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— Nessuna delle due. Almeno finché non sarà tutto finito.

— E tu farai partorire la ragazza qui, sul pavimento della fabbrica?

— Certamente no. Non partorirà ancora per qualche ora. — Le mani di Jackson tastarono delicatamente il ventre e scoprirono che il bambino era podalico.

Il Cambiamento, rifletté lui tristemente, non aveva mutato alcuni aspetti chiave dell’evoluzione umana. Il canale di nascita era ancora molto più stretto della testa di un bambino e la cervice era ancora adatta solo per un parto a testa in avanti. Lizzie, alla prima gravidanza, era soltanto all’ottavo mese.

Tuttavia, sarebbe potuta andare peggio. Il dermalizzatore fetale di Jackson mostrava una posizione podalica accettabile, prima le natiche, le anche flesse, le ginocchia estese, i piedi accanto alle spalle, piuttosto che quella più pericolosa, la podalica completa, a piedi in avanti. La testa era flessa in avanti, ruotabile nella regione inferiore. Il feto, un maschietto, pesava approssimativamente 2.800 grammi, il battito cardiaco era costante a 160, lo sviluppo normale. Il cordone ombelicale non mostrava prolassi e la placenta non era rovesciata: sarebbe uscita tranquillamente dopo la nascita che, Jackson stimò, sarebbe avvenuta nel giro di qualche ora. Lizzie, tuttavia, aveva già una dilatazione di cinque centimetri. Era a metà strada.

Sarebbe potuta andare molto peggio.

— Lizzie — disse Jackson. — Adesso ti prenderò in braccio. Ti porteremo in un posto più confortevole.

— Che sarebbe? — chiese Cazie. — Non avrai intenzione di portarla… di portarle all’enclave, eh?

Lizzie disse, senza alcuna ansia: — Voglio tornare a casa. — Non sembrava una futura madre: appariva soltanto come una ragazzina sorridente e mezzo addormentata. Jackson sospirò.

— Benissimo. Ti porteremo a casa. Ma, Lizzie, ascoltami, io resterò con te. Il bambino è capovolto, mi capisci? Dovrò restare con te per farlo ruotare al momento giusto.

La ragazzina sollevò lo sguardo su di lui. Negli occhi neri e drogati, Jackson vide sbalordito un lampo di sollievo coerente. Si era aspettato che protestasse, anche se debolmente, all’idea che un medico Mulo si occupasse di lei. Non era cresciuta con le unità mediche, quando i politici ne avevano fornite? Forse, però, Lizzie era diversa dalla maggior parte dei Vivi per quella Vicki Turner. Oppure, forse, Jackson non conosceva i Vivi quanto aveva pensato.

Cazie domandò: — Hai intenzione di entrare in un accampamento di Vivi soltanto con una pistola? Accompagnando una criminale che, puoi giurarci, io farò arrestare?

Jackson si alzò, sollevando Lizzie fra le braccia. La ragazza era in grado di camminare, ma metterla in posizione eretta avrebbe accelerato il parto. Lui non voleva affrontare un parto podalico, seppure semplice, in un’aeromobile. Affrontò Cazie. — Sì. È proprio quello che farò. Tu puoi venire con me o no. A te la scelta.

Cazie esitò. In quel momento di esitazione Jackson provò un impeto di speranza. C’era forse del vero rispetto nel suo sguardo? Per lui? Qualsiasi cosa fosse, svanì.

— È un’aeromobile per due, Jack.

Se n’era dimenticato. — Benissimo, porterò tutt’e due all’accampamento: in tre possiamo anche stringerci nell’aeromobile. Tu resterai qui e ne chiamerai un’altra.

— Io chiamerò i poliziotti, ecco cosa farò.

— Benissimo. Chiama i poliziotti. Possono venire anche loro all’accampamento. Faremo una bella festicciola.

Portò Lizzie attraverso lo stabilimento, dove ormai tutto era immobile se si eccettuava il singolo muletto che Lizzie aveva riprogrammato, che continuava a sollevare il nulla: aveva ripreso a lavorare perché Lizzie aveva commesso un errore? Forse non era poi un pirata informatico bravo come sosteneva Vicki. Oppure il segnale di Cazie dall’aeromobile aveva fatto partire una specie di interferenza o di codice di sovrapposizione. Jackson non sapeva abbastanza di sistemi industriali per tirare a indovinare. Alle sue spalle sentì Cazie parlare in linea. — Emergenza, polizia, codice 655, maledizione, Robert, rispondi.

