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Theresa si portò le mani sul volto, quindi si raddrizzò. Non era più Theresa Aranow, lei era Leisha Camden. Pensarlo l’avrebbe fatta sentire differente, quindi la sua chimica cerebrale sarebbe variata un po’… Lei era Leisha Camden. Lo "era".

— Aeroporto Manhattan Est. Coordinate automatiche — ordinò all’aeromobile, e la voce le suonò diversa alle orecchie terrorizzate.

Mentre il veicolo decollava, a Theresa venne in mente un altro pensiero. "Prendi un neurofarmaco", le diceva sempre Jackson. E Theresa non lo faceva mai perché aveva sempre paura di perdere il suo dono speciale del dolore e quindi il luogo in cui esso l’avrebbe condotta. Aveva sempre avuto paura di prendere neurofarmaci temendo di diventare qualcun altro.

A dispetto di se stessa, Theresa scoppiò a ridere. La risata le uscì come un piagnucolio.

Si chiese chi avrebbe trovato effettivamente, in Nuovo Messico, comportandosi come se fosse un’altra persona.

La parte più difficile risultò quella di ingaggiare un pilota.

Theresa si incamminò nell’edificio dell’aeroporto di Manhattan Est sulla Lexington Avenue. Era una costruzione regolare e vecchio stile con la programmazione delle pareti a metalli cangianti. Le persone le sfrecciavano davanti dirigendosi verso alcuni terminali o uscite differenti: un gruppo di uomini e donne, vestiti con sarong tradizionali, che stava ridendo e scherzando, un uomo con un oloabito nero che portava un’unità mobile e una pila di carte stampate, una donna anziana dal volto gradevole che viaggiava da sola. Theresa aveva appena recuperato il coraggio sufficiente per rivolgersi alla donna, quando una robocamera rotonda e priva di connotati, delle dimensioni di una testa umana, fluttuò fino a lei.

— È rimasta ferma per due minuti, signora. Posso esserle di aiuto?

— Oh, sì — disse subito Theresa al fluttuante. — Ho bisogno… voglio noleggiare un aereo privato. Con un pilota. Per arrivare in Nuovo Messico.

— Il nostro servizio noleggio di aerei charter può essere contattato da qualsiasi terminale per la clientela, signora. Se posso aiutarla per qualcos’altro…

— Ma non so come si fa!

— Mi scusi, signora, ma devo attivare un programma di autodiagnosi. — La robocamera ronzò dolcemente. — La mia programmazione non mostra alcun errore nel funzionamento sensoriale. Lei è un adulto modificato geneticamente?

— Sì. Io… io sono adulta. Ma non so comunque come usare un terminale per la clientela. — Riuscì a sentire il rossore che le infiammava il volto.

— Vuole che le proponga una dimostrazione del sistema?

— Oh, sì, grazie.

La robocamera la condusse a una fila di terminali. Theresa fu in grado di riconoscere un analizzatore di retina. Si avvicinò docilmente contro lo schermo finché una voce profonda e gradevole le disse: — Benvenuta all’aeroporto di Manhattan Est, signorina Aranow. Numero di volo desiderato?

La robocamera chiese: — Servizio noleggio aerei, per favore.

— Certo — rispose il sistema.

Sul terminale apparve una fila di scritte. Theresa si sentì arrossire di nuovo: leggeva lentamente. La robocamera domandò ancora: — Dove desidera andare, signorina Aranow? E quando desidera partire?

— In Nuovo Messico. Vicino a Taos. E voglio partire subito. Con… con un… — Come si faceva a chiedere un pilota che non incutesse troppa paura? Theresa indietreggiò di un passo.

— Il terzo requisito di volo non è stato compreso. Ripetere prego — invitò il terminale per la clientela.

— Volare con qualcuno di sicuro!

— Tre piloti con patente di sicurezza tripla-A sono disponibili nei prossimi trenta minuti per voli interni. Si applica tariffa d’urgenza. Le mostriamo i curriculum di volo. Desidera mettersi in comunicazione verbale con uno dei tre?

