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Cazie intervenne: — Tess, tesoro, non sei onesta con Jack. Lui voleva soltanto…

— So quello che voleva soltanto — ribatté Theresa e, in qualche modo, li lasciò lì, Jackson colpito e Cazie mesta. Barcollò fino alla sua stanza, camminava in modo così incerto e le braccia e le gambe le formicolavano tanto che pensò che potessero cedere.

Quanto meno, però, erano sue.

L’edificio era posto sul fianco di una montagna, nella zona alta delle Adirondacks. Theresa atterrò con l’aeromobile, che volava ovviamente in automatico, su una striscia artificialmente piatta di terreno nanolastricato che immaginò fosse un parcheggio, anche se non c’erano altri veicoli. Restò a lungo al freddo, guardando semplicemente l’edificio delle Sorelle del Cielo Misericordioso.

Il convento, non di cemespugna ma costruito in pietra vera, si fondeva con la montagna. Roccia grigia, ricoperta qua e là di viticci avvizziti accompagnati alla vegetazione avvizzita d’inverno che cresceva angolata rispetto al terreno scosceso. Era il primo edificio di Muli che Theresa ricordava di avere mai visto, perfino nei notiziari, che non risultava avvolto nella bolla debolmente scintillante di uno scudo a energia-Y. C’era soltanto neve, ammassata dalla corrente. Un po’ di vento sollevò la leggera neve polverosa attorno alle gambe di Theresa, e lei rabbrividì. Si incamminò verso la porta.

Le venne aperta da una donna di mezza età, non da un sistema di sicurezza o da un robot. Una donna (una sorella?) con una tunica grigia e diritta che sembrava di cotone. "Cotone." Tessuto consumabile. Quella vista aiutò Theresa a superare la ritrosia che provava solitamente per gli estranei. Serrò strette le mani e si costrinse a non indietreggiare.

— Io sono… Theresa Aranow. Ho chiamato…

— Entri pure, signorina Aranow. Io sono Sorella Anne. — Le sorrise, ma Theresa non riuscì a ricambiare il sorriso. Sentiva il volto troppo teso. — Sono io quella con cui lei ha parlato in linea. Mi segua dove potremo chiacchierare un po’.

Condusse Theresa attraverso un oscuro atrio in pietra e aprì una pesante porta di legno. Si sentirono dei suoni.

— Oh! Che… che cos’è?

— Sono le sorelle che cantano i vespri.

Theresa si fermò, stupefatta. Non aveva mai sentito cantare in quel modo. Nemmeno da un sistema sonoro, mai. Un glorioso scroscio di suoni, privo di strumenti: soltanto voci umane, ognuna modificata geneticamente per aumentarne l’abilità musicale, che si alzavano in fervente ardore. Non riusciva a distinguere le parole, ma le parole non importavano, era la passione che contava. Una passione per qualcosa di invisibile ma… ma sentito. Una passione…

Sorella Anne le disse gentilmente: — Ha detto in linea che non è stata allevata come cattolica. Aveva mai sentito cantare i vespri?

— Mai!

— Be’, nemmeno la maggior parte dei Cattolici. O di quelli che adesso passano per Cattolici. Venga qui, dove possiamo parlare.

Theresa la seguì in una piccola stanza dalle pareti bianche, arredata soltanto con una scrivania, un terminale e tre sedie. Sedie di legno. Lei esclamò subito: — Ma voi non siete Cambiate. Nessuna di voi.

— No — rispose Sorella Anne sorridendo. — Dobbiamo mangiare, bere e dipendere dai nostri sforzi e dalla grazia di Lui per il nostro pane quotidiano.

— È… è… — Stava tremando. Tuttavia riuscì a fare uscire le parole perché per lei erano importanti. — È una disciplina spirituale?

— Lo è. Signorina Aranow, cominci a raccontarmi perché si trova qui.

— Perché mi trovo qui. — Theresa guardò la suora. Aveva fatto effettuare a Thomas una ricerca. Sorella Anne aveva cinquantuno anni ed era entrata in quell’ordine di semiclausura a diciassette: era una delle ultime ottocentoquarantanove Sorelle del Cielo Misericordioso rimaste al mondo. Nata col nome di Anne Granville Hart a Wichita nel Kansas, aveva ereditato tre milioni di dollari da sua madre, cofondatrice di un marchio di prodotti di panetteria, le Madeleine di Proust. Gli interi tre milioni erano stati donati all’ordine. Perché Anne Grenville Hart si trovava lì? Theresa non poteva chiedere una cosa simile. Obbedientemente, cercò di rispondere alla domanda della sorella, sapendo ancor prima di cominciare che la risposta sarebbe risultata inadeguata, che non avrebbe spiegato realmente tutto quello per cui Theresa non riusciva mai a trovare le parole, comunque.

— Sono qui perché io… io sono alla ricerca di qualcosa. — Aspettò che le venisse chiesto di che cosa: la domanda senza risposta avrebbe portato soltanto a balbettii, a parole confuse e a sguardi perplessi della sorella che si sarebbe spazientita sempre più, finché Theresa non fosse caduta in un silenzio privo di speranza.

