— Signorina Aranow?
— Di’ che sto arrivando, Jones.
Theresa scese dal sedile presso la finestra. Le girava la testa. Si appoggiò contro la parete finché la vista non le si schiarì, sentì le ginocchia tremare. Cercò di stabilizzarle e accettò la chiamata in bagno, dove non avrebbe dovuto inviare la sua immagine. Non era Jackson.
— Tess? Dov’è il video? — Cazie, dall’aspetto fresco e austero con il suo vestito nero.
— Sono appena uscita dalla doccia. — Cazie sapeva che a Theresa non piaceva mostrare il proprio corpo.
— Oh, mi dispiace. Ascolta, dov’è Jackson?
— Non è con te? — chiese Theresa.
— Sai benissimo che non è con me: lo sento dal tuo tono di voce. Non giocare con me, Tess. Dove ha portato quei Vivi?
— Io non… quali Vivi?
Il volto di Cazie mutò. Quella, pensò Theresa, doveva essere la faccia che vedeva Jackson quando lui e Cazie litigavano: zigomi alti e pronunciati che sporgevano dalla pelle, sguardo duro quanto il pavimento di marmo che Theresa aveva sotto i piedi nudi: la ragazza indietreggiò leggermente verso il lavandino.
— Theresa. Dimmi. Dove. Si. Trova. Jackson.
Theresa chiuse gli occhi serrandoli stretti.
— Non vuoi dirmelo. Benissimo, vengo immediatamente lì da te.
— No! Io… io stavo uscendo!
— Oh, certo. Quando è stata l’ultima volta che sei uscita? Sarò lì fra dieci minuti, Tess. — Lo schermo si spense.
Theresa si sentì assalire dal panico. Cazie le avrebbe estorto le risposte, Cazie poteva farle tirare fuori tutto; lei le avrebbe riferito che Jackson aveva portato Lizzie e gli altri alla Kelvin-Castner a Boston. Jackson si era raccomandato di non dire niente. A nessuno. Specialmente a Cazie. Ma Cazie stava arrivando. Theresa avrebbe ordinato a Jones di non lasciarla entrare.
Cazie conosceva i codici di sovrapposizione. Per l’appartamento, per l’edificio. Per la mente di Theresa.
Benissimo, allora. Theresa non sarebbe stata lì quando Cazie fosse arrivata.
Nel momento in cui le venne in mente quel pensiero, Theresa seppe che era quello giusto. Doveva uscire prima che arrivasse Cazie. Aveva bisogno di fare quello che il messaggio sul suo sistema le aveva detto di fare: giungere fino a Miranda Sharifi e farsi consegnare altre siringhe del Cambiamento. "Lei è un Mulo, ha tutti questi soldi, lei, e può arrivare a Miranda in modi che noi non possiamo, noi…" Theresa aveva passato due giorni (tre?), comprese in quel momento, a cercare di allontanare dalla mente il pensiero di quello che doveva fare. E non aveva funzionato, non funzionava mai.
Ignorare il richiamo del dolore non faceva altro che rendere il dolore peggiore. Quella chiamata era un dono. Lei, in qualche modo, lo aveva trascurato e non reagire a quel dono l’aveva soltanto fatta diventare pazza.
Più pazza.
Ormai non più.
In fretta, con una disinvoltura che la sorprese, Theresa sfrecciò fuori dal bagno. Non aveva tempo per fare la doccia, in quel momento. Le scarpe… avrebbe avuto bisogno di scarpe. E di un cappotto. Era aprile fuori dall’enclave. In aprile non faceva freddo? Afferrò scarpe e cappotto. — Al tetto — ordinò all’ascensore. — Per favore.
Non erano soltanto i suoi muscoli ad agire all’improvviso con disinvoltura. Anche la sua mente lo faceva, lavorando su progetti autonomi che la sbalordirono. Per arrivare a Miranda Sharifi, Theresa aveva bisogno di iniziare dall’ultimo posto in cui Miranda era stata vista sulla Terra. Si trattava dell’accampamento di Vivi dove le persone si legavano tre a tre, dove Patty, Josh e Mike non avrebbero mai più potuto vivere da soli perché ormai erano costretti a restare insieme. Miranda era stata lì e aveva lasciato una olocassetta dove forniva la spiegazione delle nuove siringhe rosse. Per usare le nuove siringhe bisognava essere Cambiati. Ecco cosa aveva detto Josh. Miranda poteva avere lasciato lì più siringhe del Cambiamento che in qualsiasi altro posto. Oppure, sarebbe anche potuta tornarci, o avrebbe mandato qualcuno, per portarne altre, dopo che erano scoppiate le lotte per le siringhe del Cambiamento. Se il legame era l’ultimo progetto di Miranda sulle persone, allora di certo Miranda avrebbe monitorato il luogo (i luoghi?) dove lo stava testando. Perfino Theresa sapeva quelle cose sul funzionamento della scienza.
