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Lei disse: — Non mi credi? Guarda tu stesso. — Gli porse l’unità mobile.

Jackson la respinse. — Ti credo. Il programma deve avere qualche difetto di funzionamento. Nessuno può irrompere in uno stabilimento protetto da uno scudo a energia-Y.

— Dio, Jackson, la tua fiducia nella tecnologia è toccante. Soprattutto visto che sei uno scienziato. Il programma "non ha" difetti. Lo scudo si è abbassato per trenta secondi a causa di una sequenza test gestita manualmente. Non solo: lo scudo si è abbassato anche la notte scorsa; in quell’occasione è stato disattivato da un sistema esterno dotato del segnale dell’aeromobile del proprietario. Mi chiedo come mai abbiano abbassato del tutto lo scudo invece di aprirsi soltanto un varco per l’aeromobile.

— Nessuno possiede il segnale del proprietario a parte me, te e il capo tecnico. E quello, me l’hai detto tu, si trova nello stabilimento messicano, questa settimana.

— Vero. Qualcuno deve avere saccheggiato la banca dati. Dio, chi l’ha fatto deve essere un tipo in gamba. Forse potremmo assumerlo. È lì dentro, adesso.

— Dentro "adesso"?

— All’infrarosso si registra la presenza di due esseri umani — confermò Cazie. Sorrideva, presumibilmente per lo scenario melodrammatico. Davanti alla sua soddisfazione, Jackson si vergognò di dire che lui non era affatto entusiasta di affrontare due intrusi potenzialmente armati. Forse erano pazzi. Cosa volevano da una fabbrica di coni a energia? I coni erano di basso costo: la TenTech riforniva l’intero nordest (era quello che gli aveva detto Cazie): nessun Mulo si sarebbe intrufolato dentro solo per il gusto di farlo. Eccetto dei ragazzini, ovviamente. Doveva trattarsi di qualche ragazzino con la testa calda, che contava su un bel colpo di pirateria informatica.

— Che stanno facendo lì dentro? — chiese.

— Jackson, le scansioni all’infrarosso non sono abbastanza dettagliate per mostrare cosa stanno "facendo" le persone. Pensavo che i medici si intendessero di macchinari.

— Io mi intendo dei macchinari di cui ho bisogno di intendermi. Non è compresa la strumentazione robotica di uno stabilimento.

— Bene — fece Cazie dolcemente. — Forse dovresti ampliare i tuoi orizzonti.

Jackson incrociò le braccia e decise che non avrebbe detto più nulla. Cazie lo faceva sentire sempre uno sciocco. Bene, quella era la sua festa, che la gestisse pure.

La donna aprì un passaggio nello scudo per entrare con l’aeromobile. Il suo segnale laser attivò il ricevitore bioelettronico posto in alto, sulla facciata dell’edificio. L’aeromobile atterrò davanti alle porte principali.

— Serrate — disse Cazie, delusa. — C’è una ridondanza di sicurezza riguardante l’uscita. Evidentemente i nostri giovani intrusi non sono poi "così" bravi.

— Ummmm — commentò Jackson con disinteresse.

Lei infilò la mano nella camicia di materiale sintetico non consumabile ed estrasse due pistole. Sogghignando, ne porse una a Jackson che la prese con quella che sperava apparisse come altezzosa indifferenza. Non gli piacevano le armi. Cazie lo ricordava, forse? Certo che sì. Il QI di lei era modificato geneticamente. Dimenticava raramente qualcosa.

— D’accordo — disse lei — riconquistiamo Alamo.

— Se spari contro qualcuno ti denuncerò personalmente. Te lo giuro, Cazie.

— Buon vecchio Jackson. Il paladino dei perdenti. Anche se i perdenti sono ragazzetti super privilegiati colpevoli di violazione di domicilio aggravata. Forza, andiamo.

Sbloccò le porte e percorse il corridoio con passo deciso. Jackson si affrettò per starle al fianco, in modo che non sembrasse che si stava nascondendo dietro. Arrivato allo stabilimento si fermò. Quel luogo era impazzito. Robot che funzionavano male, detriti sparsi per tutto il pavimento: da quanto tempo andava avanti così? Perché mai il capo del servizio tecnico non se n’era accorto?

Cazie scoppiò a ridere. — Gesù Cristo, guarda! Guarda!

— Non è…

— Buffo? Sì che lo è. Aspetta, guarda laggiù.

