Theresa scosse la testa. Le lacrime le bruciavano gli occhi.
— Tessie, avresti dovuto farti iniettare comunque, prima o poi, per le radiazioni prese in Nuovo Messico. Le probabilità di cancro… io ti faccio l’iniezione, Theresa. Devo.
— D-d-d… — Non riusciva a pronunciare la parola. Dono. Il suo dono. Sarebbe andato perduto se fosse stata Cambiata, bisognava combattere per conquistare la propria anima avevano detto così tutti i grandi personaggi storici che Thomas aveva citato…
— Mi dispiace, Tess. — Vicki afferrò il braccio di Theresa e sollevò la siringa.
— "Mendicante" — mormorò Theresa. — Dono… — chiuse gli occhi e la febbre le danzò nel corpo, bruciandole l’anima. Tutto sparito.
Non sentì nulla. Quando riaprì gli occhi, Vicki teneva ancora in mano la siringa sopra il braccio di Theresa.
— Tessie — sussurrò Vicki. — Preferisci davvero morire? Non posso lasciartelo fare. Sì, posso. Ma non dovrei, dovrebbe essere una tua scelta. Stramaledetto Jackson! Dovrebbe essere un problema tuo!
Tess disse: — "Mio"… problema.
Vicki la fissò. — Sì. Un problema tuo. Tua la scelta, tua la vita. Dio, Tess, come faccio a non… va bene. È tua la scelta. Devo iniettarti? Se non lo farò, potresti morire, ma io non "so" se morirai davvero. Se ti inietto, la chimica del tuo cervello potrebbe alterarsi, oppure no, in qualche modo. Quanto meno un po’.
Quel tanto per restare comunque Theresa.
Anche se il suo corpo veniva Cambiato. Lei era più del suo solo corpo. Ma non lo aveva sempre saputo? Non era quello il motivo per cui aveva discusso così animatamente con Jackson?
— Tess? Stai sorridendo come… Dio, tesoro, ti brucia la fronte… non so cosa fare!
— Iniettami — disse Theresa e, nel momento in cui l’ago le penetrava nella pelle e attraverso l’incandescente turbine della febbre, pensò che Vicki era diversa da Cazie, dopo tutto: Cazie non avrebbe mai detto che non sapeva cosa fare.
La sottile siringa nera si svuotò nel braccio devastato.
24
Quando finalmente Vicki ebbe terminato di parlare, Jackson restò a lungo in silenzio. Il corpo di lei sul letto per gli ospiti della Kelvin-Castner non lo distraeva più, e certo non aveva più alcun sonno.
Le credeva. Anche se alcuni degli eventi che gli aveva sussurrato all’orecchio parevano incredibili. Theresa, la sua Theresa, che aveva tirato fuori di prigione Lizzie Francy? Che era andata da sola in un accampamento di Vivi per lasciare loro un roboinfermiere? "Che sceglieva di essere Cambiata?"
Tuttavia credeva a Vicki. In fondo, però, aveva creduto sempre anche a Cazie, fino a quando era arrivato alla Kelvin-Castner…
— Devo mostrarti qualcosa — disse Vicki e quella volta fu la sua voce a essere impastata dal sonno. — Una specie di prova. Ma può aspettare domattina. Io sono stanca morta. Stremata da Lizzie e Theresa, i figli della prossima era…
— I cosa? — chiese Jackson con un tono più brusco di quanto non intendesse, perché si sentiva disorientato. Theresa che sceglieva di essere Cambiata. Theresa, Cambiata. Avrebbe avuto ancora bisogno di lui?
— I figli della prossima era — ripeté Vicki, quasi biascicando. — Autonominatisi… — si addormentò.
Jackson si scostò dal corpo abbandonato di lei e scese dal letto. Dormire era impossibile. Nella stanza, al massimo tre metri per tre, non c’era spazio per camminare. Se avesse usato il terminale avrebbe potuto svegliare Vicki. Non voleva che Vicki fosse sveglia. Non avrebbe fatto altro che colpirlo con ulteriori ganci destri emotivi, era proprio quello che "aveva fatto" e lui, per la giornata, era stato colpito anche troppe volte.
