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— Cazie. Che ci fai alzata così presto?

— Dove sei, Jackson?

— Con amici. Perché?

— La Contea di Willoughby in Pennsylvania ha appena registrato quattromilaquattrocentocinquanta votanti aggiuntivi pochi minuti prima del termine delle iscrizioni. Si tratta di Vivi. È stata poi inoltrata la domanda per far concorrere un terzo candidato per la posizione lasciata vacante da Ellie Lester come supervisore distrettuale.

— Vuoi dire la posizione di Harold Winthrop Wayland? — domandò Jackson.

— Lui era vecchio: era sua nipote a gestire la carica. Potrei aggiungere, con considerevoli vantaggi per la TenTech. Il supervisore distrettuale, come ben sai, fa più che rifornire i depositi, dietro le quinte della sua carica controlla… no, probabilmente non lo sai. Ma, Jackson, la questione è grave. Determinate persone avevano previsto qualcosa di simile, ecco perché ne sono venuta a conoscenza immediatamente. Non si può permettere che questa diventi abitudine. Vivi al potere. Cristo Santo.

— L’iscrizione dei votanti è stata legale, no?

Cazie si passò una mano nei riccioli scuri. — È questo il problema. "È" legale. Ed è troppo tardi per fare iscrivere altri Muli; inoltre non possiamo truccare il programma direttamente, tutti i mezzi di comunicazione si saranno già tuffati sulla notizia. Soltanto perché è uno scoop. Ho chiamato Sue Livingston, Don Serrano e quelli che hanno programmato le loro campagne elettorali, penso che dovresti partecipare anche tu alla riunione. Se non altro perché è implicata anche la TenTech. Sai quanto abbiamo investito in azioni della contea e dello stato, solo per nominare uno degli aspetti della situazione?

— No — rispose lentamente Jackson. — Non lo so.

— Be’, ti aggiornerò io. In condizioni normali ti terrei alla larga dalle questioni politiche della compagnia, ma questa volta… Jackson, tu non hai mai compreso quanto fosse importante il fattore politico. La TenTech "è" connessioni politiche!

— Io pensavo che la TenTech fosse un’impresa che produceva beni di prima necessità.

Cazie sospirò. — Era chiaro. Comunque, la riunione è alle nove di domani mattina a casa mia.

Jackson non disse nulla. Alle sue spalle, il fragore dei festeggiamenti si era affievolito in un felice chiacchierio. Sentì addosso gli occhi di qualcuno, si girò, e vide Vicki a un metro di distanza, che stava origliando senza alcun ritegno.

— Jack? — chiamò l’immagine di Cazie sul piccolo schermo dell’unità mobile.

Vicki disse piano: — Se non le dici che ci hai aiutato, probabilmente non lo scoprirà mai.

— Jack? Ci sei ancora?

Vicki proseguì: — Puoi andare avanti a lavorare per la fazione opposta, proteggendo i tentacoli politici della TenTech. Perdendo… cosa? Pensi che perderesti qualcosa, Jackson?

— Jack!

Jackson sollevò l’unità mobile. Ruotò le lenti in modo che Cazie potesse vedere l’edificio della tribù, poi Vicki, poi ancora lui. — Sono qui, Cazie, a Willoughby. Sì, domani mattina verrò alla riunione per slegare gli interessi della TenTech dai risultati delle elezioni. Ma non certo per cambiare i risultati del voto.

Cazie sbarrò gli occhi. Jackson interruppe la comunicazione prima che lei potesse parlare e istruì l’unità mobile affinché non rispondesse a nessuna chiamata per le successive sei ore. Quindi si rivolse a Vicki. — Però voglio che tu sappia che non sono uno che fa brogli elettorali, ma nemmeno un riformatore politico. Sono un "medico".

— La situazione non richiede un medico — rispose lei.

— E tu non fai altro che trasformarti in quello di cui la situazione ha bisogno? Nessuna scelta personale?

— Proprio così. Sono soltanto un pugno di elementi chimici cerebrali che risponde agli stimoli.

— Non ci credi nemmeno tu — ribatté Jackson.

— No. Non ci credo. E tu, invece? — gli chiese, allontanandosi.