I curriculum di volo consistevano in altre scritte dai caratteri piccolissimi. Però c’erano anche le foto: tre volti attraenti, modificati geneticamente. Ma, chissà perché, non sembravano Muli. No, ovviamente non potevano esserlo, quelli erano tecnici. — Quella. La donna. Una comunicazione verbale, sì.

Il pilota apparve subito in linea. Sembrava sulla trentina, un volto forte, senza trucco, tutta la sua bellezza nei tratti decisi e austeri. Anche la sua voce era ferma e austera. — Signorina Aranow? Desidera un pilota per un volo immediato nel Nuovo Messico?

— Sì. No. Io… non so.

L’immagine del pilota si sporse in avanti, esaminando l’immagine di Theresa. — Lei non lo sa?

— No. Sì, voglio dire, lo so. Non devo andare, non ho bisogno di un pilota. È stato un errore. — Si allontanò dal terminale indietreggiando. La voce forte e calma la fermò.

— Signorina Aranow, il fluttuante che si trova accanto a lei la condurrà direttamente al mio aereo. Possiamo decollare subito. Se non si sente bene, le invierò un robot-accompagnatore.

— No, io… sto bene. Arrivo.

Fissò lo sguardo sul fluttuante, costringendosi a guardare quello e niente altro. Soltanto una palla grigia, non faceva paura, doveva solo seguirla senza pensare, come avrebbe fatto Cazie.

No, Cazie non l’avrebbe fatto. Cazie sarebbe volata per conto suo fino al Nuovo Messico.

Benissimo, basta Cazie, non poteva essere Cazie, ma aveva bisogno di essere qualcun altro perché lei, Theresa, non sarebbe riuscita a fare tutto da sola, si sentiva già scivolare nel panico. Chi poteva essere? Conosceva a mala pena altre persone oltre Leisha e Cazie.

E Jackson. "Prendi un neurofarmaco, Tessie." Benissimo, era Theresa sotto l’effetto di un neurofarmaco. Era una persona chimicamente calma, una persona che credeva che il mondo avesse un senso.

— Salve, signorina Aranow. Io sono il pilota di prima classe Jane Martha Olivetti.

Theresa era già arrivata. L’aereo le si profilava di fianco, anche se lei non ricordava di avere preso la carrozza magnetica dell’aeroporto da Manhattan Est o di avere attraversato il campo di volo. Solo in quel momento si accorse che quello non era protetto o, quanto meno, lo era soltanto parzialmente: quel clima era autentico. Un freddo vento di aprile. Rabbrividì mentre saliva sull’aereo del pilota Olivetti.

— Ci sono cerotti tranquillanti nella scatola verde in quella reticella — disse il pilota con voce calma. — Endorbacio nella rossa, HalluFun nella gialla, DormiBen nella marrone.

Theresa guardò con struggimento la scatoletta marrone. Tuttavia la maggior parte dei cerotti, le aveva detto Jackson, erano preparati per corpi Cambiati. L’aveva ammonita a non usare mai niente che non fosse adattato alla sua chimica nonCambiata.

— No, grazie. Soltanto… soltanto una coperta. — Stava tremando anche se l’aereo era riscaldato.

Da qualche parte, sopra le colline ancora ricoperte di neve, Theresa si addormentò naturalmente. Si svegliò quando il pilota le disse: — Signorina Aranow, ci troviamo a Taos. Vuole atterrare qui o in un campo di atterraggio privato?

— Lei sa dove si trova il campo di atterraggio per… per La Solana? Dove viveva un tempo Leisha Camden?

Il pilota Olivetti si voltò sul sedile e fissò Theresa. — Ovvio. Molti turisti e reporter ci andavano in continuazione. E poi, persone che vogliono parlare con Richard Sharifi perché invii dei messaggi a sua figlia. Ma non le servirà a nulla andare lì: Richard Sharifi non esce mai. Al massimo otterrà il solito messaggio registrato.

Theresa chiuse gli occhi. Cosa si era messa in testa? Era logico che non fosse la prima a cercare di contattare Miranda tramite La Solana. Ci aveva già provato tutto il mondo: politici, persone importanti e via dicendo. Se Richard Sharifi non aveva parlato con loro, perché doveva farlo con Theresa Aranow? Era proprio pazza.

Cosa avrebbe fatto Cazie?