— Tu devi lasciare l’ologramma del tempo di Miranda dove sta, tu! — disse qualcuno.
— Mi dispiace ma non posso. Ne ho bisogno. — Theresa raggiunse il terminale. Ma non era più Theresa, era Leisha. Un bel trucco. Essere Leisha, sentirsi come lei. Se Theresa poteva guardare un notiziario e sentirsi come la madre del bambino morente non-Cambiato, poteva sentirsi "lei" la madre, allora poteva anche essere Leisha Camden. Non era diverso. Non era diverso…
Le persone cominciarono ad alzarsi, alcune agitandosi impaurite in serrati gruppi di tre, alcune dirigendosi verso di lei. Mike esitò, quindi lui e Josh le si avvicinarono, trascinandosi dietro Patty. La testa di Mike era incassata nel collo, i suoi occhi erano terrorizzati. Per un secondo, attraverso la propria vista tremante, Theresa vide la scena come doveva apparire dall’esterno: quattro disgraziati a occhi sbarrati si muovevano a scatti l’uno attorno all’altro, puzzando di paura. "No, non pensare in quel modo, non vederti dall’esterno, vediti come Leisha." Lei era Leisha Camden.
— Non mi fermate — intimò con voce tremante Theresa. Mike si bloccò per un istante, quindi riprese ad avvicinarsi.
— Dico sul serio!
— Mike — piagnucolò Patty — non… non puoi…
Mike sussurrò: — Non può prendersi il nostro ologramma, lei non può averlo. — Afferrò Theresa per un braccio.
Lei provò un senso di vertigine, sentì il buio assalirle il cervello. Theresa cercò di allontanare le vertigini, Leisha non era mai svenuta!, e anche la mano di Mike. Non poteva. Lei non era Leisha, calma, decisa e fredda, non sarebbe mai stata Leisha, avrebbe dovuto mostrare più autocontrollo di quanto ne avesse mai avuto. Anche se lo stratagemma di pensare di essere Leisha aveva funzionato per qualche minuto, Theresa non era Leisha…
"Allora vedi di essere una persona non calma e fredda."
— Lasciatemi subito quel fottuto ologramma o vi legherò con dei nodi da marinaio! — strillò Theresa, e le parole erano quelle di Cazie.
Mike le lasciò subito il braccio e la fissò sbalordito.
— Levatevi dai fottutissimi piedi!
Parte della folla indietreggiò: il resto si fece timidamente avanti. Si alzarono dei mormorii fra le triadi: — Non lasciamoglielo prendere, noi… — Fermatela, voi… — Che diritto ha lei…
In un minuto avrebbero superato la loro paura e l’avrebbero riacciuffata. No, avrebbero riacciuffato "Cazie". Lei era Cazie. E la chimica cerebrale di quelle persone le rendeva impaurite di tutto ciò che non era familiare, di tutto quello cui non erano abituate.
— Mi metterò a piangere! — strillò Theresa a tutto volume. — Farò squagliare il pavimento! C’è una nanotecnologia che voi non avete mai visto che mi permette di farlo, io posso farlo! Tutto quel che devo fare è cantare! — Cominciò a cantare, una canzone che le cantava sempre la sua balia, ma era troppo dolce e così lei cominciò a saltare su e giù e poi a girare intorno, gridando le parole e poi cambiandole nelle oscenità che usava Cazie quando era arrabbiata con Jackson perché non aveva fatto quello che lei voleva. — Povero illuso figlio di puttana, la tua visione della realtà è così limitata che non ne vedi nemmeno una frazione, figuriamoci se vedi una frazione di "me", manchi di ironia, Jackson maledetto inferno dei Vivi, non capisci nemmeno quello! Patetico bambino viziato, pensi forse… "Levatevi dai fottutissimi piedi!"
Lo fecero. La folla si ritirò, e alcuni bambini cominciarono a piangere. Le triadi si strinsero. Strillando, cantando, saltando, imprecando, turbinando, Theresa si avvicinò alla porta, con la cassetta in mano, mentre un centinaio di persone, dovevano essere novantanove oppure centodue, la guardavano con la stessa paura ansiosa che Theresa vedeva quotidianamente allo specchio.
Riuscì ad arrivare all’esterno appena prima che i nervi le cedessero.
