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Arrivata all’ascensore che portava sul tetto, con le braccia cariche di vestiti di Jackson, costosi e dal taglio perfetto, Theresa esitò. Era difficile uscire. Così tante cose nuove… e se le fosse venuto un attacco? Forse, se prima avesse guardato un concerto di Drew Arlen, quello per affrontare i rischi…

Drew Arlen, il Sognatore Lucido. C’era stato un periodo, lungo svariati mesi, durante il quale Theresa aveva guardato un concerto di Arlen due o tre volte al giorno. Aveva lasciato che Arlen la ipnotizzasse, con le sue forme grafiche subliminali e programmate che afferravano la mente inconscia, portandola a un diverso tipo di sogno: un sogno profondo, personale, creato dall’arte di Drew tramite ipnosi di massa e simboli universali cui lui aveva facile accesso. Il sogno diveniva tutto quello che l’ascoltatore desiderava che fosse, aveva bisogno che fosse, e il sognatore si svegliava più libero e più forte. Come con una qualsiasi droga temporanea.

No. "Oggi no." Non avrebbe guardato un concerto di Drew Arlen, né lo avrebbe utilizzato come un qualsiasi altro neurofarmaco. Avrebbe agito da sola. Poteva farlo. Quello era il gran giorno.

— Buon giorno, signorina Aranow — disse l’ascensore.

Lei si lasciò ingoiare dalla cabina.

— Perché lo stai facendo, tu?

— Io volevo… Vi ho visti al notiziario. Il vostro… i tentativi che state portando avanti… — Theresa trasse un profondo respiro. L’uomo non era alto ma era grosso, aveva la barba, era bruciato dal sole e la guardava con espressione truce. Le stava troppo vicino. Erano in tre, due uomini e una donna, erano corsi all’aeromobile non appena essa era atterrata a una rispettosa distanza dal loro edificio. Il cuore le batteva all’impazzata, il respiro le si bloccava in gola e non voleva uscire. Oh, non adesso, non "adesso". Respirò a fondo. L’aria all’esterno era più fredda di quanto non si fosse aspettata e più grigia. Tutto lì fuori, aria, alberi, facce, pareva freddo, grigio e duro.

Theresa si rivolse alla donna. Forse con una donna sarebbe stato più facile. — So che state cercando di trovare… di fare… il notiziario diceva che era un "esperimento spirituale". — Ciò che il notiziario aveva detto, in effetti, era stato "un esperimento semispirituale che si riferiva a un’allucinazione umana del tutto irrilevante".

Il volto del secondo uomo si addolcì. Era più giovane, forse dell’età di Theresa, più magro, senza barba. — Sei interessata, tu, a quello che facciamo?

— Non farti prendere in giro, Josh — fece tagliente la donna. — È un Mulo, lei!

— Vediamo un po’ chi è — disse il primo uomo. Tirò fuori dalla tasca un’unità mobile: ma i Vivi allora ne avevano? — Attivare. Controllo ID. Numero aeromobile 475-9886 — seguito dai codici di autorizzazione. Ma come faceva a conoscerli?

Il terminale annunciò: — Aeromobile registrata sotto il nome di Jackson William Aranow. Enclave Manhattan Est. — Aggiunse numero di cittadinanza e indirizzo. Theresa non sapeva che fossero pubblici.

— Io sono Theresa Aranow, la sorella di Jackson. — Cercò di respirare normalmente.

— E ci hai portato dei rifornimenti, tu — disse la donna. — Per pura e semplice bontà d’animo.

— Sì — sussurrò Theresa. — Voglio dire, no, non penso di essere… così buona…

— Ma ti senti bene, tu? — chiese quello più giovane, Josh. Theresa si appoggiò all’aeromobile e lui le toccò un braccio. Lei si contrasse.

— Io… sì. Sto bene.

— Josh, scarica i rifornimenti, tu — ordinò l’altro uomo. — Possiamo anche tenerceli.

Theresa si costrinse a respirare normalmente. Era arrivata fino a quel punto. — Potrei… per favore, vedere quello che state facendo qui? Non in cambio dei rifornimenti, ma solo perché mi interessa?

