— Così adesso siamo tutti sulla stessa barca — commentò Vicki. — Spinti dagli stessi interessi. Bello.
— Giusto — convenne con amarezza Jackson.
— A meno che io, tu e Theresa non sappiamo qualcosa che il resto del mondo non sa — continuò Vicki. — Miranda Sharifi e gli Insonni non possono tirarci fuori dai guai, questa volta. Non ci saranno siringhe miracolose provenienti dal Rifugio, dall’Eden o da Selene. I Super sono tutti morti.
Jackson la fissò sbalordito.
— No, non dovremmo tenerlo segreto, Jackson. Abbiamo bisogno di dirlo alla K-C. Abbiamo bisogno di chiamare la stampa, il governo e tutta la gente che conta su Miranda Sharifi perché ci salvi ancora una volta. Perché la K-C non otterrà aiuto dal cielo. E il governo dovrà fare irruzione a Selene per verificare l’assenza di persone. E la gente potrebbe smettere di inviare messaggi a Miranda perché questa volta non salterà fuori nessuna dea ex-machina. La machina si è rotta e la dea è morta. Jackson, ti prego, abbracciami. Non mi interessa chi stia guardando.
Lui lo fece e, anche se Vicki gli dava una sensazione calda fra le braccia, la cosa non lo aiutò. Non seriamente.
— Jack — intervenne Cazie dallo schermo del terminale con volto corrucciato. — Dimmi quello che sai su Miranda Sharifi e Selene.
Raccontò tutto a Cazie, in piena notte. Raccontò tutto ad Alex Castner, sempre in piena notte. Raccontò tutto alla FBI e alla CIA nella tarda mattinata del giorno dopo, perché, saltò fuori, la Kelvin-Castner non aveva chiamato i federali se non dopo avere indetto un consiglio di amministrazione. Jackson fu felice per il sonno prolungato. Alla CIA e alla FBI dovette raccontare tutto molte volte.
Dopo, cercò di allontanare dalla mente le indagini. Passò intere giornate a occuparsi dei dati che la Kelvin-Castner gli forniva ormai liberamente. Non aveva motivi per non farlo. Come aveva detto Vicki, erano tutti sulla stessa barca.
Il ventunesimo giorno di quarantena, l’ultimo, aveva analizzato tutti i dati in possesso della K-C. Non si recò personalmente nei laboratori: non era un ricercatore. Si limitò ai modelli medici, che erano inconcludenti. Forse si sarebbe trovato un antidoto per il neurofarmaco ma non sapevano ancora né dove né come.
Né quando.
La rabbia fredda e nera restò dentro. La rabbia non derivava dall’impossibilità di produrre una cura: non era impossibile. La rabbia non derivava dal fatto che qualcuno aveva creato quel neurofarmaco crudele e pericoloso, sconosciuto in natura: per quattromila anni gli uomini avevano creato veleni sconosciuti in natura per annullarsi a vicenda. La rabbia non derivava nemmeno dal fatto che la Kelvin-Castner aveva anteposto i propri profitti al bene pubblico, finché le due cose non avevano coinciso: le industrie funzionavano così.
Durante il ventunesimo giorno, mentre Jackson stava lasciando la K-C per un breve viaggio per andare a trovare Theresa, Thurmond Rogers lo bloccò appena prima del portello di sicurezza che immetteva nella parte non bioschermata dell’edificio. Thurmond Rogers in persona, non con un ologramma o una linea di comunicazione. — Jackson.
— Penso che non abbiamo niente da dirci, Rogers. O fai il messaggero per Cazie?
— No — disse Rogers e, notando il suo tono, Jackson lo osservò più attentamente. La pelle di Rogers, modificata geneticamente perché risultasse appena abbronzata per contrastare con i riccioli biondi, appariva chiazzata e scialba. Le pupille degli occhi turchesi erano dilatate, perfino nella luce solare simulata del corridoio.
— Che c’è? — chiese Jackson, ma lo sapeva già.
— È passato alla trasmissione diretta.
— Dove?
— Enclave North Shore di Chicago.
Nemmeno fra i Vivi. Qualcuno era uscito dalla North Shore, oppure qualcuno vi era entrato, e aveva trasmesso il neurofarmaco via sangue, sperma, urina, saliva, allattamento. Era in una forma non aerea.
