Non riusciva a parlare. La bocca, la lingua, le gengive divennero un ammasso di ulcere come il resto del corpo bruciato dalle radiazioni. A volte, tornando brevemente allo stato cosciente, cercava di mormorare attorno al tubo endotracheale. Gli occhi gonfi fissavano con urgenza quelli di Jackson. — Ehh… mo-mo — Lui la sedava sempre. Non riusciva a tollerare quella vista.
— Progresso del paziente nei limiti della norma — diceva più volte al giorno il roboinfermiere con voce gradevole. — Desidera dati più dettagliati?
— Per l’amor di Dio, Jackson, vai a dormire — ripeteva Vicki con la stessa frequenza. — Sembri uno scarto di laboratorio di Miranda Sharifi.
— M-M-M-M… mo… mo — cercava di dire Theresa. Lui aumentava la dose di sedativo.
Due volte al giorno, come da contratto, arrivavano dalla Kelvin-Castner dati di laboratorio e risme di dati grezzi. Jackson leggeva soltanto i riassunti, stilati in tutta fretta da Thurmond Rogers. — Jack, abbiamo creato modelli al computer degli sviluppi più probabili delle proteine per la molecola iniziale, basati sulle reazioni più probabili dei siti recettori. Sfortunatamente ci sono seicentoquarantatré sviluppi di livello A possibili, quindi la sperimentazione può durare a lungo e abbiamo pensato di…
— Basta, Caroline — disse Jackson al suo sistema. — Archivia i resoconti per data, mittente e… tutto quello che serve per un protocollo di facile richiamo. "E lasciami in pace."
— Sì, dottor Aranow — rispose Caroline.
— Jack, come sta Tess? — chiedeva quotidianamente, più che quotidianamente, l’immagine di Cazie. Una volta aveva sentito Cazie parlare con Vicki nella stanza accanto. Con Vicki? Lottare, parare, duellare? Non era entrato.
Theresa perse carne che non poteva permettersi di perdere. Il suo corpo già inagrissimo si fece scheletrico, le braccia e le gambe assunsero l’aspetto di stampelle di fil di ferro, ginocchia e gomiti divennero aguzzi come scalpelli. Le ustioni spurgavano e colavano.
I rapporti sui progressi alla Kelvin-Castner, gli riferiva quotidianamente Thurmond Rogers, sembravano non procedere affatto. I modelli al computer non avevano alcun successo. Gli algoritmi, una volta esaminati, non funzionavano. C’erano soltanto possibilità, ipotesi teoriche successivamente smentite, risultati insoddisfacenti di test su animali. Avevano bisogno di una scoperta importante, spiegava Thurmond Rogers in messaggi che Jackson guardava soltanto finché non capiva dove andassero a parare. La scoperta sarebbe arrivata, diceva Rogers. Tuttavia non era ancora accaduto. — Dopo tutto, noi non siamo Miranda Sharifi e Jonathan Markowitz — aggiungeva disgustato Rogers.
— Progresso del paziente entro la norma — diceva il roboinfermiere.
— "Dormi." Il tuo equilibrio mentale è a rischio, sai? — incalzava Vicki.
— Forse un decapeptide, che innesca reazioni cellulari in…
— Mo…mo… mmmmm…
— Come sta, Jack? E "tu" come stai? "Rispondimi", maledizione…
Dopo un mese, Theresa presentava ancora ustioni da radiazioni su corpo e volto. I muscoli le si erano atrofizzati. Le piaghe smisero di spurgare. Jackson voleva che mangiasse anche se non avrebbe avuto appetito ancora per intere settimane. Per mangiare, non doveva essere sotto l’effetto dei sedativi.
Lui e Vicki appoggiarono Theresa ai cuscini. Accanto al letto, Vicki sistemò un ricco mazzo di fiori modificati geneticamente, rosa, gialli e di un arancione carico. Lasciò quindi la stanza, con discrezione. Il roboinfermiere preparò una proteina liquida che sapeva di lamponi, con una cannuccia. A Theresa i lamponi erano sempre piaciuti.
— Jack…
— Non cercare di parlare, Tessie, se ti fa male. Sei stata male, ma guarirai. Sono qui io.
Lei lo fissò senza metterlo a fuoco. Aveva la testa completamente calva, squamata, ustionata. Lentamente, però, gli occhi azzurri le si schiarirono.
— M-M-Mir…
— Ho detto di non parlare, tesoro.