Sorella Anne, però, disse: — E lei ha cercato in tutti gli altri posti che le sono venuti in mente, non è riuscita a trovarlo, e così ha tentato qui, presa dalla disperazione. Anche se non riesce nemmeno a definire quello che sta cercando e ha paura che non corrisponda affatto alla visione cattolica di Dio.

— Sì — ansimò Theresa. — Come… come faceva a saperlo?

— Non è la prima a venire da noi — rispose Sorella Anne, serenamente. — E non sarà l’ultima. Penso tuttavia che lei potrebbe essere diversa dalla maggior parte delle altre. Signorina Aranow, perché non è Cambiata?

— Non posso

— Non può? Vuole dire che esiste un qualche impedimento fisico?

— No, no. Voglio dire che io semplicemente… non posso.

— Ha paura di rendere la sua vita troppo automatica. Lei ritiene che nel bisogno fisico abbia inizio la ricerca spirituale, le sue radici e la sua fonte.

— Sì! — esclamò sbalordita Theresa. — Oh, sì! Soltanto…

— Soltanto che cosa, signorina Aranow? — Sorella Anne si sporse in avanti sulla sedia, una sedia di legno naturale ben stagionato che il suo corpo nonCambiato non avrebbe consumato una molecola dopo l’altra, finché la parte solida non si fosse trasformata nello scheletro vuoto di se stessa. La sedia di Sorella Anne sarebbe rimasta una sedia. L’espressione di Sorella Anne era calda come quella di Jackson e Cazie ma in qualche modo diversa, non… non che cosa? Non carica di attenzioni per Theresa, non impietosita, non accondiscendente. Sorella Anne non pensava che Theresa Aranow fosse una debole o una pazza.

Le parole presero a sgorgarle fuori. Guardando quel volto calmo e comprensivo, la paura degli estranei di Theresa scomparve, non si sa come, e le parole si riversarono all’esterno, come un’ondata di marea, irrefrenabili.

— Ho sempre voluto qualcosa, cercato qualcosa, per tutta la vita, soltanto che non ho la minima idea di cosa sia! E nessun altro ha dato l’impressione di avere un tale bisogno o anche solo di capire quello di cui parlavo, perfino persone buone che io so essere buone. Persone che amo. Mi guardano come se fossi pazza. A dire il vero, sono pazza. Sono depressa, soffro di agorafobia e sono fortemente inibita a livello neurologico. Non ho lasciato l’appartamento per oltre un anno, eccetto una volta, e anche in quell’occasione… Nessun altro prova quello che provo io. Voglio che ci sia qualcosa… di grande. Di più grande di me. Qualcosa nell’universo a cui aggrapparsi, che dia alla mia vita un qualche tipo di significato. Ho mentito, sa, confermando che sono nonCambiata perché non voglio che le cose siano troppo automatiche. Sono automatiche, per me. Sono ricca e ho un fratello che mi ama, che si pone fra me e il mondo e non ho mai bisogno di preoccuparmi o di lottare per nulla, certo non per avere il pane quotidiano, che mi viene inviato, cucinato e servito da robot che… mentre la maggior parte delle persone in questo paese è lì fuori senza sicurezza, coni a energia-Y o cure mediche per i bambini che sono nati senza siringhe del Cambiamento. Non che io pensi che il Cambiamento sia un bene, è che sono confusa sul Cambiamento. Lo so. Ma il motivo per cui sono sempre stata diversa è che voglio qualcosa che nessuno può avere. Jackson dice che non può averlo nessuno perché non esiste. Io voglio la verità! Una verità che sia reale e solida e che si possa usare per capire come vivere la propria vita e che cosa significa la vita. Oh, so che non esiste questo genere di verità assoluta e che è stupido e infantile andarla a cercare, ma io "l’ho fatto". Quanto meno ci ho provato. Mi sono fatta aiutare da Thomas per le ricerche sul cristianesimo, lo zen, lo yagaismo, l’induismo e il Testo del Cambiamento Scientifico. Non sono particolarmente intelligente, Sorella, forse è andato storto qualcosa durante la mia fertilizzazione in vitro, e forse non capisco molto di quello che Thomas mi ha riportato. Però ci ho provato. E mi sembra che tutti quei credo si contraddicano a vicenda, che dicano tutti cose diverse e, in questo caso, come possono essere tutti veri? Inoltre si contraddicono al loro interno, con parti dei loro dogmi che non trovano corrispondenza in altre o che non trovano corrispondenza in quello che io mi vedo attorno, nel mondo, e così come può essere vero "anche uno" di loro? Non lo sono! A questo punto però non mi resta altro che questo struggimento, e nessun altro che conosco sembra provarlo, così finisco col trovarmi tanto sola che penso di morire. Ho pensato seriamente al suicidio, ma che effetti avrebbe su Jackson che si sente già così responsabile per me? Non posso. Non sarebbe giusto. Soltanto… come faccio a sapere che cosa è "giusto" se non riesco a scoprire cosa è vero? Quindi vado avanti a vivere in questo "vuoto" e talvolta il vuoto è così grande e buio e denso che penso di soffocare o di perdermi finché non potrò più essere trovata. Non riesco a trovarmi, voglio dire, soltanto che non è me stessa quello che voglio! È troppo poco trovare solo se stessi!