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Ma non era solo questo: era tutto ciò che sua madre aveva fatto, a disgustare Baby Jenks. Andava in chiesa, e questo era già abbastanza orrendo, ma poi parlava con la gente con tanta dolcezza e sopportava le sbronze del marito e inoltre sapeva dire sempre qualcosa di carino su tutti.

Baby Jenks non aveva mai creduto una parola. Se ne stava sdraiata sulla cuccetta della roulotte e si chiedeva: Cosa la fa funzionare veramente? Quando scoppierà come un candelotto di dinamite? Oppure è troppo stupida? Sua madre aveva smesso di guardarla negli occhi diversi anni prima. Quando Baby Jenks aveva dodici anni, era entrata e aveva detto: «Sai che l’ho fatto, vero? Spero che non penserai che sono vergine!» E sua madre aveva preso quell’atteggiamento svanito e aveva girato gli occhi vuoti e stupidi mettendosi a lavorare e canticchiando come sempre quando faceva quelle croci di conchiglie.

Una volta un tale d’una grande città aveva detto a sua madre che era una vera artista popolare. «Ti prendono in giro», aveva detto Baby Jenks. «Non lo sapevi? Non hanno comprato neanche una di quelle schifezze, vero? Sai cosa mi sembrano? Te lo dico io: mi sembrano orecchini da grande magazzino!» Sua madre non discuteva. Porgeva l’altra guancia. «Vuoi la cena, cara?»

Era un caso aperto e chiuso, pensava Baby Jenks. Perciò aveva lasciato Dallas molto presto ed era arrivata a Cedar Creek Lake in meno di un’ora. C’era il cartello che indicava la sua dolce, piccola città natale.

BENVENUTI A GUN BARREL CITY
CON VOI SPARIAMO DIRITTO

Quando era arrivata, aveva nascosto la Harley dietro la roulotte. In casa non c’era nessuno. S’era sdraiata per fare un sonnellino, mentre Lestat cantava nella cuffia, il ferro a vapore a portata di mano: quando sua madre fosse entrata, slam bam, tante grazie signora, e l’avrebbe fatta fuori con quello.

Poi c’era stato il sogno. Non era ancora addormentata quando era incominciato. La voce di Lestat s’era affievolita, il sogno l’aveva stordita e… snap!

Si trovava in un posto pieno di sole. Una radura sul fianco della montagna. E c’erano le gemelle, belle donne dai capelli rossi ondulati, che stavano inginocchiate come angeli in chiesa, a mani giunte. Intorno c’era tanta gente, tutti con le vesti lunghe come nella Bibbia. E poi c’era anche la musica, un ritmo ossessivo e il suono di un corno, molto lugubre. Ma la cosa più orrenda era il corpo morto, bruciato della donna sulla lastra di pietra. Sembrava arrostita. E sui piatti c’erano un grosso cuore lucente e un cervello. Sì, sicuro: un cuore e un cervello.

Baby Jenks s’era svegliata, impaurita. Al diavolo. Sua madre era ferma sulla soglia. Baby Jenks era balzata in piedi e l’aveva colpita con il ferro a vapore fino a che aveva smesso di muoversi. Botte in testa. Avrebbe dovuto essere morta, ma non lo era. E poi era venuto il momento pazzesco.

Sua madre era stesa sul pavimento, mezzo morta, a occhi sbarrati, come poi sarebbe successo a suo padre. E Baby Jenks era sulla sedia, con una gamba accavallata sul bracciolo, si appoggiava sul gomito o rigirava una treccia e aspettava e pensava alle gemelle del sogno e al corpo e ai piatti, che senso aveva? Ma soprattutto aspettava. Muori, stupida, avanti, muori, non ti darò un’altra botta in testa.

Ancora adesso Baby Jenks non sapeva con sicurezza cosa fosse accaduto. Era come se i pensieri di sua madre fossero cambiati, fossero ingigantiti. Forse stava salendo verso il soffitto come era successo a Baby Jenks quando era stata sul punto di morire prima che Killer la salvasse. Ma qualunque fosse la causa, i pensieri erano sorprendenti. Davvero sorprendenti. Come se sua madre sapesse tutto! Tutto del bene e del male e dell’importanza dell’amore, del vero amore, e del fatto che c’era molto di più delle solite regole, non bere, non fumare, prega Gesù. Non erano i discorsi dei predicatori. Era qualcosa di gigantesco.

