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Theresa giaceva tremante sul letto. Quella ragazza Viva era in prigione. Con il bambino.

Vide, chiaramente come se fissasse le pareti del suo studio invece di quelle della camera da letto, gli ologrammi presi dai notiziari sui bambini dei Vivi, malformati, deformi, affamati, morenti…

No. Si stava comportando in modo ridicolo. Il bambino di Lizzie non stava morendo. Quel piccolo era Cambiato. Però si trovava in prigione, in una cella da qualche parte, e doveva essere accaduto "qualcosa" a sua madre perché la comunicazione si interrompesse in quel modo. Qualcuno aveva fatto del male a Lizzie Francy? E al bambino?

Theresa non aveva mai visto una prigione. Tuttavia aveva guardato ologrammi di storia e film. Le prigioni, in quelli, erano sudicie e orribili celle che puzzavano e ospitavano persone pericolose che facevano del male agli altri. Di sicuro però non erano più così. I robot-pulitori non permettevano che fossero sudicie. Ma per il resto…

Si sollevò, appoggiandosi contro i cuscini. Le piaghe sulle mani e sul corpo le si erano chiuse. Era in grado di mangiare e di parlare, perfino di camminare un po’, con le stampelle. Aveva avuto anche un fluttuante ma Jackson lo aveva rispedito indietro perché, aveva detto, usarlo non l’avrebbe aiutata a ricostruire la muscolatura. Due volte al giorno, il roboinfermiere istruiva Theresa assistendola con il software di riabilitazione fisica. Alzarsi costituiva comunque uno sforzo, e passare le mani sulla testa calva la faceva piangere. Jackson aveva tolto tutti gli specchi dalle stanze. Durante la maggior parte del tempo, Theresa stava a letto dettando appunti, ore e ore di appunti ossessivi, a Thomas. Su Leisha Camden. Sugli Insonni. Su Miranda Sharifi.

A quel punto disse al sistema: — Thomas, fai emanare da Jones una chiamata a priorità assoluta a mio fratello alla Kelvin-Castner!

— Lo farò subito, Theresa.

Tuttavia fu Cazie, scompigliata e corrucciata, che rispose. — Tess? Cosa c’è che non va? Perché una chiamata di emergenza?

— Ho bisogno di parlare con Jackson.

— Lo so. Ma perché? — Cazie faceva tamburellare le dita su una scrivania invisibile. I capelli neri avevano bisogno di una spazzolata e lei aveva borse sotto gli occhi. Appariva tesa e sconvolta.

Theresa si ritirò contro i cuscini.

— È… privato.

— Privato? Ti senti bene?

— Sì… io… sì. Riguarda qualcun altro.

Lo sguardo di Cazie si concentrò all’improvviso, tagliente. — Chi altri? È arrivato un messaggio per Jackson? Non si tratta di qualcosa riguardo al Rifugio, eh?

— Rifugio? Perché mai Jackson dovrebbe ricevere un messaggio riguardante il Rifugio?

Lo sguardo di Cazie si velò di nuovo. — Niente. Da parte di chi è il messaggio?

— Cos’è questa storia del Rifugio?

— Niente, Tessie. Ascolta, non volevo trattarti male, visto che sei così malata. Torna a dormire, piccola. Jackson è nel bel mezzo di una riunione importante e io non voglio interromperlo, ma gli dirò che hai chiamato. A meno che non si tratti di qualcosa di importante che tu voglia dire a me perché io gliela riferisca. Theresa fissò Cazie negli occhi. Lei le stava mentendo. Theresa lo sapeva. Come? Quello non lo sapeva. Sì, invece. Theresa aveva finto di essere Cazie e ormai riusciva a distinguere quando Cazie stava fingendo. Uno spostamento della voce, un’espressione negli occhi dorati: Jackson non era in riunione. Quindi Cazie voleva tenere Theresa lontana da Jackson. E voleva tenerla lontana da qualcosa che riguardava il Rifugio. Cazie, poi, non aveva mai apprezzato che Jackson aiutasse quella ragazza, Lizzie, e il suo bambino…

— No, no — disse con un filo di voce. — Niente di importante. Soltanto un messaggio da parte di… Brett Carpenter. Quello con cui Jackson gioca a tennis. Per una partita.

— Ma hai detto che si trattava di un’emergenza.

