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La sua mecenate gli era però rimasta fedele. Aveva comprato loro quella casa a Rio e aveva istituito un fondo vincolato che, alla sua morte, sarebbe passato alla figlia. Aveva anche pagato gli studi della ragazza e tante altre cose. Era strano che vivessero tra gli agi. Come se il vecchio avesse avuto successo.

«Chiamala», ripetè. Si stava agitando, e le mani vuote si tendevano verso le fotografie. Dopotutto, sua figlia non s’era mossa. Gli stava accanto e guardava le immagini, le figure delle gemelle.

«D’accordo, papà.» Lo lasciò con il suo libro.

Era pomeriggio inoltrato quando la figlia entrò e gli diede un bacio. L’infermiera disse che aveva pianto come un bambino. Il vecchio aprì gli occhi quando la figlia gli prese la mano.

«So che cosa hai fatto», disse. «L’ho visto. È stato un sacrilegio!»

La figlia cercò di calmarlo. Gli disse che aveva chiamato la donna. La donna stava per arrivare.

«Non era a Bangkok, papà. S’è trasferita in Birmania, a Rangoon. Ma sono riuscita a mettermi in contatto con lei, e le ha fatto piacere avere tue notizie. Ha detto che sarebbe partita tra qualche ora. Vuol sapere dei sogni.»

Il vecchio era felice. Lei stava per arrivare. Chiuse gli occhi e affondò il volto nel cuscino. «I sogni ricominceranno quando farà buio», bisbigliò. «L’intera tragedia ricomincerà.»

«Riposa, papà», disse la figlia. «Fino al suo arrivo.»

Il vecchio morì durante la notte. Quando la figlia entrò, era già freddo. L’infermiera attendeva ordini. Lui non aveva lo sguardo spento e velato dei morti. La matita era abbandonata sulla coperta, e sotto la mano destra c’era un pezzo di carta gualcito… il risvolto del suo prezioso libro.

La figlia non pianse. Per un momento non fece nulla. Ricordò la grotta in Palestina, la lanterna. «Vedi? Le due donne?»

Gli chiuse delicatamente gli occhi e gli baciò la fronte. Lui aveva scritto qualcosa sul foglio: gli sollevò le dita fredde e rigide, prese la carta e lesse le poche parole scarabocchiate con una grafìa esile.

«nelle giungle… cammina.»

Cosa poteva significare?

Ormai era troppo tardi per mettersi in contatto con la donna. Molto probabilmente sarebbe arrivata quella sera. Un viaggio così lungo…

Bene, le avrebbe dato quel pezzo di carta, se era importante, e le avrebbe riferito ciò che suo padre le aveva detto a proposito delle gemelle.

2.

LA BREVE VITA DI BABY JENKS E LA BANDA DELLA ZANNA

Qui si serve Il Burger del Delitto. Non devi attendere Alle porte del Paradiso La Morte azima. Puoi morire Proprio in questo angolo. Maionese, cipolle, dominazione della carne. Se vuoi mangiarlo Devi nutrirlo. «Ritoma presto.» «Ci puoi contare.»
Stan Rice
da «Texas Suite»
Some Lamb (1975)

Baby Jenks lanciò l’Harley a centodieci orari mentre il vento le agghiacciava le mani bianche e nude. Aveva quattordici anni quando l’estate scorsa avevano fatto di lei una dei Morti, e come «peso morto» era trentotto chili al massimo. Da allora non s’era più pettinata (non era necessario) e le due treccine bionde erano spinte indietro dal vento che le sollevava dalle spalle del giubbotto di pelle nera. Protesa in avanti, con una smorfia sulla boccuccia imbronciata, aveva l’aria cattiva e ingannevolmente graziosa. I grandi occhi azzurri erano vacui.

La musica rock del Vampiro Lestat imperversava nella cuffia, e quindi non sentiva altro che le vibrazioni della gigantesca moto sotto di lei e il folle senso di solitudine che l’aveva assalita da quando era partita da Gun Barrel City, cinque notti prima. E c’era un sogno che la perseguitava, un sogno che ritornava ogni notte prima che aprisse gli occhi.

