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— E sai la cosa peggiore? — proseguì Vicki con la stessa voce serena come la morte. — Non riuscite nemmeno ad accorgervene. Non per stupidità, figuriamoci. Per volontaria cecità, per la quale meriterete esattamente il prezzo che finirete per pagare.

— Oh Dio, risparmiami almeno la retorica melodrammatica — ribatté Cazie. Si era ripresa dall’inaspettato attacco di Vicki. — La legge è perfettamente chiara. E tu la stai violando.

Con grande sorpresa di Jackson, Vicki sorrise. — La legge funziona soltanto quando la maggioranza le consente di farlo. Non lo sai? Certo che no. Tu sei un semplice codice binario: acceso per tuo interesse proprio, spento per quello di tutti gli altri. Perfino un bambino poteva trafugare i tuoi dati e lo ha fatto.

Cazie reagì furiosamente: — I sofismi ad hominem non sono argomentazioni.

— Tu non sei un hominem. Non sei nemmeno un sinonimo. Sei un codice ridondante nelle informazioni umane, e sei già obsoleta.

La donna stava "giocando". Lì in piedi, quella stracciona rinnegata rideva della sua ex moglie, stava giocando con Cazie, con la situazione. Quanta sicurezza di sé occorreva per riuscire a giocare in quel modo? O invece che sicurezza di sé si trattava forse di autogiustificazione?

All’improvviso Jackson non fu certo di riuscire a distinguere la differenza.

Cazie replicò: — Parole di sfida. Non potere. — Digitò qualcosa sull’unità mobile e un robot della sicurezza si attivò. Si sollevò dal pavimento della fabbrica imbrattato di sporcizia e si affrettò verso di loro. Un debole scintillio demarcò i margini della bolla a energia che gettò su Vicki.

— Lei sta valicando i limiti della proprietà privata della TenTech — cantilenò il robot. — Ora sarà immobilizzata in attesa di ulteriori istruzioni.

Vicki continuò a sorridere. Jackson vide il volto di Cazie rabbuiarsi.

— Sta valicando i limiti della proprietà privata della TenTech. Ora sarà…

— Spegnilo — ordinò Jackson prima ancora di rendersi conto che lo stava facendo. Le due donne lo fissarono: era chiaro che, assorbite nella loro battaglia, si erano dimenticate della sua presenza. Cazie gli sorrise e digitò qualcosa sull’unità mobile: il robot smise di recitare.

— No — disse Jackson. — Volevo dire… spegnilo del tutto. Non la arrestiamo.

— Oh, sì invece — ribatté Cazie.

Jackson si sentì pervadere da una reazione violenta, un flusso di puri ormoni che non seppe etichettare. O non volle farlo. Si riversò in una singola frase e, mentre la pronunciava, lui comprese che non significava soltanto quello che dicevano le parole: — Non sei tu a gestire la TenTech.

— È esattamente quello che faccio — replicò lei.

— Chi altri sennò? Tu? Tu non controlli nemmeno i resoconti finanziari del giorno, figuriamoci poi quelli operativi. Lascia fare a me, Jack. Tu occupati della tue conoscenze mediche.

Le sue obsolete conoscenze mediche, voleva dire. Lo stava stuzzicando di nuovo, ma quella volta senza sortire alcun effetto, il che significava che si sentiva alle corde. Cazie alle corde. All’improvviso, lui si accorse di amare quell’idea.

— Non ho alcuna intenzione di lasciare fare a te, Cazie. Dirigo io, adesso. Spegni la bolla di protezione.

Lei digitò un codice sull’unità mobile. Il robot si mosse verso l’ingresso. Vicki, ingabbiata nel campo di energia scintillante e vuoto come in uno scatolone traslucido, venne trascinata verso le porte dello stabilimento.

— Cazie. Disattiva il robot.

— Prendi quella ragazzina impasticcata e ingessata, Jack. Ce ne andiamo.

— Disattivalo. Sono io il padrone della TenTech, non tu.

— Possediamo ognuno un terzo della TenTech — ribatté lei seccamente. Il robot continuò ad avanzare verso la porta, incapsulando Vicki.

— Gestisco anche il terzo di Theresa — replicò Jackson. E, di punto in bianco, allungò una mano e prese l’unità mobile di Cazie prima che lei si rendesse conto che l’avrebbe fatto, o che potesse farlo.

— Ridammela!