— M-Mir…
Lui cedette. — Lascia che ti aiuti. "Miranda Sharifi". Sei andata a La Solana per effettuare delle ricerche per il tuo libro su Leisha Camden, vero? Per parlare con il padre di Miranda perché lui aveva conosciuto Leisha?
Theresa esitò. La testa pateticamente calva annuì leggermente. Lei si contrasse quando la parte posteriore del cranio sfregò contro il soffice cuscino.
— Mo… rti.
— Richard Sharifi è morto. Qualcuno ha bombardato La Solana e lui è rimasto vaporizzato. — Jackson capì la domanda che lei aveva nello sguardo. — No, il governo non sa chi ha fatto esplodere la bomba. Si è trattato apparentemente di un veicolo telecomandato lanciato dalle montagne del Nuovo Messico. Nessun gruppo ha rivendicato l’azione, nessuno è stato arrestato e, se l’FBI ha qualche indizio, non l’ha reso pubblico. La Base di Selene non ha contrattaccato e non ha emesso comunicati pubblici.
— Non… a… Selene.
— Che cosa non c’è a Selene? Tess, tesoro, non cercare di parlare più, vedo quanto si sta facendo male. Tutto questo può aspettare finché tu…
— Mor-ti. Miranda.
Jackson prese delicatamente la mano di Theresa. — Miranda Sharifi è morta? Non puoi saperlo, tesoro.
— Parlato… con lei. Io. L’ho… vista.
— Hai visto Miranda Sharifi? — Lanciò un’occhiata al monitor. La temperatura di Theresa, la conduttanza della pelle e la scansione cerebrale erano normali: non era in stato di allucinazione. — Tesoro, non è possibile. Miranda è a Selene. Sulla Luna.
— No!
— Non c’è? Era a La Solana? Tess… com’è possibile?
Theresa lo guardò con espressione torva, gli occhi azzurro acquoso in una testa orribilmente deformata. Poi cominciarono a scenderle le lacrime. Jackson la vide contrarsi quando il sale le toccò la pelle. — Morta! Morta!
— Tess, oh, non…
— Se dice che ha visto Miranda e che Miranda è morta, probabilmente è vero — disse la voce di Vicki alle sue spalle. — Sa quello che ha visto. È l’unica spiegazione che dia un senso al bombardamento di La Solana senza che ci siano state rivendicazioni dell’azione.
Theresa guardò oltre Jackson a Vicki, in piedi sull’arco della porta. Theresa annuì con uno sforzo spaventoso. Quindi chiuse gli occhi e si addormentò.
Jackson si voltò di scatto verso Vicki. — Sai quello che stai dicendo?
— Probabilmente meglio di te. — Il volto di Vicki si contorse in una smorfia e lei lasciò la stanza.
Jackson non la seguì. Guardò Theresa che giaceva un po’ rialzata sui cuscini, con la povera bocca mezzo aperta. Con delicatezza, Jackson la adagiò meglio sul letto.
Passò per tutto l’appartamento e superò lo scudo a energia-Y che dava sulla terrazza. Sembrava il tramonto: Jackson aveva perduto il conto delle ore, dei giorni. Gli alberi e le aiuole del parco sottostante rifiorivano in tutta la magnificenza modificata geneticamente della piena estate. Pensò che dovevano essere più o meno a maggio.
Theresa aveva detto che Miranda Sharifi era morta.
E gli altri Super-Insonni? Forse. Di solito erano sempre stati insieme, in un branco della loro razza. Forse perché era l’unico modo per trovare qualcuno che li comprendesse, o forse soltanto per questioni di protezione. Rimanevano insieme, si nascondevano e poi usavano tutta la tecnologia che avevano a disposizione per far credere al mondo di essere nascosti da qualche altra parte, quasi in un’ulteriore forma di protezione.
Se Theresa aveva ragione, non era servito a nulla. Quelli che li odiavano li avevano beccati comunque.
Le cime degli alberi danzarono per una brezza improvvisa. In piedi, proprio al margine della terrazza, Jackson sentiva stormire le foglie, ne inalava la fresca umidità. A sud-est, proprio sotto la Luna, brillava fisso un pianeta. Probabilmente Giove. Oppure un ologramma di Giove, approvato dal comitato climatico dell’enclave. "Aggiungiamo un pianeta alla programmazione della cupola di questo mese. I bambini potranno imparare a usare il software di orientamento nel cielo."