Sul tetto, dovette socchiudere gli occhi per la luce del sole calda e brillante. Il battito cardiaco le accelerò, e sentì il fiato mozzarsi in gola. L’ultima volta che aveva provato a uscire dall’enclave era svenuta, la crisi di panico era stata molto violenta, un attacco dopo l’altro…
Ma stava per arrivare Cazie. Se Theresa non fosse uscita, avrebbe dovuto vedere Cazie.
Theresa chiuse gli occhi, si piegò in due per appoggiare la testa fra le ginocchia e respirò profondamente. Dopo qualche istante, il panico si attenuò. O forse no: forse le sembrò soltanto, perché trovarsi davanti a un accampamento di Vivi selvaggi e legati la impauriva meno che trovarsi davanti a Cazie Sanders infuriata.
Forse era quello il modo in cui le persone si convincevano ad affrontare cose pericolose: scappando da cose ancor più pericolose.
Nella brillante luce del sole, camminando attraverso il giardino sul tetto in direzione delle aeromobili, Theresa si mise a piagnucolare. Poi salì su un’aeromobile e recuperò dalla memoria del veicolo le coordinate per arrivare all’accampamento dei Vivi legati biochimicamente, cercò di respirare profondamente e in maniera regolare, cercò di non cedere alla biochimica della sua stessa mente.
I Vivi non avevano spostato l’accampamento. Theresa aveva temuto che fossero andati altrove, i Vivi lo facevano, ma già dall’alto fu in grado di scorgere piccole figure umane che si muovevano in gruppi di tre. Quanto potevano allontanarsi gli uni dagli altri prima di morire? Theresa non riuscì a ricordare la distanza esatta.
Atterrò, sempre respirando profondamente e in maniera regolare, ma quella volta nessuno arrivò di corsa verso l’aeromobile. Tutte le triadi scomparvero all’interno dell’edificio e chiusero la porta.
Lei si costrinse a uscire dal veicolo e a incamminarsi verso l’edificio, quindi a girarvi attorno. Sotto il tendone di plastica del campo di alimentazione, erano sedute tre persone nude che non avevano notato l’aeromobile di Theresa: due donne e un uomo. Quando scorsero Theresa, i loro volti si raggelarono e lei vi notò il tipo di sguardo che generalmente vedeva soltanto nello specchio.
Erano terrorizzati. Di "lei". Come lo era stato il bambino di Lizzie. Quell’accampamento era stato infettato proprio come quello di Lizzie.
— Salve! C’è Josh? — Josh era stato gentile con lei, allora.
Le tre persone si alzarono in piedi, si rannicchiarono l’una accanto all’altra, e si strinsero forte per mano. In un groviglio di corpi nudi, avanzarono di un centimetro alla volta verso il lembo di plastica che fungeva da porta del terreno di alimentazione. Theresa si spostò davanti all’apertura e loro si bloccarono.
— Voglio parlare con Josh, Patty e Mike.
I nomi sembrarono rassicurare almeno in parte uno della triade. La donna più anziana avanzò di un passo, tenendo sempre per mano i due compagni, e chiese impaurita: — Conosci Jomp, tu?
Jomp. A Theresa occorse un minuto per comprendere che si trattava di Josh-Mike-Patty. Provò una fitta di disgusto.
— Sì. Conosco Josh e sono venuta qui per vederlo. Portatemi da lui, per favore.
A dispetto delle forti pulsazioni che provava nel petto, Theresa si meravigliò di se stessa. Sembrava Cazie. Be’, forse non proprio, ma quanto meno Jackson.
La donna esitò. Era sulla trentina, piccola e pallida, con un viso ossuto e capelli corti e chiari come quelli di Theresa. — Jomp sono dentro, loro. Io andrò dentro, e te li chiamerò.