Un uomo corse verso di loro. La presa di Jackson si serrò sulla pistola finché non vide che l’uomo non era armato. A quel punto si accorse che non era nemmeno un uomo, ma una donna o un ragazzo ccon indosso un’olotuta dalla testa ai piedi che rappresentava un uomo con un vestito marrone elegante. La figura li avvistò e smise di correre.

Cazie sollevò la pistola. — Vieni qui. Lentamente e con le mani bene alzate. Subito.

La figura alzò le mani sopra la testa e camminò lentamente in avanti.

— Adesso disattiva l’olotuta — intimò Cazie. — Con una mano sola, muovendoti lentamente.

Il pulsante era sulla vita. L’olotuta svanì, e Jackson non vide il liceale che si era aspettato, ma una donna di oltre trent’anni, modificata geneticamente, vestita con un trasandato tessuto fatto a mano, consumato in buchi dall’aspetto recente. Alta, occhi viola, naso minuto. Jackson era un fisionomista.

— Ma io ti conosco! Ci siamo incontrati anni fa da qualche parte, a una qualche festa. Diana Qualcosa.

— Non più — rispose la donna con cipiglio. — Ascolta, Jackson, tutto questo è molto carino e simpatico, ma al momento, se vuoi scusarmi, devo affrontare una crisi.

Cazie scoppiò a ridere. I suoi occhi scintillarono di malizioso piacere. — Proprio vero. Violazione di domicilio aggravata. Come hai fatto? Non sembri un pirata informatico.

— Non lo sono. Ma lo è la mia amica e si è persa da qualche parte qui dentro. È soltanto una ragazzina.

— Oh, una ragazzina, dopo tutto — commentò Cazie. — Bene, andiamo a cercarla. — Digitò qualcosa sull’unità mobile e tutta l’attività nello stabilimento si interruppe. I robot si immobilizzarono a metà del loro movimento. Il rumore cessò. Nel silenzio, Cazie gridò: — Iuuu-huuu, amichetta di Diana! Vieni fuori, vieni fuori ovunque tu sia! Vieni a fare tana!

Diana sorrise, Jackson pensò che lo avesse fatto a dispetto di sé. Nessuno rispose.

Cazie domandò distrattamente: — La tua amica è armata?

— Soltanto di arroganza — rispose Diana e, per un mezzo minuto, Jackson non fu certo a quale delle due si stesse riferendo. Era la tipica frase che avrebbe potuto pronunciare Cazie. Poi Diana gridò: — Lizzie! Dove sei? Va tutto bene, Lizzie, vieni fuori. Non guadagneremo niente ritardando l’inevitabile. Lizzie?

Nessuna risposta.

— Lizzie! — gridò di nuovo Diana e, questa volta, Jackson notò il tono di paura. — Sono Vicki! Vieni fuori, tesoro!

Alle loro spalle, qualcosa cadde a terra. Jackson si voltò di scatto. A due metri e mezzo dal pavimento, sulla parete, era apparso un foro, che incorniciava un volto scuro e impaurito e un corpo accovacciato. La ragazzina aveva i capelli crespi e neri che sparavano in tutte le direzioni. Sembrava sui quindici anni. Non era proprio l’intrusa da college di Muli che si era aspettato: era una Viva.

— Santo Iddio — mormorò Cazie.

Diana/Vicki, o come diavolo si chiamava, gridò: — Lizzie? Ma come hai fatto a salire lassù?

— Ho programmato il muletto — rispose la ragazzina. Aveva una voce meno impaurita del volto. Smargiassata? Lanciò un’occhiata ai tre che si trovavano sotto. — Rimandatemelo qui.

Nessuno si mosse. Jackson si rese conto che nessuno di loro sapeva come fare. Perfino Cazie sapeva utilizzare soltanto i comandi che conosceva, non riprogrammare sul posto. Come mai era riuscita a farlo quella ragazzina? Una Viva?

Cazie infilò in tasca l’unità mobile e la pistola, si avvicinò al muletto immobile più vicino e lo spinse. Il volto le divenne paonazzo e la macchina si spostò a malapena. Diana/Vicki e Jackson si unirono a lei. Insieme spinsero l’ingombrante macchinario fin sotto al foro nella parete. Nessuno parlò. Irritato, Jackson cominciò ad avere all’improvviso una strana sensazione: tre Muli che eseguivano un lavoro manuale nello stabilimento silenzioso per salvare una criminale Viva. L’intera situazione era irreale.