— No — rispose lui e la fissò con espressione decisa, vedendo avvicinarsi la tempesta. Suo malgrado, sentì il sangue ribollirgli. Dio, come era bella, la donna più desiderabile che avesse mai visto. Cazie ghermì l’unità mobile che lui teneva nella mano destra. Jackson le afferrò l’avambraccio con la sinistra e lo scansò con facilità. Perché non aveva mai pensato che era più forte di Cazie? Si sarebbe dovuto imporre fisicamente con lei anni prima. Il suo pene si irrigidì.

— Ho detto dammela. Subito.

— No — rispose Jackson sorridendo. Maledizione, non conosceva i codici, altrimenti l’avrebbe disattivato da solo. Be’, poteva sempre tirare a indovinare. O, pensiero strano, chiederlo a Lizzie. Cazie restò immobile, senza divincolarsi nella sua presa, la pelle dorata arrossita per la rabbia, gli occhi dalle pagliuzze verdi, ardenti.

Jackson non aveva mai provato un tale potere su di lei.

Cazie piegò la testa verso la mano sinistra di lui, ancora stretta sul suo avambraccio. Lui avvertì un dolore penetrante che lo sorprese a tal punto da fargli aprire le dita. C’era del sangue che vi sgorgava sopra. Lei lo aveva morso. Sotto di lui, la ragazzina sul pavimento disse qualcosa.

— Il tuo problema è questo, Jackson — disse Cazie. — Non sei mai pronto per il contrattacco.

Due lunghi tagli gli percorrevano il dorso della mano. Tagli netti, non provocati dai denti, e profondi. Cazie aveva delle lame retrattili impiantate fra i denti.

Il sangue venoso creò una pozza rosso scuro sul pavimento accanto a Lizzie, che ripeté qualcosa. Jackson non capì. Era sotto shock? No, la testa non gli girava e non provava nausea, e la ferita non era grave. Cazie era in grado di controllare la sporgenza delle lame. Il suo shock era totalmente emotivo: nessuno si comportava con coerenza.

Inclusa la ragazza sul pavimento. Lo guardava dal basso, con occhi da drogata, in un obnubilamento sorridente da sedativi, da un’improvvisa pozza d’acqua fra le gambe e ridacchiava. — Sta uscendo il bambino.

— Oh, Cristo — sbottò Cazie. — D’accordo, tu riporti la ragazzina alla sua "tribù" e io resterò qui con la Signorina Paladina-degli-Oppressi finché non sarà arrivata la polizia. Ci sarà pure qualcuno nell’accampamento dei Vivi che sappia fare quello che c’è da fare per un parto.

— Quel qualcuno sono io — rispose Vicki, inginocchiandosi presso Lizzie, tenendole le mani. Qualcosa nel tono della sua voce commosse Jackson. O forse lo era solo dal proprio bisogno di opporsi a Cazie in campo medico, il suo unico terreno sicuro.

— La signorina Turner ha ragione, Cazie. Deve restare con la ragazza.

— Deliziosa sollecitudine materna — commentò Cazie. — Cosa vuoi che faccia, Jackson, che le faccia arrestare tutt’e due?

— Nessuna delle due. Almeno finché non sarà tutto finito.

— E tu farai partorire la ragazza qui, sul pavimento della fabbrica?

— Certamente no. Non partorirà ancora per qualche ora. — Le mani di Jackson tastarono delicatamente il ventre e scoprirono che il bambino era podalico.

Il Cambiamento, rifletté lui tristemente, non aveva mutato alcuni aspetti chiave dell’evoluzione umana. Il canale di nascita era ancora molto più stretto della testa di un bambino e la cervice era ancora adatta solo per un parto a testa in avanti. Lizzie, alla prima gravidanza, era soltanto all’ottavo mese.

Tuttavia, sarebbe potuta andare peggio. Il dermalizzatore fetale di Jackson mostrava una posizione podalica accettabile, prima le natiche, le anche flesse, le ginocchia estese, i piedi accanto alle spalle, piuttosto che quella più pericolosa, la podalica completa, a piedi in avanti. La testa era flessa in avanti, ruotabile nella regione inferiore. Il feto, un maschietto, pesava approssimativamente 2.800 grammi, il battito cardiaco era costante a 160, lo sviluppo normale. Il cordone ombelicale non mostrava prolassi e la placenta non era rovesciata: sarebbe uscita tranquillamente dopo la nascita che, Jackson stimò, sarebbe avvenuta nel giro di qualche ora. Lizzie, tuttavia, aveva già una dilatazione di cinque centimetri. Era a metà strada.