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Si alzò dal divano, si stiracchiò, sbadigliò e sorrise a Jackson. Per una volta tanto, lui comprese che cosa lei lo stava invitando a fare. Le disse: — Vieni, accomodati qui con me.

La donna attraversò la stanza fino alla poltrona di lui e gli si sedette sulle ginocchia. Lo schermo continuava a recitare notizie a un volume che, si accorse improvvisamente Jackson, era lievemente più alto del normale. Le labbra di Vicki gli stuzzicarono l’orecchio. Lei gli disse dolcemente: — Voglio mostrarti qualcosa — e si sbottonò la camicetta.

Jackson sentì un subbuglio di ormoni in petto. Vide, quindi, i disegni sul petto di lei.

Vicki mormorò: — Qui probabilmente ci sono meno monitor che nella tua camera da’ letto. Comunque, spostati più a sinistra. Di più. Ecco.

I loro corpi formarono uno stretto triangolo con lo schienale imbottito della poltrona. Vicki piegò la testa e i suoi capelli schermarono lo spazio racchiuso fra di loro, impedendone la vista dal soffitto. Slacciò altri bottoni.

Aveva seni lisci e pallidi. Più piccoli di quelli di Cazie, ma più sodi, dolcemente rialzati. Sulla curvatura superiore c’era uno schizzo tracciato con inchiostro non lavabile, del genere usato per contrassegnare e datare documenti di laboratorio che non venivano inseriti in linea. C’erano penne del genere in tutta la Kelvin-Castner. Vicki si era disegnata addosso dopo essere passata dalla Decontaminazione. Jackson sbirciò i disegni: c’era luce a mala pena sufficiente a distinguere le linee tracciate con l’inchiostro. Il profumo di Vicki, la fragranza della sua pelle e del suo respiro, gli annebbiavano il cervello.

Finché non si rese conto di cosa stava guardando.

Due schizzi grezzi di scansioni cerebrali. Quella sopra il seno sinistro era di Theresa. Jackson la riconobbe perfino tracciata al contrario e a grandi linee. Aveva guardato quotidianamente quei particolari grafici durante la malattia di sua sorella e molto di frequente negli anni precedenti. Erano grafici che rappresentavano una sovreccitazione cerebrale cronica, in particolare nelle zone più primitive del cervello che controllavano le emozioni. La zona limbica, l’ipotalamo, le amigdale, la formazione reticolare della zona pontina, il midollo ventrale rostrale: tutte sovreccitate.

Il sistema di attivazione reticolare ascendente, SARA, che reagiva per l’input neurale proveniente da molte altre parti del cervello, mostrava un’attività di onde particolarmente frenetica: bassa ampiezza, alta frequenza, intensa asincronia. I segnali di allarme viaggiavano costantemente verso la corteccia di Theresa che, di conseguenza, riteneva costantemente il mondo un luogo allarmante. Quelle informazioni, a loro volta, ritornavano indietro al SARA che reagiva con un’attività elettrochimica ancor più frenetica. I segnali elettrochimici di pericolo allertavano pensieri di pericolo che a loro volta allertavano ulteriori reazioni elettrochimiche di stress. Si trattava del circolo vizioso che Theresa non aveva mai permesso a Jackson di interrompere con neurofarmaci.

La seconda serie di tratti grezzi era completamente diversa. In effetti era diversa da qualsiasi scansione cerebrale Jackson avesse mai visto. Il SARA e i grafici primitivi mostravano soltanto un’eccitazione normale, del genere associato con un’azione regolare, intenzionale e realistica. Ma l’input che proveniva "dalla" corteccia al SARA era di tipo intenso. Parti del cervello, poi, indicavano una vera e propria tempesta elettrica. Quelle erano le sezioni del cervello associate con un’intensa attività non-somatica: attacchi di epilessia, visioni religiose, allucinazioni immaginative, determinati tipi di creatività. Grafici simili venivano riscontrati spesso in visionari chiusi in manicomio: gente che credeva di essere Napoleone, Gesù Cristo o il Generale Manheim. Combinare quello schema con il controllo e la chiarezza di onde alfa di grande ampiezza e bassa frequenza, di solito prodotto di intensa concentrazione o biofeedback…

— Di chi è la seconda scansione?