Stesa sul pavimento, sua madre aveva pensato che la mancanza d’amore in Baby Jenks era stata terribile, come un gene difettoso che l’avesse resa storpia e cieca. Ma non aveva importanza. Tutto sarebbe andato per il meglio. Baby Jenks si sarebbe distaccata da ciò che stava succedendo, come aveva fatto prima che Killer la raggiungesse, e allora sarebbe venuta la comprensione di tutto. Cosa diavolo significava? Tutto, intorno a noi, faceva parte di qualcosa d’immenso, le fibre del tappeto, le foglie fuori dalla finestra, l’acqua che sgocciolava nel lavello, le nubi che passavano sopra il Cedar Creek Lake e gli alberi spogli, e non erano veramente brutti come aveva pensato Baby Jenks. No, all’improvviso tutto era quasi troppo bello per descriverlo. È la madre di Baby Jenks l’aveva sempre saputo! L’aveva sempre visto così. Sua madre perdonava tutto a Baby Jenks. Povera Baby Jenks. Lei non sapeva. Non sapeva dell’erba verde. O delle conchigliette che brillavano nella luce della lampada.

Poi la madre di Baby Jenks era morta. Grazie a Dio! Basta! Ma Baby Jenks aveva pianto. Poi aveva portato il cadavere fuori dalla roulotte e l’aveva sepolto, a grande profondità, e aveva pensato che era davvero bello essere una dei Morti, così forte da poter sollevare quelle badilate di terra.

Poi era venuto a casa suo padre. Quello era stato davvero divertente! L’aveva seppellito ancora vivo. Non avrebbe mai dimenticato la sua faccia quand’era entrato e l’aveva vista con l’accetta da pompiere. «Be’, guarda Lizzie Borden.»

Chi diavolo era Lizzie Borden?

Era così sicuro di sé, con il mento proteso e il pugno che scattava verso di lei. «Troietta!» Baby Jenks gli aveva spaccato la fronte. Sì, quello era stato magnifico, sentire il cranio che si spezzava… «Crepa, bastardo!» ed era stato magnifico anche spalargli la terra sulla faccia mentre la guardava ancora. Era paralizzato e non poteva muoversi, e pensava d’essere di nuovo bambino in una fattoria del New Mexico. Pensieri infantili. Figlio di puttana, ho sempre saputo che avevi la merda al posto del cervello, e adesso sento l’odore!

Ma perché diavolo era andata laggiù? Perché aveva abbandonato la Banda delle Zanne?

Se non li avesse lasciati, adesso sarebbe stata con loro a San Francisco, con Killer e Davis, in attesa di vedere Lestat sul palcoscenico. Forse sarebbero andati nel bar dei vampiri, o qualcosa del genere. Almeno, se ci fossero arrivati. Se non ci fosse stato qualcosa che non andava.

E adesso cosa diavolo faceva? Perché tornava indietro? Forse avrebbe dovuto proseguire verso ovest. Due notti: non restava di più.

Diavolo, magari avrebbe preso una stanza in un motel, al momento del concerto, e l’avrebbe seguito alla tv. Ma prima doveva trovare qualche Morto a St. Louis. Non poteva proseguire sola.

Come poteva trovare il Central West End? Dov’era?

Quel viale le sembrava familiare. Procedeva adagio e si augurava che nessun poliziotto ficcanaso la seguisse. L’avrebbe seminato, naturalmente, lo faceva sempre anche se sognava di beccare uno di quei figli di puttana su una strada solitària. Ma il fatto era che non voleva essere costretta a fuggire da St. Louis.

Ecco, le sembrava di conoscere quel posto. Sì, era il Central West End o come lo chiamavano. Svoltò a destra e percorse una vecchia strada con i grandi alberi frondosi. Le ricordavano di nuovo sua madre, l’erba verde, le nuvole. Un piccolo singhiozzo soffocato nella gola.

Se almeno non si fosse sentita così maledettamente sola! Ma poi vide il cancello. Sì, quella era la strada. Killer le aveva detto che i Morti non dimenticano mai nulla, che il suo cervello era come un piccolo computer. Forse era vero. C’era il cancello, due grandi battenti di ferro, aperti e coperti d’edera verdescura. Forse non lo chiudevano mai.