— Io… avevo voglia semplicemente di parlare con Jackson. Mi sento un po’ sola.

Il volto di Cazie si addolcì. — È ovvio che sia così, Tessie. Ti farò chiamare da Jackson nel momento stesso in cui terminerà la riunione. Inoltre verrò questa sera a trovarti. Te lo prometto.

— Va bene. Grazie.

— Adesso riposa come una brava bambina e tutto andrà meglio. — Il collegamento si interruppe.

— Thomas — disse Theresa. — Segnalazione da notiziari, ultime ventiquattro ore. Qualsiasi cosa riguardante il Rifugio.

Non ebbe bisogno di segnalazioni. Lo schermo si attivò sulla notizia del momento, e Theresa vide l’ologramma del Rifugio che saltava in aria, ascoltò il cronista scioccato, seguì la simulazione della traiettoria del missile, udì la condanna infuriata del Presidente Garrison contro i terroristi nucleari ancora senza nome.

— Ripetere — disse Theresa a Thomas. La parola le uscì dalla bocca come un sussurro strozzato e le lacrime salate le bruciarono la pelle ustionata dalle radiazioni. Il notiziario venne ripetuto.

Dunque erano tutti morti. Miranda Sharifi: morta a La Solana, con gli strani e inumani Super che avevano trasformato l’umanità in qualcosa di diverso. Jennifer Sharifi: morta al Rifugio, con il suo brillante, potente popolo che controllava gran parte del denaro di tutto il mondo, in modi che Theresa non aveva mai compreso. Leisha Camden: morta sette anni prima in una palude della Georgia. Tutti morti. Tutte le persone modificate geneticamente in modo da non dover mai dormire, tutte le persone che, diceva Jackson, erano considerate il gradino successivo nell’evoluzione. Tutti morti.

Lizzie Francy e il suo bambino, però, erano vivi. In prigione nell’Enclave di Manhattan Est. "Dillo al dottore! Dillo a Vicki! Venite a prendermi…"

Theresa non era in grado di farlo. Era troppo debole, troppo spaventata.

"La prego, dica al dottor Aranow e a Vicki Turner di venire a prendermi immediatamente, è un’emergenza!"

Ci sarebbe riuscita lei, se fosse divenuta Cazie.

Theresa chiuse gli occhi. Le lacrime smisero di scendere. Jackson non aveva idea, nessuno lo sapeva, di quante volte durante il mese passato Theresa era divenuta Cazie. Stesa sul letto, piena di dolori nonostante gli antidolorifici, lottando per seguire il programma di riabilitazione, costringendosi a pensare all’esplosione a La Solana senza farsi prendere dal panico o da attacchi di ansia. Theresa si era allenata a essere Cazie. A essere una persona che non aveva paura, in grado di decidere cosa fare e poi di farlo.

In quel momento divenne Cazie.

Gradatamente, il respiro di Theresa rallentò. Le mani smisero di tremarle. Cosa più importante, sentì la differenza nella propria testa. Come cambiare canali dei notiziari. Il suo cervello le dava sensazioni diverse. Era possibile? Ma era proprio ciò che provava.

Theresa appoggiò a terra le gambe e allungò le mani per prendere le stampelle. Il roboinfermiere le fluttuò a lato. — Ha bisogno di aiuto, signorina Aranow? Non preferirebbe usare la padella?

— No. Disattivare — disse Theresa, e la parte di lei che era ancora Theresa… c’era sempre quella parte, soltanto che se ci pensava troppo le faceva perdere la parte che non lo era, si accorse dell’espressione decisa del tono. Il tono di Cazie con la voce ancora roca di Theresa.

"Non pensarci."

Lottò per uscire dalla camicia da notte e per infilarsi un vestito. Le pendeva sul corpo scheletrico. Scarpe, giacca. Nell’ingresso colse un’occhiata di se stessa allo specchio.

"No." Oh, Dio, no. Quella testa calva, era sua? Occhi infossati, pelle bruciata sopra il cranio: tutto suo? Riprese a piangere.

No. Cazie non avrebbe pianto. Cazie avrebbe saputo che si trattava di una cosa temporanea, che stava guarendo. Lo diceva sempre Jackson: Cazie si sarebbe messa un cappello. Theresa ne prese uno di Jackson e se lo calzò fin sopra le orecchie.