Da qualche parte nell’edificio, qualcuno stava piangendo.
Jackson si fece strada attraverso l’oscurità, oltre i decrepiti mobili dello spazio comune, in mezzo al dedalo di pareti di assi di legno, divani ribaltati, scaffalature rotte, tende appese fatte a mano. Il singhiozzare si fece più forte. Superò anche il robot tessitore della tribù che produceva pazientemente metri e metri di orribile tela grezza con chissà quale materiale organico infilatogli nel serbatoio. Il robot ronzava piano. Nell’ultimo loculo di fortuna posto contro una parete priva di finestre, Jackson li vide.
C’era un ragazzino, che dava le spalle a Jackson, quasi ripiegato in due. La sua schiena era sottile e, attraverso i buchi del vestito, si notava che era piena di lentiggini. Vicki gli stava accanto e gli teneva un braccio attorno alle spalle ossute, quasi sorreggendolo. Quando i due si voltarono, Jackson vide che il ragazzino era chino su un neonato che stringeva fra le braccia.
Vicki disse con espressione seria: — Stavo giusto venendo a cercarti.
Jackson allungò le mani verso il neonato. Vide che stava morendo, forse a causa di qualche microrganismo mutato che aveva già distrutto il sistema immunitario. La bocca del bimbo era chiazzata di candida, la pelle macchiata di ematomi sottocutanei. Le guance devastate erano tese sul piccolo cranio. Jackson sentì i polmoni del piccolo faticare per continuare a respirare. Sul collo aveva due cerotti, uno blu e uno giallo: antibiotici e antivirali ad ampio spettro. Vicki li portava sempre con sé. Non l’avrebbero aiutato: era decisamente troppo tardi.
Il ragazzo ansimò: — Sei tu il dottore? Questa è mia figlia, lei. Le puoi dare una siringa del Cambiamento? Non ne abbiamo più nella mia tribù e non ne ho trovate da nessuna altra parte. Io ho sentito parlare di questo posto, io…
— No — rispose Jackson — non ho più siringhe. — Vicki lo fissò, sbalordita. Si era aspettata una risposta diversa, non sapendo che Theresa aveva ripulito la magra scorta di Jackson.
— Non hai più siringhe, tu? Davvero? — chiese il ragazzo.
— Davvero — rispose Jackson.
— Ma non sei un dottore… un dottore Mulo?
Jackson non rispose. Nessun altro parlò. Il silenzio si prolungò, doloroso. Alla fine Jackson annuì, penosamente, e scosse la testa. Non riuscì a fissare il giovane padre negli occhi.
Il ragazzo non si mise a discutere, né esplose, né ricominciò a singhiozzare. Nella postura afflosciata delle sue spalle, Jackson lesse rassegnazione: il ragazzo non si era veramente aspettato aiuto. Non lo aveva mai fatto. Era giunto lì perché non sapeva cosa altro fare.
Vicki disse a denti stretti: — Farai tutto quello che potrai, Jackson?
Era già andata a prendere la sua valigetta in una sacca fra il ciarpame della tribù. Jackson eseguì futili mosse. Quando ebbe finito il ragazzo gli disse: — Grazie, dottore — e l’umiliazione di Jackson fu completa.
— Vieni con me — disse Vicki, e lui la seguì, senza che gli importasse dove, fondamentalmente contento di andarsene. Erano entrati dei Vivi dall’esterno e si erano seduti a parlare animatamente sulle sedie comuni. Vicki lo condusse attraverso un labirinto di loculi, oltre una tenda tirata fra una parete e una lunga tavola ribaltata.
— Qui non verrà nessuno, Jackson.
— Dov’è la madre della bambina?
Vicki alzò le spalle. — Sai come vanno le cose. Restano incinte facilmente, nel loro corpo nulla può andare storto e tutti allevano i piccoli collettivamente. Chiunque non voglia prendersi cura del neonato può anche non farlo.
— Allora è sbagliato. Questa nuova organizzazione creata dal Cambiamento è tutta sbagliata.
— Lo so.
— Lo "sai"? Pensavo che tu fossi il più strenuo difensore di ciò che Miranda Sharifi ha dato al mondo!
— Difendo la necessità di adeguarsi alla situazione. Al momento, non lo abbiamo fatto.