Quanti pugni che scuotevano il cervello potevano definirsi troppi? E perché diavolo l’unico a riceverli era proprio lui?
Senza fare rumore, Jackson aprì la porta della camera da letto, se la chiuse alle spalle e cominciò a camminare a piedi nudi, col pigiama preso in prestito, lungo il corridoio poco familiare e dall’aspetto austero. In fondo, trovò un piccolo atrio deserto. Era ovvio che fosse deserto, era notte fonda. L’atrio comprendeva un divano, sedie, una tavola e un roboservitore, tutto austero come il corridoio, oltre a un terminale a schermo piatto.
— Accendere sistema — disse Jackson.
— Sì, posso esserle d’aiuto? — Un programma anonimo, per tecnici in attesa o ospiti annoiati e affetti da insonnia. Indubbiamente con accesso limitato. Era sufficiente.
— Notiziari, per favore. Canale 35.
— Certamente. E se ci fosse qualsiasi cosa che la Kelvin-Castner possa fare per lei, non esiti a chiederlo.
— …nel Kansas orientale. Il tornado ha sfiorato l’Enclave di Wichita che ha attivato immediatamente gli scudi ad alta sicurezza. A Washington, il Congresso continua a discutere sul controverso pacchetto del regolamento aeroportuale: il voto al Senato è previsto per domani mattina. A Parigi, l’Enclave della Sorbonne ha assistito alla prima esecuzione del nuovo concerto di Claude Guillaume Arnault, Le Moindre. Il venerabile, irascibile, festeggiatissimo compositore non…
— Comunicazioni interne — disse Jackson. Il notiziario non aveva detto nulla di nuovo sulla distruzione del Rifugio. E il neurofarmaco inibitore non faceva ancora parte delle notizie principali, era soltanto un fenomeno isolato, una curiosità locale che riguardava gli arretrati Vivi.
Folli. Le enclavi erano tutte folli.
— Sì. posso aiutarla? — disse il programma. — Con quale dipartimento interno vuole essere collegato?
— Non con un dipartimento ma con un individuo. Lizzie Francy. È un’utente ospite che si trova da qualche parte in questo edificio. Nella zona non bioschermata.
— Certamente. E se ci fosse qualsiasi cosa che la Kelvin-Castner possa fare per lei, non esiti a chiederlo.
Il volto di Lizzie apparve sullo schermo. I suoi capelli crespi sparavano in venti direzioni diverse, irsuti vettori. Gli occhi neri le scintillavano dall’eccitazione, a dispetto delle borse scure che aveva sotto. — Ho appena cercato di collegarmi con la sua stanza.
— Non sono lì — spiegò scioccamente Jackson. — C’è soltanto Vicki. Veniva da casa mia e di Theresa…
— So tutto — disse Lizzie in fretta. Sollevò le mani sui capelli e tirò, creando ulteriori vettori. — L’ho svegliata. Jackson, io ho bisogno, io, di venire da lei. Di vederla di persona, io. Adesso.
— Lizzie, qui dentro siamo bioschermati. Se vieni dentro non potrai uscire per…
— Lo so, lo so! Ma devo entrare, io. Subito.
Jackson la osservò più attentamente. Non era eccitazione quella che brillava negli occhi di Lizzie. Era paura. E il suo modo di parlare era tornato quello dei Vivi.
— Lizzie, cosa…
— Ancora niente. Non riesco a infiltrarmi in questo sistema, io. È troppo difficile. Ma non mi piace stare qui, a me, da sola. Voglio Vicki. Voglio entrare dentro, io!
Lizzie, si accorse Jackson, si sforzava di apparire patetica. Una ragazzina sola in piena notte in un ambiente estraneo, che voleva il suo surrogato di madre. Soltanto che quella era la Lizzie Francy che era arrivata a piedi fino a New York da sola, si era infiltrata in un’enclave apparentemente impenetrabile e aveva trafugato dati da più imprese di Muli di quante Jackson potesse nominarne. Quell’atteggiamento patetico era fasullo.