Comunque fu in grado di arrancare all’aeromobile. — Decollo! — ansimò. — Casa. — A quel punto sentì mancare il fiato, sentì iniziare l’attacco, e quello che poté fare per tutta la sua durata fu cercare di respirare; intanto l’aeromobile volava per proprio conto lontano dall’accampamento dei Vivi ma nessuna piccola figura, venti metri sotto, uscì dall’edificio per guardarla partire.
Appena prima di raggiungere Manhattan Est, Theresa riprese il controllo di se stessa. Si appoggiò contro il sedile dell’aeromobile e cercò di pensare.
Non poteva tornare a casa. Cazie poteva essere ancora lì. Fece volare l’aeromobile fino al primo spazio ampio e deserto, che si rivelò un circuito abbandonato di scooter, e le ordinò di atterrare in un punto da dove si vedesse in ogni direzione. Restò seduta, stringendo in mano la cassetta di Miranda e respirando più profondamente e regolarmente possibile.
Che cosa era appena accaduto?
Era stata Cazie. Si era trattato solo di una finzione, ovviamente, ma era stata in grado di fingere con potenza sufficiente per allontanare da sé la paura per qualche istante, e per comportarsi come, altrimenti, non sarebbe mai riuscita. Ma come era potuto accadere? Gli attori degli ologrammi, ovviamente, fingevano costantemente di essere altre persone, per risultare convincenti nella storia, ma Theresa non era una oloattrice. E certo non assomigliava a Cazie. La sua chimica cerebrale era diversa, in qualche modo era danneggiata e lei aveva sempre paura, provava ansia ed era quello che Jackson chiamava "gravemente inibita davanti alla novità". Fingere di essere qualcun altro aveva davvero cambiato la sua chimica cerebrale per qualche minuto? Ma come era possibile?
Avrebbe chiesto a Thomas di scoprirlo.
Al momento, tuttavia, se non tornava a casa, doveva decidere dove andare. Soltanto che lei voleva tornare a casa. Non sapeva quanto a lungo sarebbe durata quella bizzarra chimica cerebrale presa in prestito e voleva trovarsi attorno le proprie cose, la camera rosa, la coperta all’uncinetto e Thomas. Ma se c’era ancora Cazie…
Se Cazie era ancora lì, Theresa sarebbe diventata qualcun altro in grado di dire a Cazie che quello non era il momento buono per parlare. Qualcuno che potesse dire: — Mi dispiace ma sono stanca e ho bisogno di riposare, adesso. — Anche se Theresa fosse riuscita a fingersi una persona così soltanto per un minuto. Forse un minuto le sarebbe bastato. Certo, sarebbe potuta diventare qualcun altro per un minuto: Leisha Camden. Leisha era stata sempre calma e decisa. Theresa sarebbe diventata Leisha Camden, che discuteva con tranquillità il caso sui diritti degli Insonni con altri avvocati, e Cazie sarebbe…
Cazie sarebbe saltata addosso a Theresa e l’avrebbe ridotta in brandelli.
Theresa non poteva fingersi Leisha Camden davanti a Cazie. Sarebbe stato come proteggersi da un uragano usando cannucce da bibita. Forse, però, poteva essere Leisha Camden con se stessa. Fingere di avere le capacità di Leisha per un solo minuto, mentre pensava a cosa fare e dove andare. Leisha, che affrontava i problemi di petto, usando la razionalità per risolverli…
Se Leisha avesse voluto scoprire cosa si nascondeva dietro il falso ologramma di Miranda, sarebbe andata nel posto in cui era più probabile che si sapesse qualcosa. Ovunque fosse. Perfino a Selene. Ma Selene non rispondeva ai messaggi, e anche se Theresa fosse riuscita a mettere insieme tanto coraggio da affrontare un viaggio spaziale… no, non ci sarebbe mai riuscita. Lo sapeva. Forse, però, non doveva arrivare tanto lontano come a Selene.
Theresa serrò la presa sulla cassetta olografica. Ci sarebbe riuscita davvero, anche se fingendo di essere Leisha? Avrebbe dovuto volare fino a un aeroporto, noleggiare un aereo per suo conto. No, era troppo difficile. Le si mozzò il fiato al solo pensiero.
Quindi pensò a tornare a casa e a cercare di evitare di dire a Cazie dove si trovava Jackson.