Nel sogno vedeva le gemelle dai capelli rossi, le due belle signore, e allora tutte le cose terribili si allontanavano. No, non le piaceva affatto, e si sentiva sola, così sola da impazzire.

La Banda delle Zanne non l’aveva attesa a sud di Dallas come aveva promesso. Lei aveva aspettato per due notti accanto al cimitero, e poi aveva capito che c’era qualcosa che non andava, non andava assolutamente. Non sarebbero mai partiti per la California senza di lei. Forse erano andati a vedere il vampiro Lestat nello spettacolo a San Francisco, ma avevano ancora molto tempo a disposizione. No, c’era qualcosa che non andava. Lo sapeva.

Anche quando era viva, Baby Jenks aveva sempre saputo intuirle, certe cose. Adesso che era Morta, le percepiva dieci volte più di prima. Sapeva che la Banda delle Zanne era nei guai. Killer e Davis non l’avrebbero mai scaricata. Killer diceva di amarla. Perché diavolo, se no, l’avrebbe iniziata, se non l’avesse amata? A Detroit sarebbe morta se non fosse stato per Killer.

Stava morendo dissanguata; il dottore aveva fatto quel che doveva fare, il bambino non c’era più, ma sarebbe morta anche lei perché il dottore aveva sbagliato qualcosa, ed era così fatta d’eroina che non le importava niente. E poi era successa quella cosa strana. S’era trovata ad aleggiare su, fino al soffitto, e a guardare il suo corpo dall’alto. E non era neppure per effetto delle droghe. Le sembrava che stessero per accadere tante altre cose.

Ma laggiù era entrato Killer, e lei da lassù, da dove stava fluttuando, Baby Jenks aveva potuto vedere che era un Morto. Naturalmente non sapeva come si definiva, allora. Sapeva soltanto che non era vivo. Sembrava piuttosto normale. Jeans neri, capelli neri, occhi neri profondissimi. Aveva la scritta «Fang Gang», Banda delle Zanne, sul giubbotto di pelle. S’era seduto sul bordo del letto, accanto al corpo di Baby Jenks, e s’era chinato.

«Come sei carina, bimba», aveva detto. Era la stessa cosa che le aveva detto il magnaccia quando le aveva fatto intrecciare i capelli e mettere i fermaglietti di plastica, prima di mandarla a battere per le strade.

E poi, whooom! Era ritornata nel suo corpo, si era sentita pervasa da una sensazione calda e più piacevole della droga e lo aveva sentito dire: «Non morirai, Baby Jenks, non morirai mai più!» Gli teneva affondati i denti nello stramaledetto collo, e cribbio, era un paradiso!

Ma cos’era quella storia che non sarebbe mai morta? Adesso non era tanto sicura.

Prima di lasciare Dallas e di rinunciare ad attendere la Banda delle Zanne, aveva visto la casa della congrega, in Swiss Avenue, bruciata e ridotta in cenere. Tutti i vetri delle finestre erano scoppiati. Era accaduto lo stesso a Oklahoma City. Cosa diavolo era successo a tutti i Morti in quelle case? Ed erano i succhiatori di sangue delle grandi città, per giunta, quelli furbi che si facevano chiamare vampiri.

Come aveva riso quando Killer e Davis le avevano detto… quando le avevano raccontato che quei Morti andavano in giro in abiti con il panciotto e ascoltavano musica classica e si facevano chiamare vampiri. Baby Jenks sarebbe morta dal gran ridere. Anche Davis lo trovava molto ridicolo, ma Killer aveva continuato a metterla in guardia, raccomandandole di star lontana da loro.

Killer e Davis, e Tim e Russ l’avevano fatta passare davanti alla casa della congrega in Swiss Avenue poco prima che li lasciasse per andare a Gun Barrel City.

«Devi sapere dov’è», aveva detto Davis. «E poi devi starci lontana.»

Le avevano mostrato le case delle congreghe in tutte le grandi città dove andavano. Ma era stato quando le avevano mostrato la prima, a St. Louis, che le avevano raccontato tutta la storia.