Vicki si sedette sul sedile del passeggero cullando Lizzie in grembo. Due donne mezze nude con gli abiti stracciati, bagnate dalle acque di Lizzie, coi capelli appiccicosi, che puzzavano di sangue, sudore, sporcizia e liquido amniotico. L’aeromobile era molto stretta.

Vicki aveva una tendenza irritante a cogliere i suoi pensieri. Mentre l’aeromobile decollava chiese: — E quando è stata l’ultima volta che hai giocato al dottore con i Vivi, dottore?

Lui non rispose. L’aeromobile volò attraverso il passaggio che aprì nello scudo di sicurezza. Lizzie disse sognante: — Ne arriva un’altra. È così strano, sento ma non…

Jackson guardò la consolle dell’aeromobile. L’intervallo fra le contrazioni si era accorciato: dieci minuti. Così "in fretta". Accelerò. — Vola a ovest — indicò Vicki. — Seguì quel fiume.

"L’accampamento" si rivelò essere una fabbrica abbandonata per la lavorazione della soia. Soltanto i Vivi avevano mangiato soia: ormai non lo faceva più nessuno e tutte le ditte produttrici di soia erano andate in bancarotta. L’edificio era dotato di finestre e costituito da cemespugna grigia, malridotto e rappezzato in qualche modo. Tutto attorno si estendevano campi che venivano riconquistati da erbacce, cespugli, arbusti di acero e sicomoro. I rami sparuti erano spogli. Jackson aveva dimenticato quanto fosse orribile la natura non modificata geneticamente a novembre, in particolare su quelle alte colline, basse montagne, o qualsiasi cosa fossero.

Fece atterrare l’aeromobile davanti alla porta principale dell’edificio che era caduta, o era stata divelta, dai cardini, e poi riattaccata goffamente con del filo di ferro. All’interno, Jackson lo sapeva perfettamente, i macchinari dovevano essere stati rimossi da lungo tempo per usarne le parti, oppure depredati durante le Guerre del Cambiamento, oppure ancora vandalizzati. Non c’era nulla di più inutile, ormai, dell’agricoltura su vasta scala.

Nel momento stesso in cui l’aeromobile atterrò, furono circondati. L’orda sembrava proprio un’orda, anche se Jackson contò soltanto undici persone, spinse i volti contro i finestrini, sogghignando. Vestiti con abiti più caldi di quelli di Vicki e Lizzie, avevano comunque un aspetto primitivo: vecchie tute sintetiche dai colori sgargianti indossate sopra o sotto tuniche tessute; volti non modificati geneticamente col mento sfuggente, le sopracciglia attaccate, la fronte troppo bassa, gli occhi storti. A un uomo più anziano mancava addirittura un incisivo. E quello spettacolo dopo il Cambiamento! Che aspetto avevano quelle persone prima dell’avvento del Depuratore Cellulare?

— Lizzie!

— Sono Lizzie e Vicki!

— Sono tornate, loro.

— Lizzie e Vicki…

— Apri la portiera, Jackson — disse Vicki. Come aveva fatto a diventare lei quella che comandava?

L’orda minacciò di introdursi direttamente nell’aeromobile. Vicki passò fuori Lizzie: la ragazzina sorrise, mezzo drogata, mentre il pancione quasi completamente nudo si irrigidiva in una nuova contrazione. Jackson scese dall’altra parte. Un giovanotto, grande, grosso, forte, lo fissò con espressione truce. Un ragazzetto lo guardò male e serrò i pugni.

Vicki intervenne: — È un medico. Lascialo in pace, Scott. Shockey, tu prendi Lizzie. Portala con attenzione: è in travaglio.

— Non me ne frega niente a me se lui è un dottore — disse il ragazzo. — Perché mai hai portato qui uno di "quelli", Vicki? E dove sono i coni, loro?

— Perché Lizzie ha bisogno di lui. Non abbiamo preso nessun cono.

La folla produsse un rumore sub-verbale che Jackson non riuscì a interpretare.

L’interno dell’edificio era buio. Jackson si rese conto che le luci non funzionavano più e che l’unica illuminazione proveniva dalle finestre di plastica. Gli occorse qualche minuto per adeguare la vista all’oscurità. La stanza era grande, anche se meno dello stabilimento di Willoughby. Tre lati del perimetro erano divisi in loculi schermati da scaffali, vecchi mobili, sezioni di cemespugna rotta, macchinari inutilizzabili e sventrati, tronchi. In ogni loculo c’erano pagliericci di fortuna e oggetti personali. Attraverso la finestra a sud, Jackson scorse un tendone di plastica trasparente e flessibile, probabilmente rubato, teso a un metro e mezzo di altezza sopra il terreno sfruttato: un campo di alimentazione all’aperto.