Chiese bruscamente a Rogers: — Comportamento della vittima?
— Stessa grave inibizione. Ansia da panico per le nuove azioni.
— Modelli medici?
— Corrispondono agli effetti conosciuti. Fluido cerebrospinale, scansioni cerebrali, battito cardiaco, attività delle amigdale, livelli ormonali del sangue…
— Va bene — fece Jackson intendendo il contrario, dato che non andava bene per niente. Poi capì perché era così infuriato.
— È sempre lo stesso — disse Jackson a Vicki. Sedevano uno di fianco all’altra nella sua aeromobile, in decollo da Boston. In quel mese i Giardini Pubblici sotto di loro erano carichi di fiori gialli: narcisi, giunchi, rose e viole del pensiero in una artistica confusione modificata geneticamente. La cupola della State House scintillava dorata nel tardo sole pomeridiano e, oltre la cupola, l’oceano aleggiava grigioverde. Dopo un mese passato davanti ai terminali, le dita di Jackson parevano goffe sulla consolle del veicolo. Inserì il pilota automatico e fletté le spalle contro lo schienale del sedile. Era stanchissimo.
— Cosa è sempre lo stesso? — chiese Vicki.
— Le persone. Continuano a fare sempre la stessa cosa anche se non funziona.
— A quali persone specifiche ti riferisci? — Vicki appoggiò una mano sulla coscia di Jackson. Lui là coprì con la propria e pensò immediatamente: "Dove sono i monitor?". Ventun giorni a trattenersi, consapevoli del fatto di essere osservati. Ma non c’erano monitor nell’aeromobile. O forse sì? Il veicolo era stato parcheggiato per tre settimane sotto la cupola della Kelvin-Castner. Ovvio che ci fossero dei monitor. E comunque lui era troppo stanco per un rapporto sessuale.
— Tutte le persone — rispose lui. — Tutti. Continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto, anche se non funziona. Jennifer Sharifi ha continuato a tenere sotto controllo tutto quello che poteva minacciare il Rifugio. Miranda Sharifi ha continuato ad affidarsi al miglioramento della tecnologia per sollevare noi poveri mendicanti ottenebrati, costretti a dormire. La Kelvin-Castner continua a seguire i profitti, indifferente a dove conducano. Lizzie continua a trafugare dati da tutti i sistemi che si trova davanti. Cazie… — si interruppe.
— …continua a recitare per un eventuale pubblico che soddisfi la sua sete di applausi — proseguì Vicki, più acidamente. — E tu? Tu che cosa continui a fare, Jackson?
Lui restò in silenzio.
— Non avevi pensato di applicare la tua teoria anche a te stesso? Be’, allora lo farò io. Jackson continua a presumere che il modello medico possa spiegare tutto sulle persone: stila la biochimica e capirai la persona.
Lui le lanciò un’occhiata in tralice. La donna aveva gli occhi chiusi: Jackson si rammaricò di non poterne vedere il viola purissimo. Lei aveva tirato via le dita calde dalle sue. — Mi sembri Theresa — disse lui.
— Theresa — fece Vicki senza aprire gli occhi. — Sta imparando a fare qualcosa di diverso. Molto diverso.
— È solo un controllo di biofeedback della chimica cerebrale…
— Sei pazzo, Jackson — commentò Vicki. — Non so come faccio a essere innamorata di un uomo così pazzo. Guarda Theresa quando scoprirà che il neurofarmaco inibitorio è trasmissibile. Guardala e basta. A proposito: veicolo, atterra laggiù, nella prima radura a ore due.
I fiori nella radura non erano modificati geneticamente. L’erba era dura e profumava di mentuccia. L’aria era un po’ troppo fredda, almeno per dei corpi nudi. Però Jackson scoprì di non essere poi stanco come pensava.
Dopo, Vicki lo abbracciò, il suo lungo corpo stampato nell’erba e nella vegetazione, che profumava di menta schiacciata. Lui l’accarezzò, aveva la pelle d’oca. Contro la spalla, sentì le labbra di lei incurvarsi in un sorriso.
— Soltanto biochimica, Jackson?