Non l’aveva mai vista in quel modo: seria, diretta, non barricata dietro un distacco divertito. Non gli piaceva: così lo prendeva in contropiede. Per sfuggire allo sguardo di lei, si girò attorno nel loculo e si rese conto che era il suo. Il loculo non aveva nulla di diverso da quello di qualsiasi altro membro della tribù: pagliericcio a terra, una scrivania tutta intaccata e stipata di bigiotteria fatta a mano, vestiti appesi a ganci. Nulla di costoso e incongruo come il terminale Jansen-Sagura o la biblioteca di cristallo del loculo di Lizzie. Eppure quello spazio angusto sapeva di Mulo, non di Vivo. Per i colori, tenui e ben armonizzati, per la sistemazione dei mobili, per il singolo ramoscello di salice, sistemato in una boccia nera di coccio con un’essenzialità e una grazia quasi orientali.
Lei disse: — Ti sei accorto che stavi piangendo, mentre tenevi in braccio la bambina?
Non se n’era reso conto. Si asciugò le guance umide, disprezzandola per averlo notato e, allo stesso tempo, grato perché non aveva esposto le sue lacrime allo scherno dei Vivi nel bel mezzo dell’edificio.
Visto che doveva per forza dire qualcosa, spiegò: — Soffrono. Non qui, in questa tribù, ma in altri posti dove non ci sono queste risorse vivono così…
— I poveri hanno sempre vissuto in un paese diverso rispetto ai ricchi. In ogni epoca, indipendentemente da quanto fossero vicine fisicamente le loro case.
— Ti prego, non darmi lezioni su…
— Guarda questo, Jackson. — Aprì il cassetto superiore della scrivania e tirò fuori un oloregistratore, poi disse: — Invia registrazione numero tre. — Quando lo consegnò a Jackson, lui lo prese.
Lo schermo in miniatura mandò un servizio giornalistico di un canale di Muli: il tono oscillava fra lo scherno e il disprezzo. Il pezzo, non più di due minuti, era un’intervista a un gruppo di medici che aveva appena allestito in Texas una clinica protetta da uno scudo a energia-Y subito fuori dall’Enclave di Austin per curare bambini Vivi nonCambiati. — È necessario — diceva un giovane medico dall’aspetto stanchissimo che aveva un gran bisogno di tagliarsi i capelli. — Soffrono. Quello che Miranda Sharifi permette che accada qui è criminale. — L’oloschermo si spense.
Vicki sbuffò: — "Quello che Miranda permette che accada". Noi non vogliamo ancora prenderci la responsabilità.
— Chi sarebbe "noi"? — ribatté lui con violenza.
— A volte tu usi "noi" per intendere Vivi, a volte Muli.
— E allora? Jackson, c’è un numero sempre crescente di bambini nonCambiati. Hanno bisogno di medici.
Ripensò alla faccia stanca del medico nell’ologramma, allo scudo di sicurezza attorno alla clinica, ai Vivi che avevano assaltato il suo appartamento quando c’era Theresa. A dispetto della sua ammirazione per l’irrefrenabile Lizzie, lui non voleva prestare il suo servizio presso i Vivi. Non era quello per cui aveva studiato.
— È molto più facile provare compassione che agire per causa sua, vero? — disse Vicki. — Ma non altrettanto soddisfacente, alla lunga. Credimi, io lo so.
Lui le disse con espressione secca: — Non ti ho mai sentita dire qualcosa di diverso.
Vicki rise. — Hai ragione. — Si sporse in avanti e lo baciò.
La cosa colse Jackson di sorpresa. Che stava facendo? Di certo non lo stava baciando soltanto perché lo aveva visto piangere per un bambino Vivo, no? Non sembrava il tipo da… ma poi ogni pensiero lo abbandonò. Le labbra di lei erano morbide, più sottili di quelle di Cazie, il suo corpo più alto e meno arrotondato. La bocca della donna indugiò sulla sua, si allontanò brevemente, quindi vi tornò. Jackson la attirò a sé e sentì una scossa che gli arrivava dalle labbra percorrergli il busto e, passando attraverso il petto, terminargli con una scarica forte e gradevole nel pene. La abbracciò.