La donna ribatté: — Non abbiamo nessun bisogno di spie, noi — nello stesso momento in cui Josh diceva: — Ti interessa davvero? Il legame?

— Chiudi il becco! — schioccò la donna.

I due si lanciarono un’occhiataccia. Theresa non ricordava di aver sentito nulla al notiziario che riguardasse un "legame". Rabbrividì per un’improvvisa folata di vento. Era molto freddo.

L’uomo più anziano prese repentinamente una decisione. — Può sapere, lei. È il momento che la gente sappia. Noi facciamo quello che è giusto, noi, e funziona e noi lo sappiamo. Dovremmo spargere in giro la voce, noi.

— Mike… — cominciò la donna con voce infuriata.

— No, è il momento. E se un Mulo è davvero interessato, lei… — Osservò Theresa, esaminandola attentamente.

— Io dico di no, io — ripeté la donna.

— Io dico di sì, io — ribatté Josh. — Patty, prendi qualche cono.

Patty li afferrò sgraziatamente. Theresa prese alcuni abiti di Jackson dall’auto e si incamminò con Josh verso l’edificio, cercando di stare il più lontano possibile da Patty e Mike.

L’edificio era un immenso rettangolo basso e privo di finestre. Forse un tempo era stato una specie di deposito. Non la portarono all’interno. Si infilarono dentro soltanto loro, uno alla volta, per lasciare il carico di coni e il vestiario. Poi la condussero sul retro dell’edificio. Li seguirono parecchie altre persone, finché non si fu radunata una piccola folla.

Dietro l’edificio, una tenda di plastica trasparente si stendeva su un terreno smosso. La tenda, sostenuta al centro da pali sottili alti un metro e venti, cadeva rapidamente sui lati ed era fissata a terra con picchetti provvisori. All’interno c’era un cono a energia-Y, un’area di alimentazione e sei persone nude, divise in due gruppetti di tre.

— Vedi? — spiegò Josh con una certa grazia. — Sono gruppi legati, loro. Si alimentano in armonia. Quelli, sei mesi fa, erano nemici, loro.

— Non nemici — corresse Patty tagliente.

— Nemmeno amici — ribatté Josh. — Abbiamo avuto un sacco di lotte, noi. Come la maggior parte delle tribù. Abbiamo rischiato di disperderci, noi, di andarcene via da soli, di essere isolati.

— Il che vuol dire che stavamo negando la nostra umanità, noi — precisò Mike. — Gli umani sono fatti per stare insieme. Isolati, non siamo completi.

— Oh — fece Theresa. Forse aveva ragione quel Vivo sano ma dall’aspetto lacero? Era quello il motivo per cui la sua vita era sembrata così vuota, per cui lei si era isolata? Si sentì pervadere dalla delusione. Le sembrò troppo semplice, troppo facile. Tutti quei mistici eremiti e isolati di cui aveva letto nella biblioteca, che avevano avuto visioni e avevano sofferto per la verità, avevano avuto bisogno di ben altro che non di semplice compagnia! Cercò qualcosa da dire che non offendesse i suoi ospiti.

— Come avete posto fine alle lotte e… siete divenuti così uniti?

— Il legame! — disse trionfante Josh. — Ci è stato dato da Madre Miranda, lei, e noi l’abbiamo preso e adesso guarda!

— Madre Miranda? — chiese Theresa. — Siete gli stessi che chiedono che Miranda Sharifi sviluppi un farmaco dell’immortalità?

— No — rispose Mike. — Noi non chiediamo, noi, per niente. Non chiediamo niente. Però abbiamo preso il dono, noi, quando lo abbiamo trovato.

"Il dono." — Quale dono?

Fu Josh a risponderle, con voce fervente. — All’inizio abbiamo pensato che erano altre siringhe del Cambiamento, noi. Ma le nuove siringhe erano rosse, non nere, e c’era anche un ologramma da vedere sul terminale. C’era Miranda Sharifi che ci diceva, lei, che quello era un dono che cominciava a dare a noi e che poi avrebbe dato a tutti gli altri. Il dono del legame, per bilanciare l’isolamento provocato dal Cambiamento!