dovuto trame una lezione, no? Be’, è stato così. Davvero.
Ma è tanto doloroso ritirarsi nelle ombre… Lestat, il mostro senza nome che ha ripreso ad avvicinare subdolamente i mortali impotenti, del tutto ignari degli esseri come me. È così doloroso essere ridivenuto l’emarginato, eternamente al confine, in lotta con il bene e il male nell’inferno antico e privato del corpo e dell’anima.
Nel mio isolamento, oggi sogno di trovare una creatura giovane e dolce in una camera rischiarata dalla luna… una di quelle tenere teenagers, come si chiamano adesso, che ha letto il mio libro e ha ascoltato le mie canzoni, una di quelle adorabili idealiste che mi scrivevano lettere appassionate su carta profumata durante quel periodo di gloria effimera, e parlavano della poesia e della forza dell’illusione e confidavano di desiderare tanto che io fossi reale; sogno di entrare furtivamente nella sua stanza buia, dove magari il mio libro giace poggiato sul comodino con un bel segnalibro di velluto, e sogno di toccarle la spalla e di sorriderle mentre i nostri occhi s’incontrano. «Lestat! Ho sempre creduto in te. Ho sempre saputo che saresti venuto!»