E avendo avuto l’ultima parola, notò lui.

I Vivi erano seduti in file di sedie ammaccate, e ogni tanto interrompevano quanto pianificavano ad alta voce Lizzie, Shockey e Billy Washington. Jackson analizzò i corpi stravaccati, sproporzionati, sgraziati, maleducati, arroganti, rozzi. Vestiti a mala pena di stracci privi di gusto in plastica sgargiante e tela tessuta a mano. Gridavano suggerimenti sciocchi l’uno all’altro motivati soltanto da avidità, aspettative irreali, caparbietà o completa ignoranza della struttura pubblica.

Lasciò la riunione politica e tornò a casa.

PARTE SECONDA

Marzo — Aprile 2121

L’affiliazione richiede limiti di demarcazione: è necessario definire su una qualche base il concetto di "noi", se ci saranno poi obblighi nei confronti di questi "noi"; e non appena esisterà un "noi" ci sarà un "loro".

James Q. Wilson, The Moral Sense, 1993

10

Jennifer era seduta alla scrivania nel Rifugio, e stava disegnando con una penna stilografica nera. Era sbalorditivo quanto trovasse rilassante quella semplice arte, evitando di usare un programma di disegno ma vero inchiostro su carta. Si concedeva venti minuti due volte al giorno per disegnare tutto quello che desiderava, tutto quello che le saltava in mente. "Un mezzo per focalizzare la tua attenzione?" aveva chiesto il responsabile delle comunicazioni del Rifugio, Caroline Renleigh, il che dimostrava quanto poco la capisse Caroline. L’attenzione di Jennifer non aveva bisogno di essere focalizzata. Disegnare era un’interruzione rinfrescante della ferrea attenzione.

Il suo studio, posto all’estremità della stazione orbitale cilindrica arbitrariamente designata come "sud", condivideva lo spazio nella cupola con la camera del Consiglio del Rifugio. A "nord" le zone gricole, i quartieri abitativi, i laboratori e i parchi creavano una vista piacevole e serena che si incurvava dolcemente nel cielo. A "sud", lo studio dava sulla plastica trasparente e super resistente che sigillava la stazione orbitale. La scrivania di Jennifer fronteggiava lo spazio.

Quando era stata più giovane, aveva tenuto la sua consolle lontana da quella oscurità. Nel suo studio, durante le riunioni del Consiglio, Jennifer aveva sempre guardato il Rifugio e il suo delicato sole artificiale. Nei lunghi anni di prigionia sulla Terra, aveva compreso che quella era una debolezza inaccettabile. Quindi aveva sistemato la sedia per fronteggiare il vuoto, con le sue stelle troppo lontane anche per la tecnologia degli Insonni: la fuga irraggiungibile. A volte guardava verso la Terra, che riempiva la finestra, oppressiva, e ricordava perché la sua gente doveva fuggire. Jennifer contemplava le due visuali. Per disciplina.

Non avrebbe portato il suo popolo più lontano di così dal nemico. La Luna, sì, ma c’era andata Miranda con i suoi traditori: la generazione modificata geneticamente che sarebbe dovuta essere il mezzo per evitare la regressione genetica verso la norma, assicurando che gli Insonni continuassero a espandere la propria superiorità sui Dormienti e che invece aveva tradito i propri amorevoli creatori e genitori, mandandoli in prigione per tradimento.

Marte era colonizzato da svariate nazioni e, in maniera più ambiziosa, dal Nuovo Impero della Cina, potente e pericoloso. Lì agli Insonni era stata piantata una pallottola nella nuca.

Titano apparteneva ai giapponesi che si stavano espandendo anche sulle altre Lune del sistema solare. Più ragionevoli rispetto al Nuovo Impero, anche loro non avevano mai accettato di buon grado gli outsider etnici. In una generazione, o due o tre, si sarebbero potuti rivoltare contro un eventuale Rifugio nell’orbita di Saturno o di Giove proprio come gli Stati Uniti si erano rivoltati contro il Rifugio originario, sulla Terra. A quel punto i bis-bisnipoti di Jennifer avrebbero dovuto ricominciare a eseguire l’intera danza sanguinaria.