— Di Theresa.

— Impossibile!

— No. Sono tutt’e due di Theresa. Una, presa prima che si mettesse nello stato mentale per compiere qualcosa di difficile per lei, e una dopo. Non so esattamente come ci riesca.

— Vorrei tanto vedere i dati relativi al segmento vertebrale!

— Sul mio seno c’è spazio limitato a differenza di quello di altre persone — commentò acida Vicki. — Ho memorizzato solo le parti delle due stampe che mi sembravano più diverse l’una dall’altra.

— Ma come ha potuto Tess…

— Abbassa la voce, Jackson. E fingi di sbaciucchiarmi sul serio, siamo ancora sul monitor. Ti ho detto che non so come faccia Theresa, ma so quello che mi ha detto che pensa di fare. Theresa trasforma la propria scansione cerebrale fingendo di essere Cazie.

Jackson restò in silenzio. Theresa che fingeva di essere Cazie. Capace di indurre, almeno temporaneamente, il genere di schema di attività cerebrale di un altro temperamento, completamente diverso dal suo, oltre all’attività di intensa creatività immaginativa che era al limite dell’allucinatorio. Doveva cominciare col controllare i pensieri nella corteccia, che cambiavano le informazioni di ritorno nel suo sistema nervoso autonomo… Tutte le esperienze emotive, dopo tutto, erano essenzialmente storie che il cervello creava per dare un senso alle reazioni fisiche del corpo. Tess aveva trovato un modo per invertire il procedimento. Lei raccontava a se stessa una specie di storia, la raccontava al suo cervello conscio che andava ad alterare le sue reazioni fisiche più primitive. Fino ad arrivare al livello neurochimico. Controllava il suo mondo fisico tramite mera immaginazione e forza di volontà.

Jackson non aveva mai conosciuto realmente sua sorella.

Disse con una certa esitazione: — Dovrò replicare questo…

— Certamente. Ma non ora. — Vicki riabbottonò la camicetta, ma non si spostò da lui. Accoccolata sulle sue ginocchia, con il respiro caldo contro il suo collo, gli disse con voce del tutto differente: — Sai che ho un po’ paura di te?

— Come no.

— Non mi credi. Pensi di essere l’unico ad avere paura dei sentimenti. Be’, fottiti.

Si alzò di scatto. Da quello che aveva detto, Jackson si aspettava di vederla arrabbiata, invece il suo volto mostrava dolore e insicurezza. In quel preciso istante, Jackson si rese conto che quella donna avrebbe potuto sostituire Cazie nella sua vita.

Il pensiero lo riempì subito di terrore. Un’"altra" donna bisbetica, prepotente? Che lo beffeggiava di continuo, lottando per controllarlo, sapendo quello che lui avrebbe detto prima ancora che lo dicesse. Il profumo di Vicki, più forte da che non gli stava più così vicino, gli riempì il naso e la gola. Aveva lasciato slacciati gli ultimi tre bottoni della camicetta. Deliberatamente? Ovvio. Si sentì carico di risentimento per quel tentativo di manipolazione.

La vulnerabilità di Vicki durò soltanto un momento. Quindi riprese a essere Victoria Turner, controllata e competente.

Victoria Turner. Non Cazie. Quella confusione era sua, non di lei.

Era Theresa a essere Cazie.

Jackson scoppiò in una fragorosa risata. Non poté farci nulla: quella situazione critica, grottesca, lo colpì all’improvviso come intollerabilmente buffa. O, forse, intollerabilmente insopportabile. Theresa. Brookhaven. Il neurofarmaco traditore. La Kelvin-Castner. Il Rifugio. Il mondo andava in pezzi a micro e macro livelli e lui, Jackson, aveva scelto come oggetto di paura una donna che diceva di avere altrettanta paura di lui, soltanto che lui aveva troppa paura per crederle e lei aveva troppa paura per credere che lui aveva troppa paura… — Vicki… — disse teneramente.

I loro sguardi si incontrarono nella stanza scialba, mentre il notiziario strillava. Il momento si allungò come caramello, elastico e dolce.

— Vicki…